Antonio, Cleopatra e la campagna contro i Parti

Le liti tra coniugi, specie se la coppia è composta di tipi piuttosto volitivi,  furono, sono e saranno sempre estremamente burrascose. La cosa è tanto più vera se i protagonisti della lite di cui tra poco andremo a discorrere furono nientepopodimeno che Marcantonio e la molto vivace Cleopatra. La quale, donna di grande bellezza, ma anche di gran carattere e moltissimo ambiziosa, in uno sfogo di moglie profondamente delusa da quell’imbelle, diceva la Cleopatra, di quel pezzo di Marcantonio di suo marito, ne stigmatizzò senza ritegno  il carattere di lui, a suo augusto parere, assolutamente inconcludente.

Ma veniamo al busillis, cominciando ab ovo.

Il dotto Salvatore Pisano-Verdino, “socio ordinario” della Reale Accademia di Archeologia  di Napoli,   venendo a discorrere nel 1865  d’un “Critico francese” ( Emile Egger),  il quale s’era proposto di esaminare il papiro Ercolanense 817 “pour étudier les habitudes orthographiques des copistes romains”, si lamentava in alcune sue piccate “riflessioni critiche” del fatto che il gallico studioso non si fosse preoccupato di dare “il fac-simile del papiro” (1). Rinviando il lettore curioso alla dissertazione, tra l’altro interessante, del professor Salvatore Pisano-Verdino, mi limiterò a dire che il  professor  Pisano-Verdino, per ovviare alla grave mancanza dell’Egger, si prese lui la briga di dare il facsimile del papiro stesso, credendo “conveniente per gli studiosi soggiungere le quattro tavole del papiro, e la doppia lettura deg’Interpetri”  (2). Ora, la tavola di papiro approntata dal Pisano-Verdino in facsimile, e che a noi interessa in modo particolare è visibile nell’immagine in apertura dell’articolo.

In particolare ci soffermeremo sulla COL. III, alla quinta riga, che inizia “QUI. S ….. VIT NOS. Si tratta, spiegava Antonio Traglia, “dei frammenti  di un papiro di Ercolano (pap. 817), nei quali si parla di Antonio e Cleopatra e si lascia intravedere la fine della regina” (3). Esulando in questa sede dai problemi di attribuzione dei frammenti, che “i più”, dice Traglia, assegnano a Rabirio, lo studioso  si sofferma anche sul “contenuto di queste reliquie” (4). “Da quel poco che si può ricavare, continua Traglia, da quanto di esso ci è rimasto (invero assai poco) la narrazione riguarda gli ultimi momenti della guerra, in cui Ottaviano sta per sbaragliare Antonio e Cleopatra in terra egiziana”  (5).

Venendo al passo che ci interessa (riga quinta), il testo ricostruito così par suonare  (6):

… Est mihi coniunx

Parthos qui posset Phariis subiungere regnis ,

qui sprevit  nostraeque mori pro nomine gentis.

Hic igitur partis animum diductus in omnis,

quid velit incertum est terris quibus aut quibus undis …,

In nota  (7),  Antonio Traglia rileva :

“A quale spedizione contro i Parti si alluda, che Antonio avrebbe disprezzato [sprevit] di effettuare è difficile dire. Ma anche il testo non è certo:  invece di sprevit (Ciampitti), molti leggono statuit, altri spes aluit (Baeckstroem): il papiro ci dà soltanto s …uit”. Lo  Sprevit,  congetturato “dall’eruditissimo Nicola Canonico Ciampitti”  (8), variamente lodato , nonché statuit,  sono le due lezioni accolte nella ricostruzione del testo fornitaci dal Pisano-Verdino;  esso  è perfettamente uguale a quello proposto dal Traglia, il quale, accogliendo sprevit,  così traduce:

“Io ho un marito, il quale avrebbe potuto sottomettere i Parti al Regno d’Egitto, che disprezzò (ciò) e che morissero per il nome della nostra gente. Costui dunque è spinto nell’animo in ogni direzione e non è certo che cosa voglia, per quali terre o per quali mari …” (9).

Tutto parrebbe perfettamente a posto. Ma c’è un dato  che non (mi) convince per nulla; e non tanto perché sprevit  sia privo di un suo rigore logico che ben s’attaglia al contesto (10); ancorché a malincuore, mi corre di dire tuttavia che sprevit  non pare cogliere appieno  né il senso  dell’aggressività verbale di Cleopatra contro l’imbelle coniunx, né le “reali motivazioni” dalle quali scaturì l’ira funesta di Cleopatra.   A questo punto non si tratta tanto di tirare a indovinare come al gioco del lotto, quanto di  riconsiderare l’intero contesto da cui prese le mosse  la “lagnanza” di Cleopatra, regina sconfitta e moglie esacerbata e delusa dal  bel Marcantonio, e che in lui vide “solo” difetti, e nessun pregio nella conduzione della campagna partica.

La traduzione data all’inizio è di Antonio Traglia, e  ciò si raccomanda di per sé. Tuttavia l’accoglimento di sprevit, verbo in forza del quale Antonio avrebbe disprezzato l’idea di combattere contro i Parti, comporta una contraddizione storica difficile, se non impossibile, ad accettarsi. Come mai avrebbe potuto Antonio “disprezzare” l’ipotesi di combattere contro i Parti, se la sottomissione della Partia a Roma costituì il pallino di tutta la sua vita?  Santo Mazzarino insistette moltissimo su questo obiettivo di Marcantonio, che, poi, fu anche condiviso appieno da Ottaviano (in un primo tempo). Dopo la spartizione tra i due, scriveva Santo Mazzarino,

“il compito di Antonio era dunque chiaramente fissato:  egli avrebbe dovuto rintuzzare l’offensiva dei Parti e prendere a sua volta l’iniziativa militare contro questi minacciosi vecchi nemici dell’impero; quando P. Ventidio Basso, nel 39 a.C. ebbe vinto Labieno, e così riassicurata la pace romana all’Asia e alla Siria, Antonio poté registrare un grande successo in questo senso. Il successo fu confermato dalla seconda vittoria di Ventidio Basso, nel 38 a.C., sull’esercito partico […] Ottaviano e Antonio erano veramente d’accordo in queste cose” [corsivi miei] (11). Soprattutto, diceva ancora Santo Mazzarino, Antonio si propose la “grande campagna partica […] come mèta suprema  (12), poiché  egli fu “il sognatore di un’impresa partica ispirata alle tradizioni di Alessandro e Cesare” [corsivi miei]  (13).

Rebus sic stantibus, non è né accettabile né  credibile che la regina d’Egitto avesse usato il  verbo sperno (sprevit), che suggerisce il “disprezzo” di Antonio a un’ idea che  invece era “l’idea della [di lui] vita”.

Qual potrebbe essere allora il verbo più consono, storicamente “consono”, intendo, a rendere a un tempo più comprensibile il motivo della rabbia furente di Cleopatra contro il marito,  e il reale atteggiamento di Antonio nei confronti d’uno scopo (la conquista della Partia) sul quale egli aveva impostato “tutta la sua politica orientale”? (14).  A me pare che, nella rosa delle possibilità finora più gettonate (sperno, statuo e alo), abbia subito un ingiusto ostracismo un verbo che  ha molti  più numeri degli altri.

Il verbo in questione suona, in italiano, “astenersi”; in latino “se abstinere”: “S[e abstin]uit”, nella voragine spaziale creatasi nel papiro ercolanense 817 tra S … e uit.  Antonio non tenne in alcun  “disprezzo” il parere della regina, ma aveva semplicemente dilazionato la guerra contro i Parti, “astenendosi” dal mettersi in campagna,  perché “quello” non era il “momento giusto”, frenando perciò sulla fretta (molto interessata)  dell’impaziente Cleopatra, e provocandone il commento sarcastico, che, presumo fosse stato, in libera traduzione, più o meno il seguente:

“Ma guardate che razza di marito  mi ritrovo tra i piedi! Quel disgraziato avrebbe potuto (sott. ‘se mi avesse dato retta’) sottomettere i Parti e annetterli al Nostro Regno; il quale (qui), invece,  si astenne dalla battaglia (dalla pugna) e dal morire per la gloria della Nostra gente (Nostra: cioè “di” Cleopatra).

Cleopatra rampognò aspramente il marito per il suo “attendismo”, ma in realtà  dimostrando non direi tanto scarsa visione della politica estera romana, quanto un esclusivo quanto inveterato attaccamento  ai propri interessi: il “Nostro regno”, diceva.

Quando, dopo Azio, vi fu

“la fuga della nave di Cleopatra verso il sud”, ciò costituì il riflesso, diceva Santo Mazzarino, dell’’ “ibridismo del sistema politico romano-egizio concepito da Antonio […] Con la sua fuga verso il sud Cleopatra mostrava di preferire la difesa del nuovo stato egiziano da lei restaurato e ingrandito […] ad una tenace solidarietà con Antonio, nella difesa dei comuni interessi” [corsivi miei] (15).  Mentre, dunque, la regina d’Egitto non aveva occhi se non per il “Suo” regno,  Antonio doveva stare molto attento, invece, alla politica romana, cioè alle mosse di Ottaviano. Erano mutati i tempi, e  Ottaviano aveva cambiato idea sulla questione dell’azione del collega contro i Parti, temendo che una sua possibile vittoria  oscurasse il suo Nume:

“Era facilmente prevedibile, scriveva Santo Mazzarino, che Antonio, reduce da una eventuale impresa fortunata in Partia, appoggiato dal nuovo sistema di alleanze e di stati creati nel vicino Oriente, avrebbe oscurato per sempre, quasi nuovo Alessandro e nuovo Cesare, la posizione di Ottaviano” [corsivi miei]  (16). E’ fuori discussione, secondo Mazzarino, che se Antonio fosse riuscito a realizzare “il grande sogno di Cesare, la vittoria sui Parti, certamente la posizione di Ottaviano avrebbe subito una forte scossa” (17). Tra l’altro, Antonio aveva una propria strategia militare, ed era, da buon romano, assolutamente avverso a ogni “azione diretta”:

“Egli esprimeva , chiosava Santo Mazzarino, da questo punto di vista, una vecchia tradizione romana, la ripugnanza alle conquiste dirette nelle grandi zone ellenistiche orientali” [corsivi miei]  (18); e perciò aveva appunto creato tutta una serie di stati cuscinetto, “un nuovo sistema di equilibrio”, facendo, ad esempio, di Cesarione, e di altri suoi figli avuti da Cleopatra, i basileis di nuovi regni satellite. Così Alessandro Helios, il figlio avuto da Cleopatra intorno al 40 a. C., fu fatto basileus di Armenia “e anche di Partia, quando questa fosse stata conquistata” (19). Allo stesso modo, Tolomeo e Cleopatra Selene, altri figli avuti da Cleopatra, furono fatti basileis “di Fenicia-Cilicia e di Cirenaica” (20).

Tutto sarebbe stato pronto per la guerra partica tanto bramata  sia da Antonio sia Cleopatra; ma, diceva Traglia, a “ quale spedizione contro i Parti si alluda […] è difficile dire”. In  realtà, è probabile che la campagna contro i Parti fosse stata progettata da Antonio intorno al 34-33 a.C.: ma fu allora che Ottaviano si mise letteralmente di traverso facendo balenare l’ipotesi dello scatenamento di una nuova guerra civile:

“Man mano che la conquista di Armenia e la creazione di un sistema di stati vassalli nel vicino Oriente rendeva forte la posizione di Antonio, era necessario per Ottaviano lavorare ancor più accortamente presso l’opinione pubblica italiana, sminuendo i successi riportati da Antonio”  [corsivo mio] (21). A poco a poco, “la stessa grande campagna partica” vista come “mèta suprema” da Antonio, fu gravemente compromessa “dall’ostilità di Ottaviano”  (22), il quale, alla fine, per via di raffinata propaganda, riuscì a fare dell’avversario un “hostis publicus”, come asserì sagacemente Santo Mazzarino  (23). La concreta possibilità di doversi impegnare su due fronti paralleli e intersecantesi, la campagna partica da un lato e la guerra civile contro Ottaviano dall’altro, convinse Antonio che la faccenda s’ era andata facendo troppo rischiosa; e che bisognava risolvere separatamente i due problemi; perciò, sottolineava ancora Mazzarino,

“il conflitto tra i due rivali romani prese il sopravvento sulle esigenze dell’impresa partica” (24) , per cui Antonio “se abstinuit”, sentenzia il papiro 817. Da codesta visione strategica della campagna partica nacque dunque l’ “astensione” di Antonio; che non fu tanto “fraintesa” da Cleopatra ( che aveva capito perfettamente i termini del problema), bensì aspramente osteggiata proprio nel tentativo di “subordinarla” agli interessi espansionistici del “suo” Regno d’Egitto: di qui l’inveire di Cleopatra  contro l’ “attendismo” del marito, suggerendo perfidamente  una sorta di “tradimento” delle (sue ansiose) aspettative di annettere  i Parti al “suo” regno. Facciamola semplice.  La differenza fondamentale tra Antonio e Cleopatra in tema di politica estera sta in questo: che mentre Antonio, che aveva in mente la costruzione di un regno romano-egizio,  agiva in maniera leale e “collaborativa” con Cleopatra, aiutandola  a espandere il di lei regno, e mettendo sul trono dei paesi conquistati i loro figli, e persino Cesarione; Cleopatra barava spudoratamente, mettendo tra parentesi l’aggettivo “romano”, e pensando esclusivamente al secondo termine: l’ egizio.

Se abstinere (pugna)  ( o anche armis [ campestribus abstinet armis]) (25) è locuzione pertinente e molto aderente al con-testo in cui si trovò a agire Antonio,  perché, soprattutto, detta locuzione  si ritrova pari pari  in un autore latino molto esperto di “astensioni” dalle pugnae: vale a dire Livio, il quale, venendo a discorrere, appunto, d’una pugna da cui qualcuno s’era astenuto tra gli sberleffi dei nemici,  ci narra d’una situazione molto simile a quella che troviamo  nel papiro 817. Nel racconto liviano possiamo osservare tre dati interessanti che “anticipano” la situazione del papiro: l’impazienza delle truppe che avrebbero voluto scendere in battaglia senza indugi; la cautela dei consoli romani, i quali, dopo lungo consiglio, ritennero che quello non fosse il momento “giusto” per dare battaglia; e, infine l’irrisione degli Etruschi, che vollero vedere, alla stregua di Cleopatra, nell’  astensionismo dalla pugna un segno di “attendismo” venato di codardia.

“Consules velut deliberabundi capita conferunt , diu conlocuntur . Pugnare cupiebant , sed retro revocanda et abdenda cupiditas erat , ut adversando remorandoque incitato semel militi adderent impetum .  Redditur responsum inmaturam  rem agi, nondum tempus pugnae esse, castris se tenerent edicunt inde, ut abstineant pugna”  (26).

Come l’ “astensione” dalla pugna, provocò, nella narrazione liviana, l’irrisione degli Etruschi, che, a detta di Livio,  si presentavano provocatoriamente di fronte agli accampamenti romani,  insinuando “che i contrasti interni  erano solo una scusa per nascondere la paura” [simulationem intestinae discordiae remedium timoris inventum] (4-6);   l’ “astensione” di Antonio non solo  irritò profondamente Cleopatra; ma ne provocò anche il feroce sarcasmo con il quale la regina d’Egitto tacciava il  marito, ormai soltanto capace di  portare la flotta a zonzo fra terre e mari, senza una meta precisa, di pavido “astensionismo” (se abstinuit).

Se abstinere sembra il verbo che  (ci) dà “la” ragion sufficiente dell’ira rabbiosa venata di  sarcasmo della regina d’Egitto contro  Marcantonio, ai suoi occhi  ignavo vagabondo, che sapeva solo eclissarsi senza combinare un bel niente di niente. Nel considerare che la regina d’Egitto, per quanto s’è detto, era abilissima specialmente nel farsi gli affari propri, torniamo infine ancora una volta sul nostro papiro 817. Nella riproduzione del papiro data dalla Bodleian Library (MS. GR. Class. C. 7, 7, fol. 1621) (27), si osserva chiaramente la presenza d’una “gambetta” con la curva a sinistra verso l’alto (non visibile nella tavola del professor Pisano-Verdino), più o meno di questa fattura , che è posta vicino a UIT, e che sembra proprio il miserando lacerto di ciò che rimane della N di se abstiNuit, riferito a quell’ “uomo finito” (S. Mazzarino) di Antonio. E che Antonio fosse ormai un “uomo finito”, nel senso che aveva perduto ogni capacità di raziocinio, lo dimostra il fatto che egli “si trafisse alla falsa notizia della morte di Cleopatra” (28).

E Cleopatra?

Beh, Cleopatra fu ancora perfettamente  in grado di ragionare pro domo sua, e facendo tesoro della lezione del defunto marito, si prese un po’ di  tempo:  “se abstinuit”, cioè,  dal mettere in atto qualsivoglia forma  di autolesionismo prima di vedere se, magari, v’era terreno fertile da arare per “donazione” di Ottaviano; ma poi, dice Santo Mazzarino,  “dopo inutili tentativi di  trattare con [Ottaviano], si uccise facendosi mordere, com’è tradizione, da un aspide”  (29). Emile Egger , pur inviso al professor Salvatore Pisano-Verdino,  nelle sue Reliquiae (LII) ebbe il merito di sottoporre all’attenzione dei suoi lettori il testo del papiro  sulla morte dio Cleopatra (30):

“Col. VII.       Caedibus ex regina  voluntate peractis, Atropos, quae

procul spectatrix aderat, Cleopatram inter diversa  mortis consilia

fluctuantem ridet. Tertio post die, Caesar Octavianus cum exercitu

Alexandriae moenibus approppinquat ».

 

Alla fine,  Ottaviano s’appropinqua lemme lemme alle mura di Alessandria: l’aveva avuta vinta Lui, anche perché, come dice un antico adagio, “tra i due litiganti, il terzo gode”. Ma prima di lui, dice la Reliquia, se la rideva, da spettatrice,  Atropo (quella, per capirci, dell’ultima “sforbiciata”) , che dovette divertirsi da matti nell’assistere alla morte di Cleopatra, che,  “fluctuantem”, ondeggiava tra i più disparati “consigli” circa le metodologie più acconce alla sua dipartita, “astenendosi” a lungo, e stavolta sì per evidente paura,  ora dall’uno or dall’altro proposito.

Ma, come si sa, la legge del contrappasso è una ben dura legge:

Sed Lex.

 

Note

 

1)      “Sul capitolo LII del volume di R.E. Egger Latini Sermonis Vetustioris Reliqiae Selectae”. Riflessioni Critiche di Salvatore Pisano-Verdino, socio ordinario, in Atti della Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Napoli, Stamperia della Regia Università, MDCCCLXV, p. 256. Il rinvio di Pisano-Verdino è a Emile Egger,  “Poëme sur la guerre d’Actium (Après l’an de Rome 722; av. J. C. 31)”, “Reliquiae”  LII, in Latini Sermonis Vetustioris Reliqiae Selectae, par A.E. Egger, Paris, Chez L. Hachette, 1842, p. 317. Notava l’Egger che il papiro «  nous offre en effet les seules pages de latin qu’on ait jusqu’ici reconnues parmi les nombreux papyrus découverts à Herculanum, et c’est, après les inscriptions reproduites ci-dessus, le plus ancien texte sur lequel on puisse étudier les habitudes orthographiques des copistes romains » (p. 313). L’Egger inoltre asseriva che « les soixante et quelques vers qui composent ce fragment furent connus dès 1802, déchiffrés vers 1804, et imprimés cinq ans après par Ciampitti dans la préface du t. II des Volumina Herculanensia » (p. 314).

2)      Ivi, p. 274.

3)      Antonio Traglia, “Poeti latini dell’età Giulio-Claudia misconosciuti. II. Gaio Rabirio”, in Cultura e Scuola, aprile-giugno 1987, n. 102, pp. 47-54.

4)      Ivi, p. 49.

5)      Ibidem.

6)      Ivi, p. 30.

7)      Ivi, p. 30 nota 17.

8)      “Sul capitolo LII del volume di R.E. Egger …”, cit.,  p. 256.

9)      Traglia, pp. 50-51.

10)    Anche le  congetture statuit (stabilì),  e spes aluit del Baeckstroem: “[Antonio] alimentò in me (false) speranze (m’ingannò)],  ancorché interessanti, tuttavia confliggono con il nostro assunto (Cfr. sopra nel testo).

11)    Santo Mazzarino, “ 10. Dalla spedizione partica di Antonio alla battaglia d’Azio”, in L’Impero Romano, Bari, Laterza, 1973, Vol. I, p. 59.

12)    Ivi, p. 63.

13)    Ivi, p. 65.

14)    Ivi, p. 63.

15)    Ivi, p. 65.

16)    Ivi, p. 62.

17)    Ibidem.

18)    Ivi, p. 61.

19)    Ibidem.

20)    Ibidem.

21)    Ivi, p. 62.

22)    Ivi, p. 63.

23)    Ivi, p. 65.

24)    Ivi, p. 63.

25)    Cfr. Giacomo Cortese, “La sintassi dei casi in Orazio”, in Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Torino, Clausen, 1894,  p. 197.

26)    Livio, Ab Urbe Condita, II, Cap. XLV, 7-9, in Il libro II delle ‘Storie’ di Tito Livio, commentato da Enrico Cocchia, Torino, Loescher, 1888, pp. 148-149: “I consoli decisero di consultarsi, e perciò discussero molto a lungo. Anch’essi erano impazienti di scendere sul campo di battaglia, ma, per il momento, era più opportuno a loro parere far finta di niente e trattenere l’impeto, anche per aumentare il desiderio di combattere dei propri soldati. Dopo il consiglio, dissero ai soldati che i tempi non erano ancora maturi e che quello non era per nulla il momento di scendere in battaglia: perciò i soldati restassero nei loro accampanti e s’astenessero dalla pugna”.

27)    Bodleian Library, University of Oxford, 2004 (P. Herc. 817 col. 4. Carmen de Bello Actiaco. MS. GR. Class. C. 7, 7, fol. 1621 [http://www.papyrology.ox.ac.uk/cgi-bin/library]. Devo dire che le tavole fatte approntare in facsimile dal professor Pisano-Verdino sono di buona qualità, anche a un riscontro con le riproduzioni odierne eseguite con le più sofisticate tecnologie. Le tavole costituiscono pertanto testimonianza attendibile. In realtà, com’è noto, i facsimili prodotti nell’Ottocento erano  dei “disegni” talora eseguiti con scarsa aderenza al papiro originale. Sulla questione, cfr. quanto dice Roger T. Macfarlane, (“P.Herc. 817 from Facsimiles to MSI: A Case for Practical Verification”, in Proceedings of the Twenty-Fifth International Congress of Papyrology, Ann Arbor 2007 American Studies in Papyrology (Ann Arbor 2010) pp. 455–462: p. 455): “Until recently editors of the Carmen de bello actiaco worked with apographs, or disegni, drawn by hand to replicate the traces of ink and other features of the papyrus. Immarco used the binocular microscope to read the intractable papyrus itself. The recent application of digital infrared imaging technology – sometimes called ‘multispectral imaging’ by mistake – has made the text of P. Herc. 817 more accessible than ever before. These images produced by scholars at Brigham Young University have led to improved legibility of this and other damaged papyri. The next edition of P.Herc. 817 will be the first that can be accompanied by trustworthy images for scholarly verification”. Cosicché, se confrontassimo la tavola del professor Pisano-Verdino con il testo fornito oggi dalla Bodleian Library, certo vi troveremmo differenze sostanziali soprattutto nei dettagli ( cfr. sopra nel testo), ma non si può non riconoscere il fatto, considerevole, che le tavole del professor Pisano-Verdino sono  ben leggibili e ottimamente disegnate).

28)    Santo Mazzarino, L’Impero Romano, Vol. I, cit.,  p. 65.

29)    Ibidem.

30)    Emile Egger,   Poëme sur la guerre d’Actium …, cit., p. 317.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.