“Ave firmus pes”, e il pié fermo di Dante (Inf., I, 80)

Selva

Torno su uno dei luoghi critici più tormentati della Divina Commedia : “sì che il pié fermo sempre era il più basso”.  Quel “si che” è un “sicché”: “Cosicché il pié fermo era sempre il più basso”.  Domenico Guerri, che studiò da par suo questo passo della Comedìa, dopo aver compulsato tutte le fonti possibili ed immaginabili, dagli antichi scoliasti ai moderni esegeti (e le loro “sciocchezze”), e dopo aver compiuto dotte ponderazioni sulle differenze che esistono tra “spiaggia” e “piaggia” (luogo in pendenza) era giunto alla conclusione che il verso doveva esser letto in questo modo:

 

“Il passo dantesco si dovrà dunque spiegare così: ‘mi rimisi in cammino pigliando la via del monte, di maniera che il piede fermo, cioè quello su cui reggevo il peso della persona, era sempre meno elevato di quello che avanzava’” ( Guerri, p. 82).

 

Domenico Guerri  era uomo di notevole dottrina e le sue conclusioni (anche perché suffragate da una logica stringente)  furono e sono largamente accettate dalla critica.  Ma, diciamolo pure,  un fondo di dubbio, non possiamo negarlo, è sempre rimasto.

 

Le cose stanno veramente così? Guerri diceva assennatamente che un’interpretazione resta valida sinché non arriva qualcuno che, badandosi su dati certi, non la sfalda, arrivando ad altre conclusioni. Corro il rischio (calcolato) di poter essere annoverato tra gli “sfaldatori” (non tra i  “rottamatori”, per carità) di turno. Ma il mio è un rischio calcolato, nel senso che le pezze d’appoggio sono buone, più che buone, e rispecchiano in pieno la cultura del Medioevo, di cui Dante fu portatore eccelso.

 

Diamo pure per buona l’ipotesi che Dante si trovasse su una landa inclinata, e che si trovasse pure nella tipica posizione di chi sta salendo un declivio; però, forse, questo “sforzo” ha più un valore metaforico che “fisico”.

 

Intanto contestualizziamo i versi. Dante era nel pieno dall’esperienza della selva selvaggia, in una notte di vero terrore che gli aveva “conpunto” il cuore. Dobbiamo pensare che Dante fosse tutt’altro che tranquillo, anche perché, probabilmente, s’aspettava nuove e più temibili esperienze. E infatti, eccoti subito una lonza, che proprio gli sbarrava il cammino, poi un leone e poi ancora una  lupa. Direi che, sotto l’aspetto emotivo, Dante era proprio sotto shock.

 

Le cose, come sempre (o quasi) scaturiscono per caso. Leggevo un giorno un inno  medievale, che, ad una prima lettura, mi sembrava  dedicato alla Madonna, ma poi scopersi essere invece dedicato a Santa Caterina (d’Alessandria):

 

Ave salus afflictorum,  et spes firma contritorum  […]  Ave firmus pes (il  pié fermo di Dante).

 

Lessi che  Santa Caterina era definita con epiteti quali   firmus pes, ossia pié fermo,  “salus afflictorum” (salvezza degli afflitti), e soprattutto “spes firma” (ferma speranza di coloro che si pentono).

 

Va da sé dove voglio arrivare.

 

Dante era  in gravissima difficoltà, in così grave difficoltà tanto da  dubitare che  anche il firmus pes ( Santa Caterina) e la “spes firma” (sempre Santa Caterina), ossia la “ferma speranza” potessero dargli una mano in quel terribile frangente.

 

 

Dante insomma dice che anche il firmus pes,  e la “spes firma” (l’aiuto di Santa Caterina, simbolicamente “la speranza”)  sembravano  averlo abbandonato.  Restando fermi al  pié, direi che Dante aveva il “morale decisamente sotto i tacchi”. Diciamo anche che gli epiteti testé citati compaiono entrambi in stretta correlazione nell’Inno di Santa Caterina d’Alessandria. Per di più c’è poi qualche altro dato storico da considerare, ossia il fatto che Santa Caterina d’Alessandria era veneratissima nel Medioevo, in modo particolare in Germania; però anche la Firenze dei tempi di Dante ci riporta, quasi per magia, a Santa Caterina d’Alessandria, perché

 

“intorno al 1300 la zona di Santa Caterina d’Alessandria era immediata periferia cittadina [di Firenze]” (F.  Cesati).

 

Dante, pertanto,  doveva  conoscere molto bene la Santa, perché “Ella era patrona di oltre 30 categorie di persone” (M. Valente Bacci, p. 75, nota 1). Commemorata a Firenze il 25 novembre,  era  patrona dei “filosofi cristiani” ( chi più “filosofo” di Dante?) e, secondo la leggenda, il suo corpo mortale fu trasportato dagli angeli sul Sinai, dove ancor oggi è particolarmente venerata (F.  Cesati). “Caterina di Alessandria fu una delle sante più popolari del Medioevo. Motivi diversi, quali la grande diffusione del suo culto, la riforma dei conventi e la necessità di fornire letture adatte ai religiosi, avevano fatto sì che la narrazione del suo martirio avesse un posto preminente nella letteratura agiografica medievale” (M. Valente Bacci, p. 75).

 

Concludo. Non è che si voglia inficiare l’interpretazione tradizionale del famoso verso dantesco; però è possibile che la presenza dell’espressione pié fermo, rimandi effettivamente e metaforicamente a Santa Caterina d’Alessandria,  spes firma,  “salvezza degli afflitti” e “ferma speranza dei pentiti”. Santa Caterina d’Alessandria, sottolineò M. Valente Bacci, svolse sempre un ruolo “attivo”: “E’ lei che […] opera il prodigio in favore di colui che ne invoca l’aiuto” (M. Valente Bacci, p. 85).

 

Dante era sicuramente “afflitto” dall’esperienza della “selva selvaggia”; era anche sicuramente “pentito”; ma, in cuor suo, egli si disperava del fatto che, in quel momento, anche il pes firmus, cioè Santa Caterina d’Alessandria, lo avesse abbandonato, per cui la “percentuale” di speranza di portare avanti il suo “viaggio” gli pareva  decisamente “bassa”:

 

“il pié fermo (la speranza) è sempre più basso”.

 

D’altra parte, un po’ più avanti, di fronte alla “lupa”, Dante l’aveva pur detto, con altre e più chiare parole, che, ad un certo punto, gli sembrava di aver perduto “la speranza dell’altezza”:

 

Questa (la lupa) mi porse tanto di gravezza

Con la paura, che uscìa di sua vista,

Ch’io perdei la speranza dell’altezza (del colle, simbolo di ogni pregio).

 

L’Inno a Santa Caterina d’Alessandria:

 

Ave salus afflictorum

Et spes firma contritorum,

mei memor et meorum

sis vivorum propinquorum.

 

Ave firmus pes lapsorum

Solve nexum delictorum

Et largire commodorum

Nobis copiam cunctorum (F. J. Mone).

 

“Ave, salvezza degli afflitti e ferma speranza di quanti si pentono; ricordati di me e dei miei cari ancora in vita. Ave, pié fermo di coloro che sono caduti nell’abisso del peccato, sciogli i nodi di tutte le nostre nefandezze, ed elargisci a noi tutti abbondanza d’ogni bene”.

 

Se c’era una preghiera che sarebbe potuta venire in mente a Dante nella “selva”, questa era quella giusta.

 

 

E’ ovvio che m’aspetto “sfaldatori” un po’ da tutte le parti; ma m’aspetto anche che siano ben attrezzati, però.

 

 

 

Fonti:

 

F. Cesati, Le strade di Firenze: la storia di una città attraverso la guida alfabetica di 2400 vie, piazze e canti : aneddoti, arte, storia e curiosità della città più affascinante del mondo, Newton Compton, 1994, p. 500.

 

D. Guerri, “Il pié fermo”, in Di alcuni versi dotti della ‘Divina Commedia’, Città di Castello, S. Lapi, 1908, pp. 51-82).

 

“De s. Katherina”, in F. J. Mone, Lateinische Hymnen des Mittelalters, Freiburg im Breisgau, Herder’sche Verlagshandlung, 1855,  p. 366.

 

Per la diffusione del culto di Santa Caterina d’Alessandria in Germania, cfr. M. Valente Bacci, “La leggenda di S. Caterina di Alessandria. Fonti e diffusione nell’area linguistica tedesca”, in Cultura e Scuola, luglio-settembre 1986, pp. 75-87.

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.