Il Barchetto del Duca e leggi razziali: Mussolini non era razzista

giardino
Nel giardino di Bassani

“Il Giardino dei Finzi Contini” di Giorgio Bassani è fin troppo noto al grande pubblico, e pertanto mi esimo dal presentarne una trama dettagliata, che può essere trovata un po’ dappertutto. In breve, Il giardino è la storia di una facoltosa famiglia ebraica di Ferrara negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. L’immenso giardino dei Finzi Contini è il centro degli eventi del romanzo, e anche il simbolo stesso della ricca famiglia ebraica ferrarese:

“Ai miei piedi (solo adesso, me ne rendevo conto), le chiome dei nobili alberi gonfie di luce meridiana come quelle di una foresta tropicale, si stendeva il Barchetto del Duca: immenso, davvero sterminato, con al centro, mezzo nascosti nel verde, le torricelle e i pinnacoli della ‘magna domus’, e delimitato, lungo l’intero perimetro, da un muro di cinta”.

La storia del “Barchetto del Duca”, ossia del meraviglioso giardino dei Finzi-Contini, si dipana accanto alle vicende personali del giovane protagonista, studente liceale, colpito, insieme ai suoi familiari, dalle leggi razziali anticipate nel luglio del 1938 e promulgate il 17 dicembre dello stesso anno. Questo dato esistenziale del giovane studente del liceo “Guarini” introduce ad una delle discussioni più intense della storiografia contemporanea, ossia il significato e il peso di quelle leggi, spesso confrontate con quelle emanate in Germania.

Nel dibattito tra gli studiosi più eminenti del fascismo (De Felice, M. Sarfatti e Georg Mosse) emergono tesi volte a limitare fortemente l’impatto delle leggi razziali fasciste sugli ebrei italiani. De Felice, per esempio, affermò che “il fascismo [trovò] tra gli ebrei italiani un vasto seguito; forse più vasto di quanto si credeva” ( De Felice, p.74). Per di più, Mussolini non aveva preconcetti contro gli ebrei, tanto è vero che “alcune importanti nomine seguite alla conquista del potere da parte di Mussolini”, portarono nel suo governo un ebreo, Aldo Finzi: “Sottosegretario agli Interni fu nominato l’ebreo Aldo Finzi, ex aviatore della ‘Serenissima’ di D’Annunzio, squadrista, deputato e membro del Gran Consiglio del Fascismo, e vicecapo della polizia con De Bono” (De Felice, p. 76).

E ancora: “In occasione della lotta di librazione gli ebrei si comportarono né più né meno come tutti gli altri italiani: alle Fosse Ardeatine fu massacrato tra gli altri Aldo Finzi, ex Sottosegretario fascista dell’Interno e membro del Gran Consiglio, arrestato pochi giorni prima per aver aiutato e ricevuto nella sua villa sui Castelli Romani un gruppo di partigiani” (De Felice).

Al di là della figura che potrebbe sembrare “solitaria” di Aldo Finzi, L. Ventura sottolineava come “tra gli stessi fondatori del fascismo vi erano stati alcuni ebrei, oltre 200 avevano il brevetto ufficiale per aver partecipato alla marcia su Roma e quelli in grado di vantare l’iscrizione al fascio fin dalla prima ora erano poi parecchie centinaia”.

Georg Mosse suffragò l’ipotesi di De Felice, asserendo che “Mussolini non era razzista”, e che le leggi razziali furono promulgate più che altro per dare un “nuovo slancio al fascismo”.

M. Sarfatti fu molto più puntiglioso al riguardo, non escludendo che al fondo delle scelte “razziali” di Mussolini vi potesse essere stata una punta di “razzismo biologico”, perché, per riconoscendo che nel decreto legge vi fossero degli “ammortizzatori” per gli ebrei italiani, specialmente per quanti “annoveravano un parente caduto in guerra o per la causa fascista”, la legge stessa non ne contraddiceva “l’impianto razzista biologico”.

Al di là delle fortissime suggestioni “e contrario”, sostanzialmente convergo con l’ipotesi formulata da G. Mosse: “Mussolini non era razzista”. La convinzione scaturisce dagli studi condotti a suo tempo su Aldo Finzi, in cui ebbi modo di approfondire anche la personalità di Benito Mussolini, che sapeva da tempo dell’intenzione di Hitler di promulgare una legislazione contro gli ebrei, ed egli volle battere sul tempo il suo alleato-avversario, dimostrandogli che il “maestro” era sempre lui, e che era in grado di anticipare tutte le mosse di un alleato che pur rimaneva un suo “ semplice allievo”.

Se non si poteva battere Hitler sul terreno dell’organizzazione militare, su quello puramente politico-strategico-propagandistico la cosa si poteva fare, e fu fatta proprio con l’intento di dimostrare a Hitler che il “maestro” era sempre lui, Mussolini. In questo senso non è privo di significato il fatto che il “Manifesto della razza” fu pubblicato il 14 luglio del 1938, poi trasformato in “Regio decreto legge” il 17 novembre 1938-XVII, n. 1728 (Gazzetta Ufficiale. N. 264 del 19-11-1938), “anticipando” di un paio di mesi il decreto legge tedesco, del dicembre 1938, effettivo da gennaio, che escludeva gli ebrei dalla vita economica del paese. L’interesse “propagandistico” era al vertice del pensiero di Mussolini, da sempre. Quando “La nostra bandiera”, la rivista “degli italiani di religione ebraica” fondata “sul possesso di una solida fede fascistica” commentò le voci di una possibile sterzata antisemitica del fascismo, faceva capire che si trattava di frottole:

“Il numero unico di febbraio de ‘La nostra bandiera’ riportava in apertura il testo dell’ ‘Informazione diplomatica n. 14’ la prima presa di posizione ufficiale del regime sulla questione ebraica. Laddove il prologo dava come ‘completamente errata’ la diffusa voce che voleva l’Italia ‘in procinto di inaugurare una politica antisemita’, il finale era però inequivocabile: ‘Il Governo fascista si riserva tuttavia … di far sì che la parte degli ebrei, nella vita complessiva della nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e alla importanza numerica della loro Comunità”.

Anche il commento di Mussolini, maestro di propaganda, rispetto a questo articolo della “Nostra bandiera” è inequivocabile. Quel testo, egli disse a Galeazzo Ciano, era

“un capolavoro di propaganda antisemita” (Ventura, p. 752).

Certo, poi le cose andarono male, anzi malissimo. E se anche le intenzioni iniziali di Mussolini furono probabilmente essenzialmente propagandistiche, volte a un “rilancio” internazionale del fascismo italiano “contro” l’invidiato e al tempo stesso odiato rivale-alleato teutonico Adolf Hitler, poi le cose presero una brutta piega per gli ebrei italiani.

In definitiva, anche Mussolini fu letteralmente travolto dai drastici ed infernali sviluppi dell’antisemitismo hitleriano, e “anche” gli ebrei italiani furono risucchiati nel gorgo che non lasciava scampo. In questo senso, mi trovo in perfetto accordo con Sarfatti, allorché osservava che Mussolini con quel decreto non aveva tenuto conto delle conseguenze di un simile atto legislativo, “che in pratica salvava qualcuno ma perseguitava gli altri e alla fine avrebbe eliminato anche questi ultimi nel giro di un paio di generazioni” ( Sarfatti, pp. 51-52).

E mi trovo ancor più d’accordo con l’editore de “La nuova bandiera”, Andrea Viglongo, il quale, rivolgendosi ai redattori della rivista, scrisse parole profetiche:

“Se io fossi ebreo, come voi, mi preoccuperei più dell’avvenire che del presente” (Ventura, p. 753). E aveva ragione.

Probabilmente Mussolini non era razzista, ma gli atti sono atti, e le azioni sono azioni; e comportano inevitabili conseguenze. Per questa ragione, Mussolini, pur non essendo razzista, deve “sopportare” di portare sulle sue spalle, usando le sue stesse parole, anche la “responsabilità politica, morale e storica” di quell’ormai antico decreto del 17 novembre del 1938, che trasformò l’idillico giardino dei Finzi Contini nel girone infernale dei campi di sterminio.

Fonti:
R. De Felice, “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”, Torino, Einaudi, 1993.

G. Mosse, “Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto”, Roma-Bari, Laterza, 1980 (New York 1978), pp. 214-216.

M. Sarfatti, “Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi”, Torino, Einaudi, 2002, pp. 22-23.

L. Ventura, “Il gruppo de ‘La nostra bandiera’ di fronte all’antisemitismo fascista (1934-1938)”, in “Studi Storici”, luglio-settembre 2000, pp. 723-724.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.