Carlo Emilo Gadda recensore di Giorgio Pasquali

 

La recensione di Gadda a Giorgio Pasquali, filologo tra i più eminenti d’ogni tempo e stagione, avvenne nel 1952. E fu, e rimane tuttora, un vero capolavoro di stile gaddiano nonché di graffiante ironia; oserei dire di “cattiveria” critica. Intendiamoci, la “cattiveria” Gadda l’esercitò non contro Pasquali, che emerge dalle sue righe come un vero gigante della filologia, quanto contro coloro che gli vivevano intorno, dai più lontani, a quelli che furono a lui vicini nella professione. Pasquali fu un grande studioso, e Gadda non si stanca mai di evocarne la straordinaria grandezza; ma sono gli “altri” che fanno la figura degli gnomi, e per di più soggetti all’ironia travolgente ed impietosa del Gadda nazionale.

 

Cominciamo da quelli che sono, per ragioni socio-culturali giocoforza “lontani” da Pasquali e dalla filologia classica. Certo, Pasquali non è per loro:

 

“Il nome di Giorgio Pasquali non è forse dei più familiari alle orecchie dei tifosi di calcio: è nome insigne nell’ambito della cultura italiana ed europea”.

 

Serviti di barba e baffi i tifosi di calcio, passiamo ad altri. Ai colleghi, per esempio:

 

“Negli scritti di Giorgio Pasquali il dubbio critico, il memento quia pulvis, è perennemente sospeso sulla pagina: l’asserzione non è mai legata al desiderio preventivo di un enunciato: la pagina di Pasquali non conosce la libidine del partito-preso […] Davanti alla muraglia dell’ignoto, che nella filologia come nella storiografia è rappresentata dalla mancanza del documento, cioè della perdita del testo, Pasquali ammutolisce …”.

 

Pasquali è visto da Gadda come un eccezionale  “giudice” di poesia, e soprattutto di poeti: una turba, nel mondo antico, come tra i moderni. Ergo, son pochi i poeti che possono vantarsi d’esser stati tocchi del “difficile bacio della Musa”; gli altri poeti, icasticamente scolpiti dal perfido Gadda come emeriti cretini,   sono invece educatamente e delicatamente definiti da Pasquali, con un’invenzione linguistica degna del suo recensore,  come “a-mùsici”, ossia, proprio in onore dell’ a privativo, privati del bacio della Musa poetica. Vediamo:

 

“Non polemica per la gloria e il vantaggio: ma critica per la conoscenza. Argomenti? I più vari: direi impensati […] Acutamente penetrati e discussi, e ridotti involontariamente al ‘giallo’, ecco: il saggio si tramuta in un racconto. Non ci saranno i baci di Lesbia: ma c’è il drammatico, il difficile bacio della Musa. I cretini vengono chiamati  a-mùsici, ovvero abbandonati dalla Musa. E il fatto di essere abbandonati dalla Musa è chiamato a-musìa. Non spaventatevi per così poco”.

 

Bisanzio è stata “restaurata”  secondo i canoni del vero da Giorgio Pasquali, dopo l’incursione di D’annunzio, per il quale Bisanzio si riassumeva soltanto in tre parole: “lussuria, fasto, crudeltà”. E a tal proposito Gadda cita brevemente Pasquali, il quale osservava come “tra il Carducci e il D’Annunzio, tra la Cronaca Bizantina e La Nave, si colloca una ripresa di studi seri, chi vuole li chiami pure scientifici, su Bisanzio”.

 

Infine, “Giorgio Pasquali non ci dà della storia romanzata, della critica filologica in fumetti ad uso dei ragazzi d’ambo i sessi […] Giorgio Pasquali ha ‘pieno’ diritto  di sedere nell’Aula Magna, pur così affollata, degli scrittori italiani di oggi […] Se egli è dotto, e lo è di certo, è pure il dotto che non annoia: è l’uomo che conosce i meccanismi del mondo, e la natura delle anime e degli intelletti. Maestro all’analisi, pertinace assertore della verità, indagatore instancabile degli enigmi della filologia, egli e il non-pedante savio, è l’umanista affascinante”.

 

Credo che Giorgio Pasquali non potesse desiderare un interprete più potente della propria opera di studioso.  E ciò perché Gadda seppe cogliere il cuore del metodo di Giorgio Pasquali, sempre fermo al “dubbio metodico” di fronte a testimonianze incerte che, altri, invece, davano come “sicuramente interpretabili”. Qualche esempio tratto da un testo famoso di Pasquali:

 

“Sarebbe un forte sostegno per la nostra ipotesi, se potessimo addurre qual fatto sicuro  che il settenario e il senario furono introdotti nella letteratura romana innanzi a Livio Andronico: questo asserisce per il settenario E. Fraenkel e per il senario Fr. Altheim. Io devo confessare che ritengo quest’ipotesi molto probabile almeno per il settenario, ma non dimostrata né per l’uno né per l’altro di questi metri; e mi guardo bene dal fondarmici sopra per non correr rischio d’indebolire, anziché rafforzare, il mio assunto” (Sottolineature mie).

 

E ancora:

 

“Poiché tale forma di verso [ Il settenario] è esclusa da Archiloco e dalla tragedia ed è anche relativamente rara nella commedia, il Fraenkel ne deduce che essa è giunta a Roma per via popolare. Poiché essa a Roma si ritrova in versi popolari, il Fraenkel asserisce con piena sicurezza che è stata introdotta prima di Livio Andronico. Almeno la seconda proposizione è tutt’altro che certa” (Sottolineature mie).

 

Fonti

 

Carlo Emilio Gadda, “Le ‘stravaganze’ di Pasquali”, in L’Approdo letterario, 1952, n. 1, pp. 91-93.

 

Giorgio Pasquali, “Il saturnio e il senso ritmico romano”, in Preistoria della poesia romana, con un saggio introduttivo di Sebastiano Timpanaro, Firenze, Sansoni, 1981, pp. 130-132.

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.