Cesare nei manoscritti

Manoscritto

Per quanto riguarda la trasmissione manoscritta del “De Bello Gallico” [mi riferisco qui alle indicazioni di V. Paladini, “Cesare e la trasmission dei ‘Commentarii’”, in Paladini-Castorina, “Storia della letteratura latina”, II, problemi critici, Patron, e A. La Penna, “Aspetti del pensiero storico latino”, Einaudi], siamo in presenza di due tradizioni cesariane: una che contiene soltanto il “De Bello Gallico”, e un’altra che comprende invece sia il “De Bello Gallico” sia il “De Bello Civili”. Secondo Paladini, non ci sarebbe una netta superiorità di una classe di manoscritti rispetto all’altra e supporre, come è stato fatto, una più marcata “fedeltà” della prima classe rispetto all’archetipo, rimane una pura congettura.

I codici più antichi che conservarono le opere di Cesare sono l’ “’Amstelodamensis n. 81” [ I famiglia] e il “Parisinus 5763” [II famiglia]. Entrambi risalgono al IX-X secolo. Alla seconda famiglia appartiene anche il “Vaticanus Latinus 3864”, del X secolo, che contiene frammenti di Sallustio e le “Epistulae ad Caesarem”. La seconda famiglia di manoscritti cesariani è più complessa rispetto alla prima, e si divide a sua volta in altre due “famiglie”.

Alla prima famiglia appartiene il codice detto “Thuanes”, dell’XI secolo, così detto dalla biblioteca di J. De Tohu e dei suoi eredi (ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi). Alla seconda famiglia appartiene invece il codice “Ursinianus 3324” (conservato nella Biblioteca Vaticana), dell’XI secolo. Tutti e due contengono sia il “De Bello Gallico” sia il “De Bello Civili”.

Per quanto riguarda la composizione del “De Bello Gallico” e del “De Bello Civili”, la critica ha ritenuto a lungo che essi fossero stati composti “simultaneamente” intorno al 52-51 a.C., in base alla testimonianza di Aulo Irzio, secondo il quale Cesare scriveva “facile et celeriter”. Su tale datazione e, soprattutto, sull’ “interpretazione” delle parole di Irzio, ha sollevato dubbi legittimi A. La Penna, a parere del quale la testimonianza di Irzio “non” significa che “automaticamente” Cesare avesse scritto i “Commentarii” in una sola volta, ovvero nell’inverno del 52-51 a. C., ma, molto più semplicemente, che Cesare scriveva in maniera “rapida e veloce”. E’ un po’ difficile dargli torto.

In realtà, da un punto di vista strettamente logico, quella di A. La Penna fu e rimane una buona ed intelligente argomentazione. Tuttavia V. Paladini tenderebbe ad accettare la composizione “simultanea” dei due “Commentarii” cesariani, asserendo che, effettivamente, le parole di Irzio potrebbero suggerire una stesura “complessiva” degli stessi. Come si può vedere, il ragionamento viaggia parecchio sul filo del rasoio, anche se bisogna riconoscere che non è del tutto impossibile che Cesare avesse potuto scrivere nell’arco di qualche mese i due “Commentarii”. L’incertezza domina su questo argomento.

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.