Faulkner, As I Lay Dying, e le traversie della critica

Mentre morivo (As I Lay Dying, 1930) (1)  è un romanzo tutto giocato sul paradosso, e sull’irrazionalità assoluta dei casi della vita. I personaggi sembrerebbero avere, in apparenza,  un solido dovere morale da compiere: seppellire la vecchia Addie a Jefferson, secondo le di lei ultime volontà.

 

Tuttavia,  in questo viaggio a dir poco strano, con gente che si trascina dietro una bara,  ciascuno  persegue i propri fini, sempre inconfessabili. La famiglia Bundren è composta da  Addie, la moglie di Anse Bundren, sola in famiglia (lonely woman), vittima  dei sotterranei maneggi  del marito e dei suoi figli; Cash, il falegname, che, con la massima nonchalance,  costruisce, con gran fracasso,  la bara sotto le finestre della madre morente. Darl, il folle, che si rivelerà il più pietoso nei confronti della madre, in quella sorta di odissea che sarà il viaggio dei Bundren verso Jefferson. Jewel, il figlio illegittimo di Anse, e amato svisceratamente da Addie, si rivelerà indegno di tante attenzioni da parte della madre; la giovane Dewey Dell, che vuole andare a Jefferson per un solo e unico scopo: abortire; e infine Vardaman, il  più giovane, che vuole comprarsi invece un giocattolo, un magnifico red train, che corre veloce sulle rotaie.

 

La storia si sviluppa pertanto  intorno al viaggio “metafisico” della famiglia Bundren verso Jefferson; ma la cosa si rivelerà estremamente ardua. Cash, nell’attraversare un fiume, si rompe una gamba, mal composta da un veterinario. La notte stessa che segue l’epica lotta dei Bundren con il fiume in piena, mentre tutti sono spasmodicamente tesi a salvare non solo se stessi ma anche la “preziosa” bara della madre, che è appunto sottratta alla furia delle acque con ogni mezzo, perché essa costituisce la giustificazione del loro viaggio,  Darl, il folle, cerca di dar fuoco al granaio ove è stata riposta la bara della madre.

 

Il gesto di Darl, in realtà, non ha nulla di pazzesco: è il tentativo di sottrarre il corpo della madre all’ignominia dei fini inconfessabili che guidano i Bundren verso Jefferson. Allo stesso modo con cui i fratelli e suo padre difendono con le unghie e con i denti l’integrità della bara in cui è chiusa la salma di Addie, che tra l’altro comincia da qualche tempo ad esalare fetori, così Darl, appare l’unico  che  ha a cuore la madre, e, sia pure a modo suo, vuole che essa sia lasciata finalmente in pace; e visto che l’acqua non l’aveva voluta,  ci aveva provato con il fuoco.

 

Darl è l’unico essere dotato di pietas filiale nei confronti di Addie: “I always said, dice Cora, Darl was different from those others. I always said he was the only one of them that had his mother’s nature, had any natural affection” [ L’ho sempre detto io che Darl è  d’una pasta diversa dagli altri della famiglia. L’ho sempre detto che è l’unico che assomiglia alla madre per quel certo carattere capace d’ affetto]. Darl, pur nella sua follia, sa come stanno effettivamente le cose in casa sua; sa non solo dell’indifferenza dei suoi fratelli, ma ne conosce anche i moti più intimi e segreti. Egli sa perché Dewey Dell desidera ardentemente che Addie morisse al più presto: perché lei “vuole andare in città”:

 

“I said to Dewey Dell: “You want her to die so you can get the town: is that it?”. She wouldn’t say what we both knew.” [ Ho detto a Dewey Dell: ‘Vuoi che muoia per potere andare finalmente in città, vero?’ Ma lei non direbbe mai ad alta voce ciò che entrambi sapevamo fin troppo bene].

 

Infine, la famiglia Bundren arriva a Jefferson e vien data sepoltura alla salma di Addie. Darl, il folle,  è internato, con sollievo di tutti, in manicomio. Cash trova un vero dottore che lo cura. Anse, il marito, si consola: si compra una bella dentiera, si risposa e acquista pure un grammofono con i soldi che dovevano servire per l’aborto. Una bella farsa, in cui si fondono, pirandellianamente, i casi più assurdi.

 

Secondo Mario Materassi, nell’interpretazione di As I Lay Dying , si sarebbero comunque raggiunti dei ben precisi “punti fermi”, uno dei quali sarebbe la definizione data icasticamente da Peter Swiggart  sul romanzo, che sarebbe una moderrn mock-epic, vale a dire una moderna,  anche se “finta” epopea eroica  (2) .

 

Su questa particolare accezione del romanzo come modern mock-epic,    William N. Zoschak  puntualizzò:

 

“Actually, the best type of approach is probably that represented by Peter Swiggart who says, ‘Faulkner’s use of Christian symbolism was certainly inspired by the device, evident in the poetry of T. S. Eliot and the fiction of James Joyce, of imposing symbolic references to Greek or Christian mythology upon a modern scene.’ […]  We know that T.S. Eliot imposed such symbolic references at times for a mock heroic effect to portray the empty show of a particular generation” [Il miglior approccio all’opera di Faulkner è quello di Peter Swiggart, il quale asserisce che  ‘l’uso  del simbolismo cristiano in Faulkner certamente gli è stato ispirato dalla tecnica, evidente sia nella poesia di S. Eliot sia nel romanzo di James Joyce, di attuare rapporti simbolici della mitologia greca o cristiana con  la scena moderna’ […]  Sappiamo che T.S. Eliot usò tali riferimenti simbolici a volte per produrre un effetto ‘fintamente eroico’ proprio per ritrarre lo spettacolo di  vuoto totale  offerto da una particolare generazione”] (3).

 

Se la tesi di Peter Swiggart rappresenta un punto fermo, non mancano però altre suggestioni interessanti.  Per esempio, le relazioni di Mentre morivo  con il pensiero di Pirandello sembrano degne di particolare menzione, e giustamente parte della critica,  americana, e anche italiana,  le ha sottolineate . E.M.  Kerr mise in risalto, per esempio,  come Nathan Scott avesse opportunamente accostato Faulkner a Conrad, Kafka, “e agli scrittori più carismatici della letteratura contemporanea, da Baudelaire a Pirandello” (4). Allo stesso modo, A. Lombardo vide rapporti stretti tra Faulkner, Verga e Pirandello: si tratta, osservava, di scrittori “regionalisti”, e la Sicilia “non sembra poi così dissimile da Yoknapatawpha”, l’immaginaria regione dei romanzi di Faulkner (5).

 

Mentre morivo parrebbe dunque possedere  legami anche con la filosofia pirandelliana, in forza della quale la vita si riassumerebbe, alla resa dei conti, in un’ enorme pupazzata,  dove vige l’impossibilità assoluta dei contatti interumani.  Infatti, strutturalmente, il romanzo di Faulkner è a “sezioni”; e ogni personaggio sembra vivere in un mondo separato dagli altri, chiuso in un’impenetrabile solitudine, e senza una reale ed effettiva relazione con i membri della  famiglia, cosa che ricorda molto da vicino il pilastro della filosofia di Pirandello: l’ incomunicabilità, laddove  “ogni personaggio, scrive M. Materassi, vive il suo dramma solitario di egoismo e incomprensione e disperata possibilità di comunicazione” (M. Materassi, p. 123).

Scholes e Kellog (6) si occuparono di sfuggita di Faulkner, però fecero alcune osservazioni degne di nota riguardo la di lui  tecnica, parlando della presenza di “narratori multipli”:

 

“Riguardo a questo espediente, ci sarebbero molti punti interessanti da notare […] poiché i narratori sono qui moltiplicati, le prove di fatto diventano opinioni e l’empirismo diventa romance. La moltiplicazione dei narratori è caratteristica delle opere narrative moderne orientate verso il romance […] La tendenza degli scrittori moderni a moltiplicare i narratori […] sono segni di declino del realismo come forza estetica della narrativa”.

 

L’idea di Scholes e Kellog secondo cui Mentre morivo è un romance costituisce un dato molto interessante, e da sottolineare, perché nella tradizione letteraria anglosassone, v’è una distinzione netta tra romance e novel: dove, con il primo termine s’indica il romanzo fantastico; mentre con il secondo si qualifica il romanzo realistico, la rappresentazione oggettiva della realtà.

 

In Mentre morivo, dunque,  forse non tutto, ma molto,  si riduce a  romance, ossia  al trionfo delle opinioni: cosa che  implica necessariamente una visione assolutamente soggettiva del reale. Il che sembra, a ben vedere, null’altro che la versione “americana” del  relativismo pirandelliano, per il quale la verità sfuma e trascolora nel clamoroso Così è, se vi pare. In questo senso, Mentre morivo costituisce un’adesione, forse contestabile, ma indubbiamente reale del fatto che Faulkner potrebbe essere visto come  un illustre allievo  del  relativismo assoluto di Pirandello;  e capace, come il “maestro”,  di rappresentare una tragedia familiare in cui si suggerisce una tesi molto cara a Pirandello, ossia che la vita è davvero una grande, enorme pupazzata, altrimenti detta anche buffoneria.

 

Walter J. Slatoff  sottolineava come “We must feel simultaneously that Faulkner is making a thing of comic affirmation and that he is saying  that life is so meaningless and even vicious that any kind of affirmation is a mockery” [Dobbiamo accettare  ad un tempo stesso il fatto che Faulkner stia facendo un qualcosa che ha a che fare con il  comico; e che egli afferma che la vita è talmente priva di senso e persino così crudele che qualsiasi tipo di asserzione si risolve sostanzialmente in una beffa (7).  Il che sembra molto pirandelliano, se consideriamo anche soltanto il titolo di una raccolta di novelle di Pirandello: Le beffe della morte e della vita.

 

Tuttavia, e qui concludiamo, è ben vero che quella di Faulkner è un’opera “aperta”, che si piega cioè alle più diverse interpretazioni. In questo senso, non aveva  poi tutti i torti lo stesso Slatoff, allorché asseriva che “For most novels, and especially those of Faulkner, are so rich and varied that seekers will usually find in them what they are looking for”[ La maggior parte dei romanzi, e soprattutto quelli di Faulkner, sono così ricchi e vari che gli studiosi di solito trovano in essi quello che stanno cercando] (8).

 

E anche questa conclusione, senza voler per forza parteggiare per qualcuno,  sembra molto pirandelliana.

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

1)      William Faulkner, Mentre morivo,  a cura di G. De Angelis, Milano, Mondatori, 1958.  William Faulkner,  As I Lay Dying, London, Chatto & Windus, 1935, p. 17, 18, 34,  59.

2)      M. Materassi, I romanzi di Falkner,  Biblioteca di Studi Americani, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968, p. 122. Il riferimento bibliografico è a P. Swiggart, A Modern Mock-Epic: As I Lay Dying, Austin, 1962,  pp. 108-130.

3)      William N. Zoschak, “William Faulkner’s Use of Christian Symbolism”, in Furdek: Jednota Annual, First Catholic Slovak Union of America, 1976, p. 174.

4)      E. M. Kerr, William Faulkner’s Yoknapatawpha: a kind of keystone in the universe, Fordham University Press, 1983, p. 170.

5)      A. Lombardo, “Faulkner in Italy”, in D. Fowler-A. J. Abadie, International Perspectives, University Press of Mississippi, 2007, pp. 130-131.

6)      R. Scholes-R. Kellog, La natura della narrativa, Bologna, Il Mulino, 1970, p. 334.

7)      Walter J. Slatoff, Quest for Failure, New York, 1960. Citato in M. Materassi, p. 137.

8)      il passo di Slatoff è citato in  William N. Zoschak, William Faulkner’s Use of Christian Symbolism, cit., p. 173.

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.