Gli Arrabbiati, Alan Sillitoe e Megalopoli

megalopoli

 

L’attività letteraria internazionale tra gli anni ’50 e ’60 fu contraddistinta dalla nascita di molti ed interessanti movimenti avanguardistici, che operarono un vero e proprio “strappo” nei confronti della tradizione letteraria e della tradizionale rappresentazione della realtà.

 

Cominciamo la nostra rassegna  con gli inglesi. Nella seconda metà degli anni ’50, contemporaneamente all’esperienza  del teatro dell’assurdo, il cui massimo esponente fu sicuramente Samuel Beckett, nascevano in Inghilterra i famosi Angry Young Men, altrimenti detti Giovani Arrabbiati,  denominati in tal maniera  dal titolo di un saggio di  Leslie A. Paul, Angry Young Men, del 1951. Verso la fine degli anni ’50, gli Arrabbiati produssero anche il  Manifesto degli Arrabbiati,  che riassumeva l’atteggiamento di ribellione  della generazione postbellica  contro l’establishment  inglese, vale a dire contro  l’alta borghesia, la stampa conservatrice, la chiesa e la morale tradizionale. I  Giovani Arrabbiati  appartenevano per lo più ai ceti socialmente bassi, ed espressero con la loro opera  un profondo senso di frustrazione per l’assenza di prospettive nei loro tentativi di “scalata” sociale. La loro rabbia interessò anche gli istituti linguistici tradizionali: di qui l’ampio uso dello slang, una  mescolanza di espressioni  gergali e dialettali, che rispecchiava la  realtà quotidiana delle zone periferiche delle città inglesi dell’epoca.

 

Da John Osborne ad Alan Sillitoe

 

L’opera più famosa della produzione letteraria degli Arrabbiati inglesi fu un  dramma,  Ricorda con rabbia (Look Back in Anger, del 1956) di John Osborne (1929-1994), incentrato sulla figura di Jimmy Porter, un giovane appena laureato, ma anche decisamente frustrato nelle proprie aspettative,  che sfoga la sua rabbia  con una sequela di  invettive  contro una società dalla quale si sente ad un tempo attratto ma soprattutto respinto.

 

La critica inglese del tempo non accolse molto bene la protesta degli Arrabbiati, tacciati di essere soprattutto degli “arrampicatori sociali” senza scrupoli, e, per certi versi, anche un po’ “infantili”. In effetti, l’ “arrabbiatura” di Jimmy è un po’ troppo privata, e la sua “rabbia” assume atteggiamenti aggressivi che lo fanno sembrare essenzialmente un individuo meschino e capriccioso, del tutto insensibile alle sofferenze degli altri. Sta però di fatto che, a poco a poco, la rabbia  allargò i suoi confini, dilagando in una protesta che, uscendo dalla sfera privata, andò a coinvolgere l’intero assetto delle istituzioni e delle tradizioni borghesi.  Nel clima generazionale  degli  Arrabbiati si formarono alcuni tra i giovani scrittori più interessanti del  dopoguerra inglese; tra questi, Arnold Wesker , il quale, con  Osborne, tradusse al massimo livello espressivo  la sua “rabbia furente” contro la società inglese  con un’opera teatrale dal titolo Brodo di pollo con l’orzo , del 1958,che narra la storia  di una famiglia d’immigrati  ebrei che, da comunisti convinti, trapassano poi piuttosto velocemente verso forme di vita molto più conformiste.

 

Nel 1956  esordì a teatro anche una donna,  un’ “arrabbiata”, Shelagh Delaney, che scrisse  Sapore di miele,  che narra di  un’infanzia difficile in una zona industriale dell’Inghilterra del nord. La satira contro il  mito del benessere ispirò anche le opere teatrali di John Arden, La danza del sergente Musgrave, del 1959: una sintesi teatrale  di prosa, versi e canzoni, che ricorda da vicino il teatro di Brecht. Vicini al  “teatro dell’assurdo” di matrice beckettiana  furono invece le opere  di Edward Bond,  Le nozze del papa,  del 1962.  Tra i giovani narratori arrabbiati  spiccano altri nomi, come  Colin Wilson ed  Alan Sillitoe, autore di  Sabato notte e domenica mattina, del 1958, in cui lo scrittore,  narrando di un operaio, affrontò da vero pioniere i problemi legati alla futura nascita di  megalopoli.

 

Alan Sillitoe e Megalopoli

 

Alan Sillitoe (nato a Nottingham nel 1928)  fu un giovane davvero molto intraprendente, abbandonando  la scuola a 14 anni per  lavorare dapprima in una fabbrica di biciclette e poi presso una fabbrica di compensato. Sillitoe cominciò a scrivere nel periodo in cui prestava servizio  nella R.A.F, di stanza a Malaya, vivendo per quasi cinque anni a Maiorca. Con Arthur Seaton, il protagonista  del suo primo romanzo (Sabato notte e domenica mattina, 1958), Sillitoe volle esprimere le frustrazioni della classe operaia  nonostante la prosperità di cui essa  godeva in quel  tempo:

 

“La Felicità, dice Seaton,  dipende in gran parte dal denaro; il denaro che fornisce cibo, beveraggio, e  sesso” (Gindin, p. 15).

 

Egli inoltre sottolinea il fatto  che la fabbrica è  una ben triste realtà se paragonata allo studio caldo e confortevole dei professionisti. Le stesse implicazioni sociali possono essere individuate in altri romanzi come Key to the Door, del  1962  e The Loniless of the Long-Distance Runner, del 1966 e in altri racconti. A parere di Sillitoe, le caratteristiche dominanti della società sono l’egoismo e l’oppressione.  La Società organizzata è un quadro in cui operano soltanto la violenza e l’istinto predatorio (Gindin, p. 25). La società e le città sono una vera giungla,  dove la lotta per la sopravvivenza si manifesta in tutte le sua ferocia, e dove “l’uomo, creatura della giungla, è determinato da forze più potenti di lui” (Gindin, p. 28).

 

I lavori  di Sillitoe risalgono tutti agli anni ’60; tuttavia egli  preconizzò per vari aspetti il futuro di una società organizzata oggi   definita come megalopoli. Le parole usate per identificare megalopoli sono l’assenza di una dimensione umana, la disintegrazione e la  dissoluzione:

 

“Megalopoli:  l’immagine delle città si dissolve in una interminabile massa di  tessuto urbano indifferenziato, che si estende dal Maine alla Georgia e da Buffalo a Chicago […] Anche in una piccola strada, la tecnologia di megalopoli esibisce la sua caratteristica assenza di dimensione umana” (Lewis Mumford).

 

Nel 1980 Ulf Hannerz identificò quattro modi di esistenza urbana, vale a dire quattro modi attraverso i quali  gli individui  vivono ed esperiscono megalopoli: l’incapsulamento, la segregazione, l’ integrazione e la solitudine:

 

“Provvisoriamente, scrisse Hannerz,  classificheremo questi modi di esistenza urbana  nelle categorie della  solitudine, della segregazione, dell’ integrazione e dell’ incapsulamento. Le vite  reali degli individui sono attraversate da una di queste categorie. Megalopoli può infatti offrire una rete di relazioni molto ampia. Tuttavia tutti sono solitamente soggetti a specifiche reti di relazioni. Coloro che vivono l’incapsulamento  possano fare un uso molto limitato delle opportunità offerte dalla città e la vita  degli individui  si muove in una rete di relazioni interconnesse con un numero limitato di  rapporti, come i ceti privilegiati, i  gruppi etnici, o le sette religiose” (Hannerz, p. 257).

 

 

La segregazione e la realtà dei mondi separati.

 

“Con la segregazione l’individuo è collegato a un’altra rete di relazioni, ma le due reti rimangono chiaramente separate. Egli conduce una doppia vita, vivendo contemporaneamente in mondi contigui, ma  assolutamente separati” (Hannerz, p. 258).

 

 

L’integrazione è un modo con cui gli individui cercano di creare collegamenti anche laddove non esistono:

 

“L’integrazione è probabilmente il modo più comune e ordinario della vita nella città […] Attraverso l’integrazione la rete relazionale  di un individuo s’intreccia con  altre reti di individui  che non hanno forti tendenze a concentrarsi in una soltanto […] Tuttavia l’integrazione (forse agendo perversamente) potrebbe essere vista come un’ influenza urbana corruttrice, nel senso che tende a creare rapporti anche  laddove non ne esistono,  rendendo così familiari  volti assolutamente  sconosciuti” (Hannerz, p. 259).

 

“Passando alla solitudine, possiamo affermare  che essa  è una modalità di esistenza senza relazioni significative” (Hannerz, p. 260).

 

Come sfuggire allora alle “reti” di megalopoli? La fuga è impossibile:

 

“Ma, come si dice, non abbiamo alcun  potere di alterare le circostanze che  misteriosamente plasmano la nostra vita” (Sillitoe, The General, in Gindin, p. 28).

 

 

Fonti:

F. Binni, I Contemporanei: letteratura inglese, Lucarini, 1976, Vol. II. Sugli “Arrabbiati”, p. 656.

James Jack Gindin, “Allan Sillitoe’s Jungle,” in Postwar British Fiction: New Accents and Attitudes, Berkeley & Los Angeles, University of California Press, 1963.

Ulf Hannerz, Exploring the City. Inquiries Toward an Urban Anthropology, New York, Columbia University Press, 1980.

Lewis Mumford, The Urban Prospect: Essays, Harcourt, Brace & World, 1968,  p. 170, e p. 249 (traduz. mia).

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.