Gli Indifferenti di Moravia? “L’estratto cubico della banalità”

Un po’ tutta la critica ci rende giustamente edotti sul fatto che Gli Indifferenti ebbero vita dura in epoca fascista. Però la cosa va un po’ contestualizzata e indagata nei suoi giusti contorni. Intanto, secondo gli studi di G. Bonsaver  (1), all’inizio le cose non andarono poi così malaccio per Moravia e la sua “opera prima” (qualcuno ha detto anche “ultima”, perché Moravia non avrebbe fatto altro che ripetersi).

 

All’uscita del romanzo, nel 1929, fu la casa Editrice Alpes, diretta da Arnaldo Mussolini, che accolse il romanzo. Sin dalla sua pubblicazione e  fino a tutto l’agosto del 1929, le recensioni su Gli Indifferenti furono nel complesso molto lusinghiere; e tanto più “positive” se pensiamo che un giudizio più che incoraggiante sul romanzo di Moravia venne proprio nell’agosto del 1929 dalla Sarfatti, la quale, a proposito di Moravia, evocò nomi molto importati, da quello di Dostoevskij a quello nostrano di Verga.

 

La Sarfatti, come sappiamo, era molto vicina a Mussolini, e pertanto si può supporre che il suo giudizio fosse perlomeno, se non  condiviso, almeno tollerato anche da Benito Mussolini.  Però, a quanto pare, alcuni eventi del tutto esterni al romanzo ne determinarono alla fine una condanna senza appelli. Sembra infatti che le cose si fossero messe di traverso per Moravia perché la sorella, Adriana,  nel 1929,  a Parigi, aveva avuto contatti con i fratelli Rosselli, anche per via del fidanzato, noto alla polizia italiana come antifascista. Insomma, per farla breve, i Pincherle, tra cui lo stesso Alberto, furono posti “sotto osservazione”;  e di lì, pare, fosse derivato il sostanziale mutamento  della critica fascista anche nei confronti dello scrittore.

G. Bonsaver osservava altresì che “il primo episodio di censura [nei confronti di Moravia] si verificò nel 1935”, adducendo poi tutta una serie di altre argomentazioni interessanti,  ma che, per il nostro assunto, sono marginali.

 

Tuttavia, la data  del 1935 suggerita da G. Bonsaver  riguardo la “censura” fascista su Moravia è  assolutamente “tarda”, perché una stroncatura veemente e  senza vie di scampo apparve invece almeno sei anni prima, ed esattamente il 5 novembre 1929 sul Corriere Padano, a firma di Nello Quilici (2).

 

Asserire che in quella sua recensione Quilici sparò a zero su Moravia è usare un eufemismo. Moravia fu letteralmente annientato, e ridotto in polvere. Se non si crede alle mie parole, si crederà, suppongo, a quelle dello stesso Quilici, il quale, riprendendo  un articolo di  G. Titta Rosa  che s’era mantenuto su linee critiche “usuali” (3), soffermandosi, per esempio, sul “moralismo” di Moravia, “un moralismo, sottolineava Titta Rosa, che scende per vie tortuose da Dostoieskij [sic]”, si portò dietro tutta l’artiglieria pesante, aprendo un fuoco senza scampo su quel tapino di Moravia,

 

Soffermandosi inizialmente sul “moralismo” discusso da Titta Rosa, Nello Quilici cominciò subito con lo spianare le mitragliatrici e a far fuoco ad altezza d’uomo, dove “fogna graveolente” è l’epiteto forse più leggero usato  per il romanzo di Moravia:

 

“Più che di morale  l’ambiente di Moravia ha bisogno di pulizia. E’ un mondo lercio […] Puzza di cattiva rigatteria […] Il romanzo è una povera contaminatio di espurghi artistici, o, se vuoi, di rifiuti, di Dostoiewskij, di Proust, di Joyce, ma molto più Zola e dei suoi succubi naturalisti porcaccioni, vomitaticcio di motivi mal digeriti, insalata russa di spunti putrefatta […], fogna graveolente di tutti gli odori più nauseabondi, sputacchiera di tutte le espettorazioni del freudismo incatarrito e sifilopratico”.-

 

Dopo questo “introibo” che nella mente dei lettori della recensione di Nello Quilici deve sicuramente aver prodotto incoercibili conati di vomito nei confronti degli Indifferenti, Quilici passa all’analisi dei personaggi: “Quello sciagurato di Michele è uno scocciatore perverso e uno sciocco”. Carla e la madre sono “figure spettrali”. Ancora:  i personaggi del romanzo “non hanno forma: non sono uomini, sono molluschi: materia gelatinosa che sporca le dita”.

 

Indi  Quilici fa anche un’ampia panoramica di scrittori “sporcaccioni”:

 

“E viva la faccia dell’Aretino, perdinci, anche quando infila i suoi frati allo spiedo! Ma perfino Nana ci diventa simpatica in confronto a questa sciocchissima eroina che si contempla allo specchio […]  Ah sudiciona! E tutto questo per descriverci poi,  con uno stile da touring, che la bella indifferente apre il rubinetti, che l’acqua riempie il catino, esce dal troppo pieno e se ne va per la fogna, quando il grasso e l’acido delle ascelle della sua eroina l’hanno intorbidata”.

 

“Ma a noi, sbotta Quilici, tolto lo schifo,  che ce ne importa?”.

 

Botte finali:

 

“Così è questo romanzo fino alla fine. Trascinato  sopra un approssimativo tempo imperfetto, più uggioso d’una pioggia d’aprile”.

 

Passando poi allo “stile” e alla lingua degli Indifferenti:

 

“A proposito dello stile. Ecco qualche bel fiore di lingua, colto così a caso nello squallido giardino del ‘capolavoro’”:

 

‘Delusa Lisa si drizzò a sedere

 

‘Bisogna andare a svestirsi, disse, che tra poco è l’ora di cena’”.

 

Nello Quilici pubblicò la sua recensione il 5 novembre del 1929; se putacaso a qualcuno fosse capitato di leggerla prima di pranzo, sono sicuro che si sarebbe alzato da tavola elevando al cielo un solenne: “Non ho più fame!”

 

Per quanto riguarda Moravia, se fosse incappato nella recensione di Nello Quilici ( ma ne dubito, anche se la cosa non è del tutto impossibile, uscendo il Corriere padano a Faenza, Forlì, Ravenna e Verona, e anche se aveva un ufficio a Roma [ p. XVI, nota 3]), si sarebbe precipitato a ritirare il suo romanzo dagli scaffali delle librerie, ragionando sul fatto che esso era stato definito, tra le altre cose,

“l’estratto cubico della banalità”; mentre lo stile “farebbe diventar rosso un commesso viaggiatore”.

 

Ergo, e per concludere, visto che il lemma “fogna”, declinato anche al plurale, “fogne”, ritorna spesso e volentieri nella breve recensione di Nello Quilici,  c’è da scommettere che gli improbabili lettori ci avrebbero pensato su le mille e una volta prima d’andarsi a comprare un libro in cui si rischiava di ritornare “imbrattati come quelli che vanno a pulire le fogne”.

 

Se è vero che Mussolini, alla fine, e nonostante la Sarfatti,  s’era mostrato molto scontento degli Indifferenti, il suo messaggio s’era concretizzato in una delle stroncature più feroci che mai fosse toccata ad un autore in tutti i tempi, e in tutte le epoche.

 

Note

 

1)      G. Bonsaver, Mussolini censore: Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia, Bari, Laterza, 2013, in particolare il cap. 11 Discriminazioni ‘ad personam’.

2)      Nello Quilici, “Sì, si può andare più a fondo, caro Titta”, in Antologia del ‘Corriere padano’, in  Vent’anni di cultura ferrarese: 1925-1945, a cura di A. Folli, Bologna, Pàtron, 1978, Vol. I, pp. 40-41.

3)      G. Titta Rosa, “Si tratta di un ‘capolavoro’ o di un ‘aborto’ letterario? Gli Indifferenti o del moralismo”, in  Vent’anni di cultura ferrarese, cit.,  pp. 38-40.

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.