Gli occhiali di Montale

 

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro

di me, con un terrore di ubriaco.

 

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto

alberi case colli per l’inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

 

Montale, tentando di offrire una spiegazione razionale all’immagine dell’ “aria di vetro”, asserì quanto segue:

 

“Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo. L’espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo: un’esplosione. Ma questo era un limite irraggiungibile” ( E. Montale, “Intenzioni”). Ossia dal conoscere finalmente il “senso” della vita e delle cose. E’ soltanto un’intuizione momentanea: poi la realtà torna nella sua “grossezza” incomprensibile.

 

 

Sono d’accordo con Montale su tutto, o quasi. Non mi convince molto la sua explanatio  dell’ “aria di vetro” assimilata  a una “campana di vetro”, che lo “separava” dalla verità delle cose, da quel quid a cui egli si sentiva così vicino.

 

Se Montale non  fosse intervenuto con l’immagine della “campana di vetro” in cui egli “viveva”, direi che l’ “aria di vetro” non è una “campana”, ma, metaforicamente, essa costituisce invece i suoi “occhiali”; è attraverso quegli occhiali che Montale avrebbe potuto “vedere” il quid che si celava dietro le cose (“vedrò compirsi il miracolo”). L’ “aria di vetro”, i suoi “occhiali” sono peraltro perfetti per una visione chiara delle cose; infatti essi non sono intorbidati da alcuna atmosfera “umida” che li possa appannare. Infatti, dice Montale, l’ “aria di vetro” è “arida”, cioè “secca” e perfettamente pulita, come capita in certe giornate terse e pulite, quando si riesce a “vedere” molto, ma molto lontano.

Fu attraverso quegli occhiali “aridi” e secchi, perfettamente puliti, che Montale si avvicinò per una frazione di secondo al quid, ossia a vedere “il miracolo”. L’impressione svanì pressoché subito; ma egli non avrebbe mai rivelato a nessuno di essere stato, sia pure per un attimo subitaneo, così vicino alla “verità”.

 

Fonti:

E. Montale, “Ossi di Seppia”, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1979.

E. Montale, “Intenzioni ( Intervista immaginaria)”, in Sulla poesia, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1997, p. 568.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.