Guido Cavalcanti e Virgilio, “profeta di Cristo”: Inferno, X, 58-63

 

Chiunque  abbia attraversato l’Inferno di Dante sa quali problemi critici insorsero riguardo al verso di Inferno, X, 58-63: “Forse cui Guido Vostro ebbe a disdegno”:

 

Ed io a lui: Da me stesso non vegno:

Colui, che attende là, per qui mi mena,

Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.

 

Ne emersero giudizi contrastanti che ognuno di noi è in grado di seguire nelle note che accompagnano il famoso verso: c’è chi dice che il “disdegno” era per il Virgilio esaltatore dell’Impero, e per l’Eneide; altri addirittura che guido Cavalcanti era contro Virgilio “perché” poeta sic et simpliciter. Altri ancora che, in fondo, Cavalcanti non ce l’aveva tanto con Virgilio, ma con “altri”, forse Beatrice.  Ma su questa ipotesi ci troviamo di fronte ad interpretazioni arzigogolate che non convincono (1) .

L’ipotesi tutto sommato che può avere una qualche solidità storica è quella secondo cui cavalcanti fu un “miscredente”. Su questa idea si può arare, e trovare anche pezze d’appoggio non spregevoli. Comunque sia,  ci furono quanti accusarono i sostenitori di questa tesi di aver gettato un’ombra sulla figura di Guido, calunniandolo,  e facendone, appunto,  un “miscredente”, un epicureo, un ateo; potremmo quasi dire un degno figlio di tanto padre, Cavalcante Cavalcanti, noto in tutto l’orbe terracqueo per essere un epicureo. Al che Francesco d’Ovidio, che si sentì preso in mezzo, rispose acutamente che il compito del critico è quello di sciogliere i nodi concettuali e i punti oscuri di un testo, non quello di redimere anime, essendo la “cura d’anime” un qualcosa  che esula completamente dai compiti della critica letteraria (2).

 

Ma adesso è tempo di venire allo status quaestionis. La domanda è sempre la stessa: “Perché Cavalcanti avrebbe dovuto provare disdegno nei confronti di Virgilio?”.  Siccome Guido Cavalcanti, secondo Dante, ce l’aveva “espressamente” con Virgilio, e non con “altri”, come qualcuno ha supposto ( vedi più sotto),  bisogna vedere “quale” tipologia del personaggio Virgilio era rimasta sul gozzo a Guido, e, per come la vedo io, con quasi assoluta certezza  era il Virgilio “profeta” che  Guido non riusciva a digerire.

 

Se andiamo a leggerci il “Virgilio nel Medioevo” di Domenico Comparetti, riscontreremo che il termine “profeta” riguardo a Virgilio ritorna per almeno sei-sette volte  nell’ accezione di   “profeta di Cristo” (3). Ma perché Guido non accettava tale definizione? Guido Cavalcanti non era né un “miscredente”, né un epicureo, né  un puro “ateo” in senso stretto.  Si potrebbe invece dire, in base alle nuove acquisizioni storiografiche, che egli era un “eretico”, ma sempre nell’alveo della cristianità. Lo stesso Boccaccio ci dice che Guido teneva “alquanto” dell’epicureo: cioè che era “prossimo” o “vicino” agli epicurei che “ l’anima col corpo morta fanno”, ma con qualche differenza, come vedremo. Sappiamo intanto che Guido fece a suo tempo  un pellegrinaggio a Santiago di Compostella, e ciò ne farebbe, di per sé, un credente. Soltanto che, come diceva P. Ercole,  egli  ad un certo punto interruppe il suo pellegrinaggio e si  fermò a Tolosa:

“Dino Compagni ci dà per primo la notizia che Guido fece un pellegrinaggio a S. Jacopo di Galizia, e dal modo con cui nella Cronaca questo pellegrinaggio è accennato, è certo ch’ egli lo vuol riferire a qualche anno prima del 1300. Tale notizia ha recentemente trovata conferma, per ciò che riguarda la partenza di Guido da Firenze e il passaggio per la Francia, in un sonetto di Niccola Muscia (4). E chiaro che, se Guido fu a Tolosa,  dovette andarci nell’occasione del pellegrinaggio, giacché Tolosa era allora sulla strada che conduceva a S. Jacopo […] Giunto  a Tolosa vide Mandetta e se ne innamorò ” (4).

 

Ora, la faccenda di Tolosa e della Mandetta è un po’ più intrigata di quanto P. Ercole supponesse verso la fine dell’Ottocento. Secondo studi risalenti ormai agli anni ’40 del Novecento, Guido Cavalcanti era ampiamente noto a Firenze come  patarino o càtaro. Guido si fermò a Tolosa dove, egli dice, s’innamorò di una donna chiamata  Mandetta. Però, come ricordava A. Ricolfi,  la famosa Mandetta era “interpretata come il simbolo d’una setta catara esistente in Tolosa”; ed “eretico patarino lo chiamava il volgo” (5). Ricolfi , dal canto suo, diede una sua “lettura” del passo dantesco in questione, in cui non mostrava di  credere che il disdegno di Guido fosse rivolto a Virgilio, bensì a Beatrice. Il che è sicuramente un’affascinante interpretazione, ma che fa a pugni col testo, a cui dobbiamo cercare di  restare fedeli. E il testo ci dice che il disdegno era riferito a Virgilio.

 

Ciò che interessa qui ribadire è il fatto, che sembra oggi inoppugnabile, che Guido Cavalcanti professava una qualche forma di catarismo: “Non sostengo, scrive M. Soresina,  che tutti gli stilnovisti fossero catari, ma certamente lo era Guido Cavalcanti che era di famiglia notoriamente catara, di cui si sa che andò a Tolosa” (6).

Il che ci permette di osservare che i rapporti del catarismo con i “profeti” era tutt’altro che pacifico. Da quanto asserisce M. d’Alatri, sappiamo che per i catari  “tutti gli antichi patriarchi furono cattivi, e perciò dannati. Il polemista  pseudo-Giacomo Capelli, la cui Summa fu composta verso la metà del Duecento, con la consueta equanimità verso i catari, scrive che alcuni di essi (non tutti) confinano tra i dannati tutti i profeti” (7). La condanna dei “profeti” ritenuti in sé “malvagi” la riscontriamo in più fonti relative ai càtari. Così, per esempio, J. Duvernoy  osserva: “Il Dio, la Legge, i patriarchi ed i profeti dell’Antico Testamento, agli occhi dei càtari, corrispondono effettivamente a quanto espongono i Libri storici, ma sono radicalmente malvagi”. E “i Borgomili, secondo Cosma, dicono: “Quanto a noi, non diamo ascolto a David  né ai profeti”. E ancora: “ [I càtari] condannano i Padri e i Profeti dell’Antico Testamento”. Al massimo, i Profeti “parlano per ispirazione maligna”.  Infine: “ [ I càtari] condannano alla dannazione i patriarchi e i profeti e tutti quelli che sono morti prima della Passione” (8 [sottolineatura mia]). E in quest’ultima proposizione Virgilio, sia come profeta sia come pagano,  ci stava dentro con tutt’e due i piedi. Se pertanto sono vere ( e lo sono) le acquisizioni storiografiche che inquadrano Guido Cavalcanti tra i càtari, l’avversione del “primo amico” di Dante per il “profeta” e poeta “pagano” Virgilio si spiega ampiamente. E con ciò, il “profeta” Virgilio, nonché il suo discepolo, il “profeta” Dante, sono serviti.

 

Ora, è evidente che siffatta  posizione metteva Cavalcanti  in aperta ed insanabile rotta di collisione con il credo cattolico e tutta la tradizione profetica di biblica memoria. Cavalcanti in ciò si dimostra essere dunque un eretico da prendere molto sul serio, ma non era un ateo. In questo senso, non era neppure un epicureo di “stretta osservanza” alla stregua del padre, dannato insieme a quelli che credono che la morte del corpo coincida con la morte dell’anima, anche se, come è stato dimostrato, c’era andato molto vicino, professando egli l’averroismo. Tale professione di fede spiegherebbe anche le parole di Boccaccio, il quale sottolineò che Guido Cavalcanti “teneva alquanto di Epicuro”. In effetti,  alquanto si potrebbe spiegare con il fatto che Cavalcanti era anche seguace di Averroè, il quale “pensava che, mentre l’intelletto possibile è eterno, l’uomo come essere individuale è condannato a perire. In breve, non vi è immortalità personale” (9).

 

In conclusione, codeste tinte càtaro-averroiste facevano di Guido Cavalcanti un “eretico” della più bell’acqua: e  quanti lo definirono un “miscredente” subodorarono comunque in lui un qualcosa che non quadrava dal punto di vista cattolico. E tanto più doveva averne cognizione soprattutto Dante, amico intimo di Guido Cavalcanti.  Dante rispose a Cavalcante Cavalcanti facendogli intendere per umbras che il di lui figlio non poteva, diciamo così,  tecnicamente compiere insieme con lui Dante un viaggio “cristiano-cattolico” verso la salvezza, perché il di lui figlio Guido era, coram populo,   un “eretico” che “negava” sotto sotto l’immortalità “individuale” seguendo Averroè;  e condannava altresì, per le sue “tendenze” càtare,  non soltanto i profeti, ma tutti i pagani in blocco, poeti o non poeti ch’essi fossero stati.  Di qui, dunque, spiegato  il  disdegno per Virgilio, ritenuto “profeta” lungo tutto il Medioevo, e per di più pagano irredimibile.

 

Ciò professando, Guido Cavalcanti negava però “anche” tutto il credo cattolico, in blocco, cosa che ne faceva un vero e proprio “eretico”. Ed è altresì evidente che un “eretico” non poteva accostarsi ad un uomo come Dante. La critica andò parossisticamente alla ricerca del “perché” vi fu ad un certo punto una rottura “insanabile” tra Dante e Guido Cavalcanti. Qualcuno la mise  sul piano strettamente letterario:  si parlò di divergenze tra la concezione dell’amore tra Dante e Cavalcanti, che già sarebbero state sufficienti a creare una frattura fatale tra i due;  ma in realtà si trattava anche, e soprattutto,  di due visioni completamente opposte e inconciliabili d’intendere la religione, per cui Dante, cattolico senza reticenze o dubbi,  “ruppe” inesorabilmente, e per sempre,  con colui ch’era stato “il suo primo amico”.

 

Note

1)      Su tutta la questione che travagliò la critica italiana dell’Ottocento, si veda C. Berti, Il disdegno di Guido Cavalcanti con Virgilio nella critica dantesca, Milano-Roma, Enrico Trevisini, 1890.

2)      F. D’Ovidio, “Nota sul verso del X Canto dell’Inferno. Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno”, in Saggi critici di Francesco D’Ovidio, Napoli, Morano, 1878, p.  323.

3)      D. Comparetti, Virgilio nel Medioevo, Livorno, Vigo, 1872, p. 71, 92, 132, 155, 156, 319.

4)      P. Ercole, Guido Cavalcanti e le sue rime, Livorno, Vigo, 1885, p. 43, 45.

5)      A. Ricolfi, Studi sui fedeli d’amore, Società editrice Dante Alighieri, 1940, pp. XXXVIII-XXXIX.

6)      M. Soresina, Libertà va cercando: il catarismo nella commedia di Dante, Moretti & Vitale, 2009, p. 254.

7)      M. d’Alatri, Eretici e inquisitori in Italia: Studi e documenti, Brindisi, Istituto storico dei Cappuccini, 1986, Vol. I, p. 32.

8)      J. Duvernoy, La religione dei catari. Fede, dottrine, riti, Edizioni Mediterranee, 2000,  p. 33, 34,  268, 300.

9)      L. Surdich, “L’ombra di Dante  e le ombre dei peccatori”, in Raccolta di scritti per Andrea Gareffi, a cura di R. Caputo e N. Longo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2013, p. 105.

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.