I burattini di Montale

 

La storia delle marionette e dei burattini è antica quanto quella dell’uomo: “si perde nel tempo e nello spazio”, scriveva G. Trevisani  in un bellissimo articolo apparso  nel 1958 su L’Unità (1).

 

“Nella più antica civiltà egiziana si ha notizia di statue animate nei templi e nelle feste e, anni or sono, furono scoperte vere e proprie marionette del III secolo d. C. col corpo in legno e la testa d’avorio”. Venendo poi a tempi più vicini a noi, G. Trevisani   lamentava il fatto che, dopo il ritiro in campagna di Carlo Cella, “il leggendario burattinaio che dal 1906 al 1957 allietò l’infanzia di molte generazioni”, si registrava in Italia una pressoché totale “mancanza di burattinai”.

 

A quanto pare, Montale non era d’accordo con G. Trevisani, perché, a suo avviso, in Italia (e nel mondo) ce n’erano ancora parecchi di burattinai, ma molto dissimili da Carlo Cella, che lavorava a pro dell’infanzia: i “nuovi” burattinai d’Italia (e del mondo) erano, secondo Montale, del tutto “ostili” all’uomo contemporaneo. La poesia di Montale cui mi riferisco comparve in un’edizione numerata di sei poesie inedite promossa dalla Fondazione Schlesinger, stampata a Lugano e a New York, e poi ripresa anche dalla Nuova Antologia nel 1994 (2). La poesia, risalente al 1970, è tutta intrisa d’una profonda e totale disillusione riguardo il mondo contemporaneo, che sembra al poeta “folgorato”, e proiettato violentemente verso un antro in cui tutti “affonderemo”, e da cui, forse, riemergeremo “con contorni sfumati”.

 

 

Siamo burattini …

 

Siamo burattini mossi da mani ostili.

Non serve vedere le ingiustizie.

Tutto è ormai diruto. Si sfalda

Anche il prodigio. Gli occhi sono stanchi.

L’ultimo tempo del vivere è vissuto.

Resta solo l’incantesimo d’un volo

Da questa terra folgorata verso

Un nuovo antro, nel quale affonderemo

Per poi emergere con contorni sfumati.

 

Chi mai siano questi burattinai dalle “mani ostili” che muovono le vite di tutti non sembra poi cosa difficile a scoprirsi. Forse non ne conosciamo i nomi, ma ne sappiamo le finalità di manipolazione, di controllo dell’uomo e della sua mente. Pertanto, le finalità dei “nuovi burattinai” non sono per nulla le stesse di Carlo Cella , il quale “allietò l’infanzia di molte generazioni ”; esse, al contrario, sembrano condurre l’umanità al totale annientamento.

 

Poco dopo l’immagine dei “burattini” s’apre infatti la  visione apocalittica di Montale, per il quale “tutto è ormai diruto”, diroccato e allo sfascio; anche il “prodigio”, l’apparizione d’un “varco miracoloso” si sfalda, e  l’ “attesa del miracolo” non c’è più. Ci sarà soltanto una magia, una sorta d’ “incantesimo” che,  come per Orlando, ci porterà in volo non sulla luna, ma ci farà precipitare dentro un antro, probabilmente un “antro marino” da cui ebbe origine la vita “pre-umana”.

 

L’individuazione dell’antro come un “antro del mare” delle origini della terra sembra essere stata suggerita allo stesso Montale dalla reminiscenza di alcuni versi di Giacomo Zanella. Osservava infatti G. Orelli nei suoi Accertamenti montaliani (3):

 

“Vedo la faccia di Montale che ripete rubesti tremoti [potenti terremoti]. Ma qui si deve dire che, mentre conchiglia, salvo la rima con figlia, resta lessema inerte nella testualità zanelliana, […] la valva riconduce alle origini, all’antro, per usare un’altra parola dell’abate: ‘Occulta nel fondo/d’un antro marino/del giovane mondo/vedesti il mattino,/vagavi coi nautili,/co’ murici a schiera/e l’uomo non era/’ ”. C’erano dunque i molluschi, ma non l’uomo.

 

Affonderemo tutti, quindi,  dentro l’antro, per poi riemergere come un’umanità “indistinta”, come fu alle origini del mondo. Forse l’espressione “per poi riemergere” vuole indicare la “riemersione” di un’umanità “primigenia” allo stato “puro”, senza particolari “etichette”: soltanto uomini, e basta. Saremo, forse, sì! Ma come rinnovati, e “con contorni sfumati”, senza sovrastrutture e senza il peso delle “differenze”. Questo “bagno” nel caos primordiale rinvia per similitudine alla “profezia” di Svevo alla fine della Coscienza, allorché dice:

 

“Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.

 

Saremo, forse, sì! Ma forse saremo talmente “sfumati” da confonderci del tutto con la nebulosa di Svevo. In quest’ultima accezione sveviana, saremo e non saremo al tempo stesso: saremo come particelle indistinte e non saremo più come individui. L’unica consolazione sarà, come dice Svevo, che, almeno, non ci saranno più né “parassiti” né “malattie”. La storia dell’umanità sarà dunque simile a quella dei burattini, che “si perde nel tempo e nello spazio”.

 

Note

 

1)      G. Trevisani, “Marionette e burattini”, in L’Unità, mercoledì 17 dicembre 1958.

2)      “Sei poesie inedite di Eugenio Montale”, in Nuova Antologia, gennaio-marzo 1994, p. 225.

3)      G. Orelli, Accertamenti montaliani, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 68.

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.