Inetto e superuomo nella letteratura europea

stanlio

 

Quando leggiamo La Coscienza di Zeno di Italo Svevo, si viene adeguatamente informati che abbiamo a  che fare con un inetto, mentre con molti personaggi dannunziani veniamo altrettanto edotti che siamo di fronte a dei superuomini. Forse a qualcuno potrebbe interessare come si è giunti a tante e tali definizioni.

 

Partiamo dall’inetto. La parola inetto è di ovvia origine latina, ineptus, ossia non aptus, inadatto a far qualcosa, composto della preposizione in (particella negativa) e aptus. L’ inetto è dunque colui che non sa cogliere  tempo, luogo o modo per agire: non sa fare nulla di opportuno e conveniente a seconda delle situazioni; è assolutamente maldestro e impacciato, e non riesce ad adattarsi alle esigenze delle  circostanze più disparate che via via gli si presentano. Così Alfonso Nitti, protagonista di Una Vita di Italo Svevo, è un inetto, e il primo titolo del romanzo di Svevo era appunto Un inetto.

 

A livello internazionale sono riconosciuti e patentati quali inetti Leopold Bloom dell’Ulisse di Joyce, o L’uomo senza qualità di Robert Musil, mentre in casa nostra, una buona dose di inettitudine al vivere è riconosciuta  al protagonista de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello. Poi ci sarebbero altri inetti molto interessanti da considerare nella nostra letteratura italiana contemporanea, ma dispersi in autori poco noti al grande pubblico,  ma che sarebbe invece opportuno far rivivere perché inseriti in opere letterarie di eccezionale valore. Ma su qualcuno di essi tornerò a tempo debito e opportuno.

 

Incredibile a dirsi, non sembrano esserci inetti in Grecia e nella cultura greca. A questo proposito Cicerone chiosava che  “apud Graecos” non è possibile reperire alcun  termine per indicare l’inetto (“quomodo Graeci ineptum appellent, non reperies”). Giulio Cesare Scaligero ne concludeva che “quella eruditissima nazione de’ Greci era tanto inetta che non conosceva il vizio della inettitudine, e non lo conoscendo, non gli aveva potuto por nome” ( Opere di Benedetto Varchi).

 

Bene. Per quanto riguarda il superuomo, l’ Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti ci spiega che “il termine corrisponde tanto nell’etimologia quanto nel significato al tedesco Übermensch, analogamente reso in francese con Surhomme e in inglese con Superman. Il vocabolo Übermensch s’incontra già nel XVII secolo (per la prima volta nel 1664, nella Geistliche Erquickungsstunden  di Heinrich Müller) ed è poi usato dal Herder, da Goethe, dal Richner. Ma com’è noto, la sua fortuna  deriva sostanzialmente dall’uso che ne fece il Nietzsche” (Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti).

 

L’Enciclopedia dimenticava la traduzione in spagnolo, per cui ne esce un magnifico (e quasi simpatico) superhombre: lo ricordo perché lo spagnolo sembra l’unica lingua in grado di farci digerire il concetto di superuomo. Il superhombre spagnolo me lo immagino a cavallo, con tanto di sombrero, due pistole al fianco e una cartuccera zeppa di pallottole.  Nietzsche  ne fece un essere eccezionale, che realizza se stesso e la propria volontà di potenza secondo una morale tutta personale, diversa da quella degli altri uomini comuni, obbedendo soltanto a se stesso e non a leggi umane o divine. Da noi il superuomo fu incarnato essenzialmente da “certi” personaggi dannunziani quali Claudio Cantelmo (Vergini delle Rocce).

 

Tra inetti e superuomini personalmente preferisco gli inetti, se non altro per il fatto che, a dispetto dell’inettitudine, hanno sempre una fortuna incredibile, qualunque cosa facciano di sbagliato. Al contrario, i superuomini sono sempre impelagati in faccende difficilissime da districare, e, qualora riescano pure nell’intento, fanno sempre una fatica del diavolo per tirarsi fuori dagli impicci.

 

I Superuomini, definiti da Umberto Eco “professori di energia”, in effetti sprecano una quantità enorme di energia in virtù della loro “volontà implacabile”. Fra i più famosi superuomini della cosiddetta “letteratura di massa” spiccano, teste U. Eco, i vari Tarzan, Montecristo, Rocambole. Tarzan “ha una missione da compiere”; e proprio perciò deve difendersi dagli assalti delle ragazze, che “lo circuiscono, lo coccolano; ma lui è irremovibile” ( Il superuomo di massa, p. 127).

 

Anche Montecristo è posto tra “gli uomini che Iddio collocò al di sopra dei titolati, dei ministri e dei re”; soltanto che Dumas aveva un disperato bisogno di “far cassa”, e per non far sembrare i propri lettori “troppo piccini” nei confronti di superman, e poiché “deve vendere il proprio prodotto”, ad un certo punto lo “ridimensiona”, e Montecristo “ridiventa uomo per non mettere in crisi gli acquirenti del feuilleton” ( Il superuomo di massa,  pp. 108-109).

 

Rocambole poi, con un “tour de force” degno del più impavido degli stakanovisti, nel giro di due-tre capitoli al massimo riesce:

1)      a strangolare la madre adottiva;

2)      a pugnalare l’amante;

3)      a pugnalare anche il sicario Zampa;

4)      si finge morto;

5)      resuscita;

6)      tenta di sposare la duchessa Conception;

7)      finisce in mano al boia;

8)      riesce a farsi sfigurare con l’acido solforico;

9)      finisce in galera;

10)    e infine riesce comunque a sposare la duchessa (Il superuomo di massa,  p. 111).

 

A parte Nietzsche, che sembra il più serio, tutti gli altri superuomini si sfiniscono in un tourbillon di avventure da sfibrare persino un elefante. Ergo, molto meglio essere un inetto, e, ogni tanto, schiacciare un pisolino.

 

Fonti:

U. Eco, Il superuomo di massa, Cooperativa Scrittori, 1976.

Opere di Benedetto Varchi ora per la prima volta raccolte, Trieste, 1859, Vol. 2, p. 135 e nota 2.

Voce “Superuomo”, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Treccani, 1937, p. 14.

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.