L’ imperialismo romano come difesa di Roma

 

E’ effettivamente esistito un “imperialismo” romano? Connotato cioè da caratteri eminentemente economici, per cui la spinta era data, essenzialmente, dal puro dato economico? A parere di Domenico Musti sembrerebbe di sì; anche se lo storico mette le mani avanti circa l’uso del termine “imperialismo”, sottolineando come egli l’interpreti sostanzialmente come una “tendenza (quindi un processo) verso il dominio, con aspetti di sfruttamento” ( D. Musti, Polibio e l’imperialismo romano, Napoli, Liguori, 1978, p. 20).

 

Per di più, Musti, vede in Polibio l’ “interprete” di tale imperialismo, per cui, insomma, Roma si sarebbe mossa verso l’espansionismo (imperialismo) per ragioni essenzialmente economiche, nell’intento di trarne dei vantaggi di natura eminentemente economica. Diciamo che l’interpretazione di D. Musti sollevò parecchie riserve; e a molti studiosi sembrò una forzatura dare a Polibio l’etichetta di storico “conclamato” dell’ “imperialismo” romano.

 

Emilio Gabba, per esempio, recensendo il saggio di Musti (Athenaeum, 1979, n. 57, pp. 493-494), si mostrò tanto incisivo quanto acutamente irridente dell’interpretazione di Musti,  sottolineando come

 

“non esiste in quanto conosciamo di Polibio nessun preciso elemento che consenta di affermare che lo storico ha posto un intenzionale perseguimento di vantaggi economici come ragione esplicativa della politica romana di espansione […] Le pagine che Musti ha scritto analizzando l’imperialismo romano […] non rappresentano la visione di Polibio: rappresentano l’interpretazione di Musti”.

 

Con tutto ciò, Emilio Gabba non era contrario al concetto di “imperialismo romano”, soltanto che lo negò per Polibio, e poi ne dedusse l’intrinseca difficoltà di definirne i reali contorni:

 

“Il problema dell’imperialismo romano, discusso e ridiscusso senza fine sotto l’impatto delle varie contingenze moderne che sollecitano il ripensamento di questo grandioso fenomeno antico non può essere risolto nella storia degli avvenimenti, perché si finirebbe per ricadere o nelle solite teorie generali sulle cause e sulle ragioni dell’espansionismo romano, oppure nella frammentazione dei singoli episodi. Ferrary ha scelto la strada, giusta a mio credere, di considerare l’espansionismo romano verso il mondo greco come un momento di storia culturale, e di indagarlo come tale” ( E. Gabba, Aspetti culturali dell’imperialismo romano, Firenze, Sansoni,  1993, p. 261).

 

Le ragioni “culturali” soddisfano appieno la “ragione storica” per quanto riguarda la conquista del mondo greco, ma, da sole, sono insufficienti a spiegare, per esempio,  le ragioni dell’espansionismo romano tout court, dalle origini italiche fino all’assoggettamento di tutto il mondo antico..

 

In realtà è sempre piuttosto complicato trasferire nel passato concetti storiografici nati molti secoli dopo, per cui, tutto sommato, appaiono maggiormente convincenti interpretazioni più “larghe”, e se vogliamo, maggiormente “generiche”, e che magari non s’erano nemmeno prefisse come tema centrale l’imperialismo romano. E’ questo il caso di un bel libro di Edward Luttwark sulle “strategie” espansionistiche romane, risalente al 1981 ( La grande strategia dell’impero romano dal I al III secolo d. C., Milano, Rizzoli, 1981), che appare molto più produttivo nell’individuare le ragioni  del fenomeno.

 

Senza entrare eccessivamente nella materia, Luttwark pose l’accento sull’importanza che ebbe la diplomazia nel promuovere  l’espansionismo romano, facendo leva sulla “pressione” che un esercito potente come quello di Roma poteva esercitare sui popoli stranieri. Dopo aver detto che “salve rare eccezioni”, la classe dirigente romana era solita “evitare l’uso della forza”, la “potenza” dell’esercito era tenuto in serbo come “strumento di pressione politica”:

 

“Insieme al denaro e a un’abile diplomazia”,  il potente esercito romano era messo in mostra come “strumento per mantenere divisi coloro che, uniti, potrebbero minacciare l’impero; per scoraggiare coloro che altrimenti attaccherebbero”. Alla fine, concludeva Luttwark, i Romani avevano perfettamente compreso che “il miglior uso del potere militare non era affatto militare, ma politico”. Con tale “strategia”, i Romani riuscirono ad instaurare una “reale dominazione”, finendo per conquistare “l’intero mondo ellenistico con poche battaglie e molta diplomazia coercitiva”.

 

Attaccare per tener divisi, dissuadere gli eventuali nemici facendo mostra di un esercito possente e sempre pronto, e perciò temutissimo, potrebbero costituire le mitiche “cause” dell’imperialismo romano. Luttwark voleva parlare d’altro, di “strategie”, ma intanto, senza mettersi in una prospettiva storiografica incentrata sul tema, indicava nei modi e nelle strategie le cause dell’espansionismo romano, anche di quello più antico, che coinvolse l’assoggettamento dei popoli italici a Roma. Dividere, dissuadere, intervenire con l’esercito e la diplomazia furono le “cause”, se così vogliamo chiamarle, dell’espansionismo “naturale” di Roma, prima in Italia poi verso l’esterno, da Cartagine e via via fino alle grandi conquiste. L’imperialismo romano, dal piccolo al grande, ebbe sempre, probabilmente, alla sua base le stesse identiche “cause” delle origini: dividere, dissuadere, e, alla fine, combattere e comandare.

 

Cosa fu allora l’imperialismo romano? Direi che, probabilmente, esso fu un moto in avanti quasi “inerziale” volto essenzialmente alla difesa di Roma, che comportò, dapprima la conquista “inerziale” dell’Italia, e poi, con le stesse premesse, quella di pressoché tutto il mondo antico. Che  “dentro” questo quadro ci si possano mettere tutte le ragioni che si vogliono, economiche, sociali e culturali è un fatto più che normale. Ma, alle origini, potremmo quasi dire che l’imperialismo romano nacque e si rafforzò su basi eminentemente “difensive”, a salvaguardia di Roma e dei suoi cittadini-soldati sempre in armi, e perciò sempre pronti a una strenua difesa della loro città. Ed è mia netta impressione che le cose stiano, con buone possibilità di centrare il bersaglio,  nei termini poc’anzi discussi.

 

D’altra parte, è cosa risaputa che “la miglior difesa è l’attacco”: “Si vis pacem, para bellum”, dicevano loro, i Romani. “In questa forma, asseriva G. Urso, l’espressione non è, per la verità, attestata dalle nostre fonti, ma il concetto è talora suggerito con espressioni analoghe, per esempio in Cicerone (Phil. 7, 19: Si pace frui volumus, bellum gerendum est)”. Poi Urso, in nota, rinviava altresì ad uno studio ormai classico di J. Lindersky, Si vis pacem para bellum: Concepts of Defensive Imperialism (G. Urso, “Guerra e giustizia nei frammenti ‘arcaici’ di Cassio Dione”, in Guerra e diritto nel mondo greco e romano, a cura di M. Sordi, Milano, Vita e Pensiero, Pubblicazioni dell’Università cattolica del Sacro Cuore, 2002,  p. 30 e nota 5) . Lindersky, insomma, rinviava ad un concetto di “nicchia”, l’ “imperialismo difensivo”, un’idea che non era affatto di Lindersky, ma che era scaturita dalla mente fervidissima di Theodor Mommsen, che la concepì appena trentaduenne:

 

“Theodor Mommsen is the originator, and to many the holy patron, of the idea of defensive imperialism” [Theodor Mommsen fu l’inventore ed il massimo patrono dell’idea di imperialismo difensivo]. Poi Lindersky aggiunse che la di lui idea fu seguita da altre due “stars” degli studi storici sul mondo antico, M. Holleaux e Tenney Frank.

 

Benissimo. Visto il ginepraio in cui ci si è andati a cacciare per dare una spiegazione appena plausibile dell’imperialismo romano, non sarebbe forse il caso di tornare a Mommsen? Io credo di sì, perché la sua intuizione fu e rimane tuttora forse la più potente nello spiegare quello che è considerato uno dei problemi storiografici più complessi del mondo romano.

 

Nota

 

Oltre alle note nel testo, cfr. J. Linderski, “Si vis pacem, para bellum: Concepts of Defensive Imperialism.” In The Imperialism of Mid-Republican Rome, edited by W.V. Harris. Rome: American Academy in Rome, 1984, p. 133.

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.