L’ “ultimo” romanzo italiano

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Pars denstruens

 

Senza spessore né ripensamenti, una parte del romanzo italiano contemporaneo si presenta come cronaca dell’effimero, dove effimero è il gesto, il fatto in sé, la storia personale. Intere pagine dedicate a storie personali, mentre la lingua viaggia sui binari del moderno kitsch linguistico, piatto e incolore, fatto di slang giovanile.

 

In sé l’evento romanzo contemporaneo ha un suo valore sociale, nel senso che esso può (e forse deve) anche essere interpretato come testimonianza di una situazione esistenziale determinata. Ma quando il romanzo si dipana come storia in sé, fatta di eventi in sé che si diramano sotto l’ occhio del lettore come cronaca di giornale, ciò che resta dopo la lettura è un senso di vuoto. Si avverte cioè un’ “assenza”, e ciò che manca è il sia pur minimo tentativo di dare un senso  ai molteplici aspetti evenemenziali che via via “accadono” sotto i nostri occhi.

 

La lingua stessa, troppo marcatamente leggera, sfugge al dominio della riflessione per contribuire anch’essa a che il lettore non si pieghi a riflettere su ciò che si sta leggendo. L’assenza di un assunto filosofico palese che alimenti il romanzo offre essenzialmente l’immagine di una pagina di cronaca da gazzetta.  Resta in  bocca il sapore della cronaca, ma i perché di quella cronaca restano misteriosi, come misterioso resta il perché un tale romanzo, etichettato come “letteratura”, possa aver alla fine  sfondato le difese di quella fortezza che noi chiamiamo “letteratura”. Il  problema, qualcuno potrebbe dire, è probabilmente “dietro le quinte”, in un pubblico massificato che ormai è in grado di leggere “soltanto” quel tipo di “romanzo-cronaca”, e “soltanto” quella lingua. L’ “ultimo” romanzo italiano  contemporaneo si muove dunque nell’effimero della cronaca gazzettiera, e un giorno, probabilmente,  sarà studiato essenzialmente come “documento storico” di un’epoca, non come “letteratura”.

 

Pars construens

 

Ma cos’è la letteratura se non un “corpus” di “opere”? “Queste opere” d’oggi, potremmo invece affermare, sono  capaci di rendere perfettamente le atmosfere della società italiana contemporanea, nonché la lingua d’uso comune dell’odierna società. Anche il famigerato  linguaggio cannibale, nato dalle ceneri della post-avanguardia nostrana, a parte qualche termine tecnico che può  sfuggire, è lingua d’uso, tipico delle situazioni più banali della vita quotidiana. Questa società “possiede” dunque  la “sua letteratura”, in cui s’identifica, trova motivi nuovi e soprattutto cose, eventi e fatti ampiamente riconoscibili. Che lo si voglia o no, questa “è” la letteratura del nostro tempo. Una gazzetta romanzata di fatti quotidiani,  “detti” nel linguaggio di massa, una letteratura da gazzetta, che risponde però al bisogno generale di sapere, più forse che di capire, di sapere “voracemente” di fatti a tutti noti nella loro proterva esistenza quotidiana, ma “sempre nuovi” per i mille dettagli che si ricamano attorno ad essi.

 

Il lettore è quindi attratto da fatti che egli sa esistere, ma ricchi di nuove sfumature che egli non aveva forse mai esperito. Il romanzo  italiano contemporaneo rende perfettamente bene il mondo in cui ci troviamo a vivere. Quanto poi al giudizio di valore,  ci vorrà del tempo, perché soltanto il tempo ci potrà dire quali “opere letterarie” avranno superato il muro della modernità, e  quali invece si troveranno ad essere esponenti minori di un genere, il romanzo, che ha una tradizione illustre e che è  un po’ il simbolo della modernità della stessa letteratura. Per il momento ci si deve attenere alle statistiche di vendita, e magari anche alle traduzioni in lingue straniere come metro di giudizio provvisorio.

 

Pars semi-construens e semi-denstruens

 

Ma c’è un fattarello non trascurabile da considerare, ossia che

 

“la letteratura non è solo comunicazione” (F. Brioschi).

 

Allora, se la letteratura non è soltanto comunicazione di un qualche cosa, sia pur esso socialmente importante, e  non è cioè né una gazzetta né  un bollettino di guerra, allora, per essere letteratura,  deve possedere requisiti “altri”,  che rimandino “diacronicamente” a ciò che per tradizione si etichetta come “letteratura”. Uno di questi parametri, da sempre, è, per esempio,  il linguaggio “alto”.

 

Ora, se uno dei parametri del giudizio letterario è la lingua “alta”, è indubbio che “parte” del nostro attuale romanzo di successo non possiede questo requisito, poiché, com’è largamente noto, termini quali “stronzo/i”, “affanculo”, “scemo” e “deficiente” nonché “zoccola” costituiscono terminologia usuale e concretamente “repetita ad libitum”.

 

Il che fa pensare, senza pretendere di sentir scorrere nelle proprie vene il sangue della Sibilla,  che, in prospettiva lunga, ben poco del nostro romanzo contemporaneo  verrà convogliato quale “exemplum” nell’antologia della letteratura dei primi decenni del XXI secolo. Qualcuno, con il tipico “linguaggio letterario” d’oggidì potrebbe elegantemente eccepire:

 

“Ma che c … sta a di’ questo?”. Ecco, appunto: sono davvero circondato da troppi letterati.

 

Fonte:

F. Brioschi, “La mappa dell’impero”, in La mappa dell’impero. Problemi di teoria della letteratura, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 227.

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.