La “donnicciuola” di Alessandro Manzoni: il meno amato dagli italiani

Manzoni fece bene a riscrivere  I Promessi sposi con acribia. Fece bene non soltanto perché il risultato fu eccellente sotto l’aspetto linguistico, tanto che il suo romanzo diventò, a detta di molti, il romanzo nazional-popolare degli italiani, ma anche per altre importanti ragioni che vedremo più avanti.  Nonostante ciò, e nonostante generazioni di studenti si siano confrontate con Manzoni, egli non pare uno scrittore molto amato dagli italiani; anzi, sembrerebbe proprio il contrario. Sarà anche colpa della scuola, non dico di no;  ma le cose sembrerebbero essere un po’ più complesse.  Pietro Citati, intervenendo su Manzoni, se ne uscì con una “sparata” che fece ad un tempo sussultare e sorridere, ma  che andrebbe in parte a spiegare le ragioni della disaffezione di tanti e tanti nostri connazionali:

 

“Manzoni non era italiano”:

 

“Credo, scrisse Citati, che l’unico modo per far amare Alessandro Manzoni dagli italiani sia quello di dichiararlo una volta per tutte, con Decreto della Presidenza del Consiglio da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, scrittore non italiano, ed espungerlo dai ranghi della nostra letteratura”.

 

Conoscendo la pervicace “esterofilia” degli italiani, in forza della quale tutto ciò che è “estero” è anche “bello”, forse la boutade di Citati potrebbe funzionare a meraviglia. Se Manzoni infatti fosse considerato una scrittore “straniero”, probabilmente le sue quotazione in Borsa schizzerebbero alle stelle. Tornando a Citati, e ai suoi apparenti paradossi manzoniani, egli asserì che molti contemporanei, se non tutti, avevano capito che Manzoni non era italiano:

 

“Ai suoi tempi [di Manzoni], proseguiva Citati,  gli amici e i lontani conoscenti lo avevano capito. Arrivavano da lontano ad incontrare il grande ragno nel suo giardino”. Interrompo per un attimo la citazione per rilevare come la visione di Manzoni come “uomo ragno”, più che far sorridere, fa invece una certa impressione.

Andiamo avanti:

“Arrivavano da lontano ad incontrare il grande ragno nel suo giardino: ma appena vedevano lui e i suoi, nell’epidermide tenera, rosea e delicata di tutta la famiglia, nei capelli biondo-rossicci, negli occhi chiari e quasi sbiaditi, e in una specie di nuvola impalpabile o di lievissima cipria che avvolgeva i volti e le espressioni, nei gesti, nei balbettii, nelle incertezze, nei rinvii, nelle reticenze, nelle elusioni, – c’era qualcosa che li faceva sembrare inglesi. Non erano nati a Como o a Brusuglio o a Milano, ma lassù, nella grande isola che Manzoni non vide mai, e che non amò come la Francia”.

“Chi lo conosceva bene,  capiva che quella di Manzoni era la mente meno italiana che sia mai esistita. Quella mente immensa, ramificata, preparata come una grande filanda, dove mille telai battevano tutti insieme: attraversata da lente e instancabili connessioni: ma, a tratti, piena di incertezze, di ombre, di afasie, di inquietudini e improvvisamente interrotta da una buia voragine, dove tutto sembrava arrestarsi e precipitare, – quella mente pareva inglese. Manzoni era un gentiluomo di campagna del Gloucestershire, che leggeva i Salmi, Virgilio, Agostino e scriveva versi latini e, ogni tanto, veniva a Londra, al suo club, a ricevere gli amici borghesi, che trafficavano in lane e in letteratura”.

“Bastava guardarlo davanti al fuoco.  Negli occhi, aveva qualcosa di Jane Austen: nella grandiosa e focosa immaginazione, qualcosa di Emily Brontë: nella precisione e nella leggerezza storica, qualcosa di Stevenson: nella mente, moltissimo di Sterne e di James. Quando ci abitueremo a contemplare Manzoni molto lontano, tra i laghi e le brughiere, sono certo che tutti i nostri rancori scompariranno. Avremo per lui la comprensione e l’amore che si hanno per i grandi classici di un’altra letteratura” (1).

 

Il titolo del pezzo di Pietro Citati è:

 

Manzoni era inglese.

 

D’accordo. Però m’è sovvenuto di pensare a come si sarebbe potuto chiamare Alessandro Manzoni in inglese. Per il nome non ci sarebbero problemi: Alexander. Il cognome, Manzoni, lo si potrebbe tradurre con Great Bullocks (Grandi manzi); avevo in un primo tempo pensato a “Big” Bullocks, ma poi mi sono convinto che “great” (grande) meglio s’attaglia alla statura intellettuale dello scrittore, mentre “big” rinvia semplicemente e grossolanamente al concetto di “grande e grosso”. Per farla breve, ho stabilito unilateralmente che, se Alessandro Manzoni fosse nato in Inghilterra, si sarebbe chiamato Alexander Great Bullocks.

 

“Quella mente immensa, diceva Citati, ramificata, preparata come una grande filanda […], a tratti, [era] piena di incertezze, di ombre, di afasie, di inquietudini”: tali “incertezze, ombre, afasie ed inquietudini” fecero sì che Lord Alexander Great Bullocks, italianizzato in Alessandro Manz-oni , decidesse di addossarsi l’opera titanica di riscrivere il Fermo e Lucia, poi diffuso con il titolo che tutti conoscono.

 

Com’è noto (e non sto affatto scherzandoI Promessi sposi furono tradotti in Italiano da Lord Great Bullocks: ma se qualcuno li volesse leggere nell’originale, eccolo accontentato. Cito dall’edizione inglese. Titolo originale: The Betrothed (I Promessi sposi), by Alexander Great Bullocks (Alessandro Manzoni). With a Critical and Biographical Introduction by Maurice Francis Egan, New York, D. Appleton & Company, 1900.

 

Nella sua Introduction, M. Francis Egan scriveva:

 

“Alexander Great Bullocks (Manzoni), who is best remembered by his novel, The Betrothed (I Promessi Sposi), but who did other things worthy of remembrance was born in Milan in 1785 and died in 1873. His life was long and full. He was fortunate in parents […] He believed in law and order […] He was essentially a man of letters, and he loved […] a quiet country life” (p. III).

 

Ecco qua la magnifica ed inarrivabile sinteticità degli inglesi!

 

Gli studenti italiani sarebbero felicissimi di poter studiare Manzoni (pardon, Lord Alexander Great Bullocks ) nella sua lingua madre. Non avrebbero da ricordare che cinque punti essenziali:

 

1) che aveva scritto I Promessi sposi e altre cose (non importa quali); 2) che era nato a Milano nel 1785 e che era morto nel 1873; 3) che ebbe vita lunga e “piena” di full d’assi giocando a poker; 4) che ebbe una fortuna sfacciata con i genitori; 5) che credeva nella legge e l’ordine, scrivendo, a quanto ho potuto appurare, le prime sceneggiature del fortunato serial televisivo “Law and Order”; 6) che  l’ “uomo ragno” era invece un  uomo di lettere, il quale amava la vita comoda di campagna.

A questo punto, se Manzoni potesse essere letto in Italia come “scrittore straniero”, senza rompere eccessivamente le tasche agli studenti italiani, Lord Alexander Great Bullocks sarebbe sicuramente il più amato e il più gettonato agli esami di Stato.

Ma torniamo al motivo per cui Lord Great Bullocks, alias Manzoni,  rimaneggiò il romanzo. Lord Alexander la prese piuttosto alla larga, asserendo di aver riscritto il romanzo perché gli era parso giusto così:

“ [Io] Aveva trascritta fino a questo punto una curiosa storia del secolo decimo-settimo, colla intenzione di pubblicarla quando per degni rispetti anch’io stimai che fosse meglio conservare i fatti e rifarla  di pianta. Senza fare una lunga enumerazione dei giusti motivi che mi vi determinarono, accennerò soltanto il vero e principale. L’autore di questa storia è andato frammischiando alla narrazione ogni sorta di riflessioni sue proprie; a me rileggendo il manoscritto ne venivano altre e diverse; paragonando imparzialmente le sue e le mie, io veniva sempre a trovare queste ultime molto più sensate”.

 

Checché Great Bullocks-Manzoni ne dicesse, l’ultima è quella vera: egli aveva trascritto il romanzo per dire cose “molto più sensate”: e vediamo ora  il perché.

 

Il benemerito esaltatore degli “umili”,  proprio nel finale del Fermo e Lucia,  scrisse un qualcosa che avrebbe fatto sicuramente arrabbiare moltissimo tutti gli italiani, e cioè che, Lucia, proprio lei, Lucia, era nientepopodimeno che una donnicciuola: “

 

“Questa conclusione  benché trovata da una donnicciuola ci è sembrata così opportuna che abbiamo pensato di proporla come il costrutto morale di tutti gli avvenimenti che abbiamo narrati, e di terminare con essa la nostra storia”.

 

Ora, prendendo in mano il vetusto ma sempre illustre Vocabolario del Rigutini-Fanfani,  leggiamo alla voce donnicciuola:

 

“donna di poco animo, ignorante e superstiziosa”  (3).

 

Lord Alexander Great Bullocks-Manzoni si rese conto che, se avesse trattato in siffatta maniera le donne del popolo italiano,  non  avrebbe venduto una sola copia del romanzo. Per cui egli, molto argutamente,  espunse la donnicciuola,  sostituendola con la locuzione povera gente, di gran lunga più accettabile dal popolo italiano tutto. Se non avesse avuto quell’avvertenza, o divina ispirazione che dir si voglia,  di sbarazzarsi rapidissimamente (in circa vent’anni di lavoro 7 h/24 sulle sudate carte) della donnicciuola,  non se la sarebbe cavata a buon mercato, come dicevamo, con  gli italiani;  e in special modo con Antonio Gramsci, che proprio non lo poteva vedere Manzoni tra gli scrittori nazional-popolari d’Italia.

 

Quasi sicuramente Antonio Gramsci non s’andò a leggere gli scartafacci dei Promessi sposi, perché, se avesse letto di quella donnicciuola di Lucia, probabilmente ne avrebbe dette a Lord Alexander Great Bullocks-Manzoni di ben peggiori di quelle che si limitò a dire, ossia che Lord Alexander Great Bullocks-Manzoni  trattava i suoi “umili” dall’alto in basso, con scarsissima “medesimezza umana”. Alla luce della faccenda della donnicciuola,  l’accorto lettore gradirà forse  cose del seguente tenore, riguardanti “anche” Lucia:

 

“Non aveva torto Dante Isella  nell’affermare che I Promessi sposi per l’Italia sono stati come la Bibbia di Lutero per i tedeschi. I Promessi sposi, diciamolo altrimenti, sono davvero un romanzo nazional-popolare. Il romanzo della nazione italiana. E  Lucia e Renzo diventano presto emblema e modello della coppia coniugale italiana” [corsivi miei] (2).

 

Non saprei davvero cosa ne potrebbero pensare le coppie coniugali italiane; e se le donne italiane vorrebbero per davvero identificarsi con la “prima” Lucia, l’espunta donnicciuola di Lord Alexander Great Bullocks-Manzoni; quello che invece so per certo è che il problema del nazional-popolare nei Promessi sposi è ancora aperto. Intanto, mi sa che Gramsci avesse subodorato il fatto che Alessandro Manzoni (real name: Lord Alerxander Great Bullocks) non era italiano; e in secondo luogo, sembra che la questione dei rapporti conflittuali Gramsci-Lord Bulloks-Manzoni sarà il tema di un prossimo Convegno di Studi, che, non si capisce bene perché, si terrà comunque a Londra.

 

Il titolo del Convegno è il seguente:

 

Was Alexander Manzoni (ah, ah!) an Italian writer?

 

La locandina degli interventi prevede la partecipazione al Convegno dei più insigni studiosi delle lingue anglosassoni, con la partecipazione straordinaria di specialisti di filologia anglo-germanica.

 

Note

1)      P. Citati, “Manzoni era inglese”, in la Repubblica, 10 marzo 1989.

2)      F. Danelon, “Un episodio della fortuna italiana dei Promessi sposi: la tela di Emilio de Amenti”, in Dalla Sicilia a Mompracem e altro. Studi per Mario Tropea, a cura di G. Sorbello & G. Traina, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2015,   p. 137.

3)      Vocabolario dell’uso toscano compilato da Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, Firenze, A spese della Tipografia Cenniniana,  1875, p. 558.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.