La gallina di Leopardi

gallina

 

Nella Quiete dopo la tempesta Leopardi dimostra una volta per tutte d’essere un poeta fortemente legato alla lingua alta della tradizione. La terminologia presente nella lirica in questione appartiene tutta al lessico da secoli codificato nella lingua poetica italica. Pertanto, troviamo in sequenza “assordante”, augelli (uccelli),  sgòmbrasi (si sgombra), cor (cuore, fin troppo usato), mirar (guardare), piova (pioggia) per li poggi, secondo la regola che imponeva l’articolo li dopo per), famiglia (servitù), balconi (finestre), studi (occupazioni predilette), opra/e, (opera),  lice (lecito).

 

Non sarebbe però un’eresia se qualcuno rilevasse che, in tanta eletta compagnia, compare, in apertura di lirica, e al secondo verso, il termine gallina:

 

Passata è la tempesta:

odo augelli far festa, e la gallina,

tornata in su la via,

che ripete il suo verso. Ecco il sereno …

 

Che ci fa mai una “modesta” gallina tra gli “augelli” festanti?  Sembrerebbe, questa di Leopardi, una reprimenda “deviazione” rispetto alla norma poetica che prevedeva soltanto un lessico eletto. Premetto intanto che Leopardi era un tipo tutt’altro che “chiuso” al linguaggio popolare, come si evince da questo passo dello Zibaldone:

 

“Il linguaggio popolare è ricca e gran sorgente di bellissime voci e modi, non veramente alla lingua scritta, ma propriamente allo scrittore. Vale a dire, bisogna che questo, nell’ attingerci, nobiliti quelle voci e modi, le formi, le componga in maniera che non dissuonino né dissomiglino dalle altre  che  l’arte ha introdotto nello scrivere ed ha polite, e insomma non disconvengano alla natura dello scrivere artificioso ed elegante. Non già le devo trasferir di peso dalla bocca del popolo alla scrittura, se già non fossero interamente adattate per se medesimo o se la scrittura non è di un genere triviale o scherzoso o molto familiare ec. Così che io dico che il linguaggio popolare è una gran fonte di novità ec. allo scrittore” (G. Leopardi, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura).

 

Stabilito che Leopardi era “aperto” alle forme popolari, anche se queste dovevano essere inserite con gusto nel contesto “dotto”, c’è poi il fatto, notevole, che la gallina possiede una tradizione altrettanto dotta di non poco conto. Della gallina parlarono diffusamente illustri autori latini evidentemente noti a Leopardi, e non soltanto scrittori di agricoltura, ma anche poeti d’alto sentire, quali Marziale, per esempio, il quale cantò d’una

 

Gallina Altilis

 

Pascitur et dulci facilis gallina farina

Pascitur et tenebris ingeniosa gula est.

 

La gallina altilis, così detta perché si nutre di farina dolce, e sta bene in penombra; ed inoltre è di “ingeniosa gula”, mangia un po’ di tutto. Il che è confermato da Columella, il quale osservò che per la gallina va benissimo “calidus maxime et minimi luminis” ( starsene al calduccio e con luce scarsa): ottima metodologia per fare ingrassare la povera gallina.

 

Leopardi, che si rivolgeva a lettori “saputi” ed esperti quanto lui, sapeva benissimo che l’intrusione di una gallina “latinamente impostata” non avrebbe creato rivolte e sconquassi  tra i letterati di mestiere, e perciò, dopo la tempesta, fece trotterellare la sua gallina sulla via a ripetere  “il suo verso”: tanto era strasicuro che nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe avuto qualcosa da ridire in proposito.

 

Grande, e astuto, Leopardi, che con la lingua riusciva a fare quel che più gli piaceva, aprendo così la via (forse senza saperlo) alla “semplicità” di certa lirica moderna: un pioniere.

 

Fonti:

 

G. Leopardi, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura (Zibaldone di pensieri), Firenze, Le Monnier, 1899, Vol. III, p. 75.

 

Marci Valerii Martialis Epigrammata, in Bibliotheca Classica Latina sive Collectio Auctorum Classicorum, Parigi, 1825, p. 126.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.