“La vita assurda” di Samuel Beckett

L' Assurdo

 

 

 

 

 

 

Il  “Teatro dell’assurdo”  iniziò in Francia  con  due autori di diverse nazionalità, che però  usarono il francese come lingua privilegiata, essendo essi vissuti per lungo tempo in Francia, e ovviamente a Parigi: S. Beckett, un dublinese,  ed  Eugène Ionesco, un rumeno. La caratteristica principale dei loro  “giochi” con l’ “assurdo” è sostanzialmente  la combinazione di situazioni, appunto,  assurde e illogiche, trattate  tuttavia con un linguaggio realistico. Essi mirano a marcare  la mancanza di senso nella vita degli uomini,  nonché l’incoerenza assoluta  di un mondo dove gli individui  sembrerebbero  “incapaci di comunicare” l’uno con l’altro,  e sarebbero conseguentemente  obbligati a vivere un’esistenza “isolata”. La figura di spicco del “Teatro dell’assurdo” in Inghilterra fu  sicuramente Samuel Beckett. Egli nacque nel 1900 in Irlanda, e si fece  prima conoscere in Francia per il suo dramma “En attendant Godot”, in scena più tardi in Inghilterra con il titolo di  “Waiting for Godot”.

 

Nato da una famiglia della piccolo borghesia, Samuel Beckett fu un autentico studioso. Chiamato come assistente al “Trinity College”, la prestigiosa università di Dublino, egli sembrava destinato ad una brillante carriera nell’ insegnamento del francese. Però Beckett dimostrò di non apprezzare poi molto una simile prospettiva: egli diede le dimissioni e soggiornò per qualche tempo a Londra, poi a Parigi, dove frequentò Joyce.

 

Nel corso della  Seconda Guerra mondiale, egli partecipò alla Resistenza e, dopo la  Liberazione,  egli ritornò a Parigi, dove però condusse  una vita alquanto stentata perché I suoi lavori furono  rifiutati pressoché da tutti gli editori. Nel 1953 tuttavia, con “En attendant Godot”, egli conobbe un insperato   successo, e la commedia fu rappresentata anche a Londra.

 

La “potenza” del teatro di Beckett deriva soprattutto dall’uso che egli fa del “tempo”: infatti i personaggi si trovano sempre in una “situazione di attesa”, ma  d’una attesa senza prospettive, perché non accade mai nulla e il “tempo”  sembra assolutamente  “immobile”. Alla immobilità del tempo,  corrisponde uno “spazio” altrettanto immobile: lo spazio è “fisso”. Sulla scena dell’ “assurdo” si muovono personaggi che si trovano sempre  in una situazione di pressoché assoluta  “impotenza”, e la parola non è più “comunicazione”, ma “monologo disarticolato”, senza alcun senso.

 

Beckett diventò un autore di fama mondiale  con “En attendant Godot”, commedia che indubbiamente al tempo  fece molto scalpore, perché rompeva radicalmente con la tradizione. In mezzo ad  una strada, ai piedi d’un albero, Estragone e Vladimiro, detti Gogo e Didi, attendono un certo Godot. Forse essi aspettano Dio (“God” in inglese), oppure attendono qualcun altro?  In realtà  non arriva mai nessuno, ma il giorno dopo,  Gogo e Didi  sono ancora là che attendono ancora, passando  la loro vita sulla strada.

 

L’inutile attesa di Vladimiro e di Estragone, che ricomincia tutti i giorni sempre uguale a se stessa,  diventa, “per aenigmitate”,  l’immagine stessa della condizione umana, caratterizzata dal  “vuoto esistenziale”. Essi sono “condannati a esistere”, e i loro discorsi appaiono assurdi e privi di ogni significato, ricolmi soltanto di luoghi comuni e di paradossi. La loro conversazione è in realtà  una “parodia” della comunicazione, ed essa testimonia simbolicamente l’assoluta solitudine dell’uomo e la sua sostanziale incapacità di entrare in comunicazione con gli altri (1).

 

Nota

 

  1. Samuel Beckett, “En attendant Godot”, Éditions de Minuit, 1952.

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.