Le parole che Svevo [non] scrisse

Il caso in questione riguarda Italo Svevo, e in particolare un suo breve racconto, La madre. L’interpretazione ormai “classica” di questo brevissimo racconto di Svevo, che narra la ricerca incessante e convulsa della madre da parte di un pulcino, Curra,  resta quella approntata a suo tempo da Bruno Maier, il quale così sintetizzò gli arcani significati della novelletta di Svevo:

“Il racconto La madre, di evidente fisionomia allegorico-parabolica, sta a sé e mira a mettere in rilievo quel senso di isolamento rispetto al mondo letterario nazionale di cui soffrì Svevo, e quella dolorosa convinzione di sentirsi incompreso e trascurato dalla critica che non lo abbandonò completamente nemmeno dopo la ‘scoperta’ montaliana del 1925 […] Così crediamo vada interpretato il racconto, nel quale la storia del pulcino Curra, aggredito e messo in fuga da colei che considera la madre, ha un preciso significato autobiografico” (1).

Bruno Maier, come possiamo vedere, la buttò un po’ sullo psicologico; ma, insomma, senza tanto esagerare, esprimendo un giudizio  nel complesso condivisibile e convincente.

Le cose cominciarono invece a farsi più critiche quando La madre fu presa in carico da Eduardo Saccone (2),  noto critico di orientamento lacaniano, il quale dette un’interpretazione più sottile del racconto di Svevo, modificando sensibilmente il significato della novella,  sottolineando che il dato essenziale da mettere in rilievo non è tanto quello della delusione profonda, e tutta “individuale”,  di Svevo di fronte all’incomprensione della critica, quanto l’accento posto da Saccone sul carattere assolutamente egoista e narcisista del pulcino, cosa che, secondo Cristina Benussi Frandoli,  “coglie l’allusione a un egoismo più generalizzato dell’ umanità contemporanea” (3).  Anche  Massimiliano Tortora notava che  “è stato Saccone, in un saggio del 1988 (Sentimenti filiali di un pulcino), a svincolare definitivamente La madre da interpretazioni di tipo autobiografico, e a proporre una lettura più convincente” (4).

Giuseppe Antonio Camerino, fieramente anti-lacaniano, intervenendo sulla relazione di Saccone , Sentimenti filiali di un pulcino, del 1987,  osservava:

“Saccone si era già rifatto altre volte alle teorie di Lacan per leggere gli autori letterari e in particolare Svevo, con risultati, a mio parere, arbitrari: La relazione che ha tenuto a Würzburg […] ha sviluppato ancora un’analisi in chiave lacaniana: il pulcino del racconto simboleggia il diverso e l’eccezionale ed esprime il desiderio di essere riconosciuto dagli altri. E tale desiderio si manifesta, dice Saccone, mediante il parlare delle cose che non si vedevano, frase posta tra virgolette anche dal critico in quanto derivata dal racconto in questione. Sennonché, come in sede di dibattito ha evidenziato chi scrive, si dà il caso che Svevo non ha mai vergato quella frase, che è dunque inesistente nel racconto La madre, ma che, miracolo di una critica ispirata a Lacan, reggeva tutta l’articolata e sottile argomentazione sacconiana” (5).

In effetti Lacan aveva dedicato alla figura della Madre molto spazio nei suoi studi, nei quali a un certo punto leggiamo che  le “figure dell’altro immaginario”, “culminent dans la figure de la mère, autre réel, inscrite dans le symbolique sous le signifiant de l’objet primordiale, exterieur premier du sujet, qui porte chez Freud […] Se succedent les identifications imaginaires formatrices du Moi de l’enfant, jusqu’à ce qu’il reçoive son statut dans le réel […] La mère est le désir de son désir » (6).

Giuseppe Antonio Camerino aveva perfettamente ragione quando scriveva che Svevo non aveva mai vergato la frase “parlare delle cose che (non) si vedevano”: infatti nel racconto sveviano leggiamo soltanto “parlare delle cose che si vedevano” (7), senza il famigerato “non”.

Indugiando solo per un attimo sulle cose che si vedono e “non” si vedono, vorrei semplicemente soffermarmi sulle cose che a me è occorso di vedere, in forza delle quali non ho visto quello che ha veduto il prof. Camerino.

Leggendo il passo incriminato sulla Rivista di letterature moderne e comparate (8), in cui il saggio di Saccone fu pubblicato “prima” (nel 1988) della pubblicazione del libro curato da Rudolf  Behrens  e Richard Schwaderer (1990) (9),  trovo che il pulcino Curra, nel suo egoismo assoluto,  sarebbe stato sopraffatto dal “desiderio, ch’è in primo luogo, per Svevo, parlare ‘delle cose che [non] si vedevano’” (10).

Si osserverà che il “non” della citazione della frase sveviana è tra parentesi quadre [non]: il che significa che Saccone altro non aveva fatto se non un’ integrazione, filologicamente discorrendo, nel testo sveviano, avendo immesso nel testo stesso un “non” a meglio spiegare il carattere del pulcino, il quale, egoista assoluto,  pensava a cose  che “non” si vedevano, ma che lui voleva comunque vedere.

In forza del [non] tra parentesi quadre, s’inferisce, come si sa, che Saccone non aveva operato alcuna  interpolazione nel testo sveviano, ma aveva inserito il [non]  a semplice “integrazione”, come si diceva, dell’idea che il critico stesso  intendeva portare avanti, e cioè che il pulcino vedeva cose che “non” si vedevano. Infatti, Saccone così proseguiva riguardo il carattere del pulcino, che era

“di fatto incapace di veder bene, dal suo assolutismo, in primo luogo dal suo assoluto egoismo.  Se pur vede, egli vede ciò che vuol vedere” (11).

Ora, poiché la citazione del prof. Camerino presenta il “non” senza parentesi quadre, verrebbe da pensare che l’unica spiegazione plausibile in tutta questa vicenda è che, nel testo della relazione presentata al convegno internazionale  di Würzburg nel 1987,  le famigerate parentesi quadre del [non] fossero andate a farsi benedire, cadendo pesantemente a terra e (forse) producendo “molto rumore per nulla”.

 

Note

1)      Bruno Maier, “Introduzione”, in Italo Svevo. Racconti, Saggi, Pagine sparse, Milano Dall’Oglio, 1968, p. 10.

2)      E. Saccone, “Sentimenti filiali di un pulcino: su La madre di Italo Svevo”, in Rivista di letterature moderne e comparate, 1988 n. 3, pp. 249-261.

3)      Cristina Benussi Frandoli, La forma delle forme: il teatro di Italo Svevo, EUT, 2007,  p. 245.

4)      Massimiliano Tortora, a cura di, “Un testo tra favola e racconto: La Madre di Italo Svevo”, in Allegoria, 2004, n. 46, p. 126.

5)      Giuseppe Antonio Camerino, “Congresso sveviano in Germania. ‘Das Werk Italo Svevos: Ein Paradigma europäischer Moderne’” (Würzburg, 12-14 novembre 1987), in Cultura e Scuola, ottobre-dicembre 1988, n. 108, p. 250.

6)      Jacques Lacan,  « Table commentée  des représentations graphiques » , in  Ecrits, Paris,  Editions de Seuil, 1966,  p. 906.

7)      Italo Svevo, “La madre”, in Italo Svevo. Racconti, Saggi, Pagine sparse, cit., p. 129.

8)      E. Saccone, “Sentimenti filiali di un pulcino: su La madre di Italo Svevo”, in Rivista di letterature moderne e comparate, cit., p. 255.

9)      Eduardo Saccone, “Sentimenti filiali di un pulcino. Su La Madre di Italo Svevo”, in  Italo Svevo – Ein Paradigma europäischer Moderne, Würzburg, a cura di R. Behrens e R. Schwaderer,  Königshausen  e Neumann,  1990, pp. 163-174.

10)    E. Saccone, “Sentimenti filiali di un pulcino: su La madre di Italo Svevo”, in Rivista di letterature moderne e comparate, cit., p. 255.

11)    Ivi, p. 256.

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.