L’endecasillabo “perduto” di Ungaretti

ungaretti

 

Ungaretti fu e resta uno dei nostri massimi poeti. Ungaretti fu altresì professore di letteratura italiana, oltre che maestro riconosciuto da tutte le giovani generazioni di poeti che videro in lui il faro a cui guardare per non perdere di vista i territori della poesia. Ungaretti fu un grande innovatore in fatto di metrica, tanto che il genio della lingua lo indusse alla scrittura di versi brevi, nonché, brevissimi, scompigliando così la metrica classica, che ha sempre visto l’endecasillabo come uno dei metri prìncipi della lirica.

 

Nelle sue innovazioni metriche Ungaretti però non si scordò mai di essere, in fondo, un tradizionalista, a cui spiaceva, sempre in fondo in fondo, di essere considerato come il “demolitore” dell’endecasillabo. Così il professor Ungaretti fece rientrare dalla finestra quello che aveva cacciato dalla porta, reintegrando la dignità dell’endecasillabo ma al tempo stesso “mantenendo” la tecnica  del verso breve e brevissimo, fatta di ben congegnati “a capo”, per mettere in particolare evidenza una ben determinata parola.

 

Cosa fece il prof. Ungaretti? Vediamolo con un esempio semplice tratto da San Martino del Carso:

 

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato

 

Ebbene, se noi riuniamo i versi (il primo con il secondo e il secondo con il terzo) , ci saltano fuori due magnifici endecasillabi:

 

Ma nel cuore/ nessuna croce manca

È il mio cuore/ il paese più straziato.

 

 

Il che costituisce ulteriore riprova sia della solidità della tradizione in Ungaretti, sia della sua mefistofelica abilità nel far apparire “nuovo”, ciò che invece era non vecchio, ma “antico”, parola cara a Leopardi, considerato da Ungaretti maestro assoluto della poesia italiana.

 

L’affezione di Ungaretti per l’endecasillabo è altresì comprovata dal un suo saggio, Difesa dell’endecasillabo, in cui egli sottolineava come “il quinario, il settenario ed anche il novenario sono contenuti nell’endecasillabo”; concludendo poi che “l’uso del quinario, del settenario, del novenario insieme all’endecasillabo è la via aperta a infinite possibilità musicali […] L’arte certo bisognerà impararla. Ma quella fucina ch’è in noi e che si chiama gusto afferrerà germi e li maturerà, il più delle volte a nostra insaputa”.

 

 

Il che è sicuramente vero, anche se è lecito supporre che la “fucina” di Ungaretti fosse molto ben attrezzata, e il risultato ne usciva a seconda della “volontà” del poeta.

 

 

Fonte:

G. Ungaretti, “Difesa dell’endecasillabo”, in Vita d’un uomo. Saggi e interventi, Milano, Mondadori, 1974, pp. 154-157.

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.