Luhmann, le democrazie, e il “peggio” (dietro la porta di casa)

Il nome di Niklas Luhmann è ben noto agli specialisti, ma non credo lo sia altrettanto per un più vasto pubblico. Ritenuto, a giusto motivo, autore “difficile”, anche per i traduttori, obbligati ad acrobazie linguistico-concettuali per renderne in modo adeguato il pensiero, con Luhmann si può essere o non essere d’accordo, ma è molto difficile non riconoscergli la qualifica di disincantato disvelatore dei segreti meccanismi che sottendono alle moderne democrazie occidentali, da quelle europee (Luhmann è tedesco) a quella americana.

 

Fra la copiosa produzione di Niklas Luhmann ho scelto una delle sue opere “prime” (con qualche “incursione” in quelle più recenti) Potere e complessità sociale (1), che affronta temi di grande attualità, come, per esempio, la formazione dell’opinione pubblica e la concezione del potere come emanazione della comunicazione; e,  dato davvero interessante, l’effettivo potere della politica in relazione alla pubblica amministrazione. Luhmann fece parecchio parlare di sé in Germania e all’estero: alcuni lo definirono sbrigativamente una sorta di “mandarino tecnocratico” (D. Zoro, Introduzione, p. X), e un conservatore della più bell’acqua;  ma, come dicevo,  gli si deve riconoscere opera meritoria di disvelamento delle realtà sotterranee delle democrazie europee.

 

Cominciamo con il primo aspetto del tema, la formazione dell’opinione pubblica. Essa non si forma in modo autonomo rispetto alla politica, e ai mezzi di comunicazione promanati da essa,  essendo il potere politico che, attraverso i media, veicola quelle informazioni che sono ritenute essenziali per influenzare i cittadini, formandone, appunto, l’opinione: “Questi mezzi di comunicazione, rileva Luhmann, condizionano e regolano specificamente le motivazioni relative all’accettazione di proposte selettive” (2).

 

In altre parole, e uscendo dal cripticismo tecnico dello studioso tedesco, i media cercano di portarti da una parte o dall’altra dello schieramento partitico. A tal proposito,  Noelle-Neumann sottolineava come  parecchi  americani non hanno la più pallida idea di cosa significhi opinione pubblica: se trovano qualcuno, e in special modo l’apparato mediatico, giornali e televisione,  che dia l’input, macinando “ripetutamente” un’idea, allora la fanno propria, e dicono la loro; al contrario, se non trovano espressioni correnti ripetute “fino alla nausea”, allora si chiudono in se stessi, diventando praticamente muti (3).

 

Abbandonando il presunto “mutismo” degli americani e  tornando a Niklas Luhmann, il sistema sociale che va sotto il nome di democrazia è trattato dallo studioso con un termine molto intrigante, complessità. La complessità è data dal fatto che, mentre in una democrazia classica è il potere politico che detta le regole all’amministrazione, che ne è mera esecutrice, assumendo un ruolo eminentemente passivo, nelle odierne democrazie chi decide come e dove veicolare il denaro e le risorse è invece l’amministrazione. In questo senso, è evidente che lo stesso sistema parlamentare e l’esecutivo vengono bypassati dallo “strapotere” dell’amministrazione, per cui, secondo Luhmann, esisterebbero “fonti di potere che non sono più controllabili […] , ovvero, un politicismo localistico, basato sulla specificità di determinati mini-sistemi”  (4).

 

La cosa è di non lieve momento, perché, sic stantibus rebus, è evidente che la politica è svuotata di ogni capacità rappresentativa. Ci sarebbe, in sostanza, una sorta di “tradimento” della politica nei confronti della massa dei cittadini, ai quali il sistema politico-partitico non è più in grado di assicurare la lealtà rispetto alle promesse. Verrebbe allora da chiedersi, a questo punto, chi e che cosa effettivamente rappresenti il potere politico ormai sganciato dal patto di fedeltà verso le masse, e nel momento in cui i partiti non riescono più a farsi portavoce effettivi delle istanze del corpo  sociale ed elettorale, essendo incapaci di assicurare  la lealtà nei confronti delle masse. A parere di G. Gozzi, che scrisse intorno a Luhmann sin dal 1980, il potere politico si assumerebbe funzioni altre rispetto alla mera rappresentanza dei cittadini:

 

“Il sistema politico deve allora assumere un’ altra funzione, quella di tutela della costituzione, decidendo chi ne è amico e chi nemico, sovrapponendo cioè un’istanza di superlegalità politica ai principi costituzionali. Le funzioni dell’apparato politico rappresentativo non assolvono più il compito di garantire la lealtà di massa, bensì quello di tutela della sicurezza nazionale. Così è questo il senso più autentico della categoria dell’ autonomia del politico ”. E ciò  sembrava essere, secondo G. Gozzi,  “l’attuale percorso dello Stato contemporaneo” (5 [Corsivi miei]). Tenuto conto del fatto che Gozzi, interprete di Luhmann,  scriveva  cose siffatte nel 1980, non gli si può se non dar atto, ex post, di preveggenza molto illuminata.

 

Non meno intriganti risultano poi le considerazioni di Luhmann  riguardo le democrazie e le tecniche ad esse assimilate. Devo dire che Luhmann  ne ha in serbo  per tutti: per la democrazia e i suoi “sistemi”, per esempio;  per quelli che ci credono, e per quelli che non ci credono; per quelli che vanno a votare e per quelli che non ci vanno; per i politici e per ciò che pensano di se stessi e della loro funzione;  e infine per gli scettici che non vanno a votare e che nel contempo vorrebbero un sacco di cose. Lo “scettico” che non vota, e fa quasi partito per se stesso dice (secondo Luhmann):

 

“ È possibile vietare i monopoli,  autorizzare la costruzione di una casa di vacanza in un parco nazionale, reintrodurre la pena di morte, semplificare l’amministrazione, aumentare i sussidi per la casa, ecc., ma cosa posso fare io per provocare tali decisioni? […] Tutto potrebbe essere diverso, ma di fatto non posso mutare quasi nulla” (6 [Sottolineatura mia]).

 

Si crede da qualcuno, ingenuamente,  che i politici siano scelti tra quanti vanno in Parlamento per dare risposte; mica tanto vero,  dice Luhmann , perché, se è pur vero che la “contrapposizione propriamente politica si ricollega alle elezioni”; essa è soprattutto “istituzionalizzata come lotta per un numero ben definito di seggi in parlamento” (7). Di qui la chiosa di Corrado Punzi, il quale ci spiega uno dei termini chiave del Luhmann  pensiero: il procedimento elettorale. La democrazia elettorale altro non sarebbe che una mera “procedura”, nella quale il cittadino opinionista pubblico sarebbe soltanto  una “variante” del tutto residuale nel grande gioco tra potere politico  e amministrazione:

 

“La   funzione   del   procedimento   elettorale, pertanto,   è   principalmente   quella   di legittimare  il  sistema  politico […] Democrazia,  pertanto, spiega ancora Punzi,   non  solo  non  indica  la partecipazione del  popolo  al  potere,  ma neanche un controllo dei processi del potere da parte del popolo. Democrazia è solo partecipazione ai  procedimenti  elettorali: indica,  cioè,  partecipazione  senza  partecipazione” (8  [Corsivo mio]).

 

Abbiamo capito: con Luhmann  non c’è trippa né per il gatto né per il sorcio, avrebbe detto il grande Alberto Sordi.  Ma. Qui ci metterei un bel ma. Difficile, come dicevo all’inizio, non riconoscere a Luhmann  la capacità straordinaria di “disvelamento” di ciò che sta dietro le quinte dei sistemi democratici, che sembrano sempre più “imperfetti”, se  così vogliamo dire. Però, se andiamo un po’ in giro per il mondo, è  letteralmente impossibile  trovare sistemi “reali”, cioè calati nella machiavelliana realtà effettuale, che offrano qualcosa di meglio.  L’offerta è generalmente peggiore rispetto a quella delle democrazie occidentali, dove  in genere le questioni politiche non si risolvono, nel peggiore dei casi, con insulti e sberleffi, ma con ben altri instrumenti.

 

Conciossiacosaché, non me la sentirei  di dare tutti i torti a Umberto Eco, il quale, facendo appunto eco a Leibnitz,  asseriva che il nostro, quello italiano (incredibile dictu), è “il migliore dei mondi possibili”. Poi Eco dava la sua spiegazione dell’enunciato:  “Sono stati rispettati anzitutto alti criteri di giustizia rappresentativa. Cosa deve fare un Parlamento? Rappresentare tutte le tendenze, le istanze, i desiderata, le esigenze, gli auspici di ogni componente del corpo sociale”, etc. etc. (10).

 

Restando tra i filosofi, me la sentirei invece di sottoscrivere  in pieno un enunciato di  Platone, che mi sembra ben attagliarsi alla mente fortemente e intelligentemente indagatrice di  Luhmann:

 

“in forza dunque di tale ragionamento, asserì Platone, nient’altro conviene all’uomo indagare e intorno a se stesso e intorno agli altri esseri se non ciò che è il meglio e l’ottimo”(Corsivi miei).

 

Benissimo. Però,  Platone poi aggiunse:

 

“E’ necessario che costui conosca anche il peggio” (11).

 

Il peggio, appunto, non è poi così distante dalle porte di casa (nostra).

 

 

Note

1)      Niklas Luhmann, Potere e complessità sociale, a cura di D. Zoro, Milano, Il Saggiatore, 2010.

2)      Ivi, p. 4.

3)      E. Noelle-Neumann, Spiral of Silence, Chicago, University of Chicago,  1984, pp. 25-26 e p. 173: “When individuals experience feedback, hearing their opinion voiced to them by others or by the mass media— a measure of public opinion— they become more confident in their point of view and therefore express it […]  If people find no current, frequently repeated expression for their point of view, they lapse into silence; they become effectively mute.”

4)      N. Luhmann, Potere e complessità sociale, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 109-113.

5) G. Gozzi, “Per un’analisi critica dello Stato contemporaneo”, in  Il Mulino, maggio-agosto 1980,  p. 438 e p. 441, nota 26.

6)      Niklas Luhmann, Stato di diritto e sistema sociale, Napoli, Guida, 1990, p. 78.

7)      Ivi, p. 229.

8)      C. Punzi, “La democrazia della democrazia: la legittimazione in Niklas Luhmann”, in Revista Jurídica – CCJ, jan-abr. 2017, p. 107 e p. 110.

9)      Ibidem.

10)    U. eco, “Il migliore dei mondi possibili”, in Dalla periferia dell’Impero, Milano, Bompiani, 2003, p. 98. Link: http://www.tecalibri.info/E/ECO_periferia.htm.

11)    “Platone, Phaed. 97 B”, in Testimonianze e frammenti dei presocratici, a cura di U. Curi, Padova, R.A.D.A.R., 1971, p. 253.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.