Manzoni e il populismo

società

Molto bene ha ricostruito la storia interna dell’avvicinarsi del Manzoni al romanzo storico N. Sapegno, nell’ “Introduzione ai Promessi Sposi”. L’intuizione del romanzo storico venne a Manzoni in un momento particolarmente triste e delicato della sua vita: erano infatti appena falliti i moti del 1821, molti suoi amici erano dispersi o in carcere, e lui aveva voluto isolarsi quasi per essere in sintonia di spirito con i propri compagni di lotta. Nel chiuso della sua casa di campagna aveva avuto modo di approfondire alcune tematiche, prima fra tutte quella di dar vita a una forma letteraria popolare per eccellenza. Scartata l’idea della tragedia, rimaneva da ripensare al romanzo storico così come l’aveva visto sviluppato in Walter Scott.

A dire il vero, il romanzo di Scott non gli era troppo piaciuto, sembrandogli che l’autore lavorasse troppo di fantasia. Per Manzoni, condizione essenziale era una più netta adesione al vero sia per quanto riguarda lo sfondo, sia per i caratteri, che dovevano risultare estremamente verosimili, in quanto la funzione della letteratura, secondo i romantici, doveva essere l’utile e non il puro divertimento e la fuga dalla realtà. Le stesse problematiche linguistiche postesi da Manzoni non avevano nulla a che fare con meri esperimenti tecnico-stilistici fini a se stessi, ma avevano aspetti pratici e politici molto rilevanti (una lingua per molti, se non per tutti), secondo il criterio di popolarità della letteratura, che prevedeva la sua poetica, che rifuggiva da qualsiasi edonismo linguistico. Impegno politico e impegno religioso si fondevano in Manzoni in qualcosa di inscindibile.

Non una religione sottomessa alla ragion di stato, ma un sentimento puro, evangelico, permeato di istanze provvidenzialistiche di cui il Manzoni era profondamente convinto. Tale morale fu letta da molti sotto un segno negativo, nel senso che l’idea provvidenziale appariva permeata di istanze di rassegnazione (i continui inviti rivolti agli umili di pazientare in attesa della provvidenza divina). Ma ciò, avverte Sapegno, è dovuto all’ambiente in cui visse Manzoni. Il rapporto religione-ideologia – popolo è stato ampiamente dibattuto dalla critica moderna, specialmente dopo il saggio di Antonio Gramsci, pubblicato in “Letteratura e vita nazionale”. Gramsci, in sostanza, sosteneva il carattere ancora aristocratico del cattolicesimo manzoniano e una sua evidente lontananza dal popolo, ridotto, più che altro, a pura macchietta.

L’atteggiamento di Manzoni verso gli umili è, secondo Gramsci, essenzialmente paternalistico, da “società protettrice degli animali”: uguale alla posizione della chiesa cattolica: il che costituisce secondo Gramsci un grave limite del cattolicesimo manzoniano. Alle considerazioni di Gramsci si ricollega Guido Baldi, “A. Manzoni, Cattolicesimo e Ragione Borghese”. Secondo Baldi, il populismo manzoniano si può porre sotto un segno negativo in quanto il popolo è offerto dal romanziere come modello positivo nella misura in cui tale popolo si dimostra del tutto passivo di fronte alle violenze e ai soprusi di cui è fatto oggetto; anzi si dimostra in qualche modo contento delle proprie miserie, in quanto esse lo rendono più vicino a Dio e gli garantiscono un premio nell’altra vita, preservandolo così dalla tentazione di modificare attraverso atteggiamenti rivoluzionari il mondo esistente.

Quindi, definire democratica la posizione di Manzoni, solo perché gli umili sono protagonisti del romanzo e sono guardati con una certa benevolenza, è del tutto antistorico. E’ altresì evidente, continua Baldi, la lezione che lo scrittore milanese intende proporre con la descrizione della sommossa di Milano: egli vuole dimostrare che quando il popolo prende l’iniziativa in campo politico, non solo non ottiene nulla ma anche provoca gravi danni alla collettività. Perciò il popolo non deve assolutamente intervenire nell’attività politica, ma anzi deve cristianamente sopportare soprusi e povertà, pensando che questo suo atteggiamento cristiano gli procurerà il giusto risarcimento nell’altra vita.

Popolani

Guardiamo per un attimo alle vicende del protagonista, la cui storia è in fondo la storia dell’educazione di un popolano, che nel romanzo è portato quasi ad esempio. Il giovane artigiano Renzo Tramaglino è inizialmente convinto che il povero non debba rassegnarsi di fronte all’oppressore: ecco perciò spiegati gli impeti di ribellione di Renzo sia verso Don Abbondio sia verso il Dottore Azzeccagarbugli. Questa sua fiducia di potersi in qualche modo fare giustizia lo porta a crearsi del-le illusioni e a mettersi nei guai con la polizia.

Il vero modello di popolo è invece per Manzoni Lucia. Lucia incarna perfettamente il modello di popolano che Manzoni ha in testa: è buona, assolutamente innocente, ignara di politica, laboriosa, ha orrore della violenza e attende, umile e rassegnata, l’aiuto del Signore e del potere politico che Egli ha voluto istituire sulla terra. Lucia “funziona” nel romanzo come da correttrice su quell’ “esemplare imperfetto” di popolano che è invece Renzo, il quale, come si è visto ha la tendenza alla ribellione, almeno agli inizi, dimostra scarsa propensione ad affidarsi interamente e senza lotta nelle mani della Divina Provvidenza. Alla fine del romanzo però anche Renzo viene guadagnato all’ideologia moderata e pacificatrice di Manzoni: infatti, Renzo, dopo i tumulti di Milano, nei quali ha rischiato la vita e la galera, giura solennemente di non mettersi più in mezzo ai tumulti della folla e di vivere serenamente all’interno della propria famiglia, disinteressandosi di politica: è il trionfo dell’ideologia moderata e cattolica del moderatissimo e cattolicissimo Manzoni.

Vittorio Spinazzola ne “I Destinatari dei Promessi sposi” riprende il discorso intorno al populismo manzoniano soffermandosi sul pubblico a cui Manzoni intendeva rivolgersi con il suo romanzo. Il destinatario dei “Promessi sposi” è, secondo Spinazzola, una media classe borghese letterata, comunque in grado di apprezzare lo sforzo linguistico messo in atto dal Manzoni tutto teso verso una lingua popolare e sostanzialmente realistica. Al di là di questa frontiera c’è la gran massa degli analfabeti, che la scrittura del Manzoni non può effettivamente raggiungere.

Tuttavia, anche questa massa di persone illetterate è in qualche modo gratificata di questa sua esclusione, in quanto è assunta a protagonista positiva del romanzo: non dimentichiamo infatti che Renzo e Lucia sono due lavoratori analfabeti del XVII secolo. Questa è l’unica concessione che il Manzoni fa al popolo degli esclusi, i quali, lo si ribadisce, non sono assolutamente in grado di offrire alcuna soluzione politica, ma devono semplicemente accontentarsi di quanto la classe dirigente offre loro, in una rassegnazione totalmente cristiana.

Cesare Cases, intervenendo a proposito delle affermazioni di Gramsci, pur assentendo con lui per quanto riguarda il paternalismo manzoniano, osserva che si tratta di un paternalismo diverso dalla comune accezione del termine: esso appare al critico permeato di un altissimo senso della giustizia, di avversione continua contro l’oppressione: il che dovrebbe portare a sottolineare il sottofondo apertamente democratico di Manzoni.

Cases fa notare che è pur vero che Manzoni invita alla rassegnazione, ma è altrettanto vero che con spirito illuministico smonta da par suo e attacca istituzioni come la famiglia (l’episodio della monaca di Monza la dice lunga su questo aspetto). L’onestà intellettuale di Manzoni appare a Cases indubitabile: che poi, con le sue teorie, finisse indirettamente per favorire anche le concezioni più retrive della borghesia, è un altro paio di maniche. Comunque, al di là delle letture ideologiche, appare indubbio l’eccezionale valore dell’impegno manzoniano, che ebbe riflessi enormi sia sulla lingua sia sulla moderna letteratura italiana.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.