Nobiltà [άριστοκρατία]

Nobiltà

E’ interessante notare come, nel corso dei secoli, i termini “populus” e “plebs” tendessero sempre più a differenziarsi, per cui con “populus” era generalmente indicato l’insieme dei cittadini non-nobili che erano però politicamente attivi, mentre “plebs” tendeva ad assumere un valore più dispregiativo, indicando la folla informe e spesso povera [ =“multitudo”], che era priva di qualsiasi diritto politico. Questa “degradazione” del termine “populus”, che scivola verso il concetto di “plebs” è registrata nei Dizionari a partire dal XVII secolo.

A. Savelli osserva al proposito: “I dizionari del XVII e XVIII secolo registravano, alla voce ‘Popolo’, una contrazione di campo semantico che non era ovviamente estranea ai grandi cambiamenti e al sistema nobiliare che, all’inizio del Seicento, era diventato un tratto comune dei diversi contesti italiani. Risalta subito un dato importante scorrendo le diverse edizioni del Vocabolario della Crusca: la prima di queste registrava, come prima accezione, quella di ‘moltitudine di persone congregata insieme’. Nelle successive edizioni del vocabolario, l’aggettivo ‘congregata’ fu espunto […] Mentre presso Cicerone il ‘populus’ era un ‘coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus”, il termine diventò, tra le edizioni del 1612 e del 1623, una moltitudine indistinta”. Scipione diceva che “In optimatium dominatu vix particeps libertatis potest esse multitudo” [Nel predominio degli aristocratici è ben difficile che la massa possa godere della libertà] (1,27,43) (1).

Patricius

Dall’altra parte, in posizione privilegiata per la ricchezza, stava dunque l’Aristocrazia, che presso i Romani era indicata come “Patriziato”. Il termine Romano “Patricius” deriva da “Patres” [Padri], e come la “plebs”, il “patriziato” costituiva un “ordo” pressoché sempre in lotta per il potere contro la “plebs”. I conflitti tra i due “ordines” della società Romana furono così aspri e frequenti, che i Romani cercarono spesso la “concordia ordinum” [la pace tra le classi sociali], istaurando il culto della “Dea Concordia”. Come indica l’etimologia del termine “Aristocrazia” [ “άριστοκρατία” (aristokratia)], essa deriva da “άριστος” [ “aristos”, plurale “Arìstoi”= i Migliori], per cui, appunto, i “migliori” si sentirono sempre investiti del diritto al comando e al dominio nella società nei confronti dei plebei. Aggiungiamo altresì che, mentre il “populus-demos” ( che storicamente potremmo identificare con la “borghesia”) godeva dei diritti civili, la “plebs” era esclusa da essi. Di qui le lotte secolari tra la “plebs” contro l’ “Aristocrazia-borghesia” per l’acquisizione del diritto di uguaglianza.

Άριστοκρατία in Europa

La storia mondiale, e in primis le grandi rivoluzioni europee (inglese [Levellers] e francese [Sanculotti]), è lì a dimostrare che la lotta tra la “plebs” e l’ “Aristocrazia”, detentrice di tutti i poteri, fu una costante delle società occidentali. In un primo momento, essenzialmente fra il XVI e il XVII secolo, della cosiddetta “crisi dell’aristocrazia” beneficiò essenzialmente la borghesia, mentre la “plebs” cominciò a lottare per il diritto all’uguaglianza soltanto a partire dal XVIII secolo, con la Rivoluzione Francese.

La crisi dell’aristocrazia interessò in vari momenti storici tutti i paesi europei nord occidentali, in primis l’Inghilterra. Come ebbe a sottolineare L. Stone, della crisi dell’Aristocrazia beneficiò nel XVI secolo soltanto la “gentry”: “If the holding of church, crown, and the older peerage declined, who got what they lost? It seems reasonable to concorde that it was the gentry who were the beneficiaires” [Se i patrimoni della Chiesa , della Corona , e dell’antica nobiltà declinarono, chi si impadronì di ciò che essi avevano perduto? Sembra ragionevole pensare che chi ne beneficiò fu essenzialmente la gentry (2). In Francia la crisi della nobiltà fu più tarda, ed essa iniziò verso la seconda metà del XVI secolo (3).

In altri Stati, come l’Italia, la crisi dell’Aristocrazia si registrò nel periodo Napoleonico. Napoleone era un “decisionista” e aveva bisogno di una burocrazia estremamente preparata. Siccome in Italia gli “apparati” dello Stato erano in mano ad un’aristocrazia per vari versi non solo impreparata e indolente [che trasmetteva le cariche pubbliche per via ereditaria], ma anche, e soprattutto, “incapace” di un qualsivoglia miglioramento sotto il profilo strettamente “tecnico”, Napoleone, semplicemente, la “liquidò”, “sic et simpliciter”, e al suo posto ci mise i “suoi” funzionari (1), e fece nascere in Italia una nuova “borghesia di Stato”, a lui, ovviamente, fedelissima, fatta di “uomini nuovi” che a Napoleone dovettero prima la loro “crescita” sociale e poi, anche, l’accesso alla “nuova nobiltà” creata dallo stesso imperatore. L’avvento di Napoleone in Italia costituì l’evento più dirompente per l’ “άριστοκρατία” di Antico Regime, che fu, letteralmente, “destrutturata” e, soprattutto, ridimensionata nei privilegi. Una “tempesta” di cui l’antica nobiltà si ricordò molto, ma molto a lungo.

Note

1) A. Savelli, “Un percorso semantico: dal ‘populus’ all’indistinta moltitudine”, in “Laboratoire Italien”, 2001, n. 1, pp. 9-24.
2) L. Stone, in “Stone and Anti-Stone”, in “The Economic History Review”, 1972, XXV, p. 116.
3) D. Bitton, “The Franch Nobility in Crisis. 11560-1640”, Stanford University Press, 1969.
4) Per quanto riguarda la “liquidazione” della nobiltà italiana dagli apparati dello Stato in epoca napoleonica, cfr. i saggi contenuti in “Notabili e funzionari nell’Italia napoleonica”, in “Quaderni Storici”, 1978, n. 37.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.