Omitte nugas: Pietro Bembo eretico?

Pietro Bembo, l’autore delle  Prose della volgar lingua (1525), il vademecum di tutti gli intellettuali italiani dal Cinquecento in su,  lo conoscono tutti. Bembo fu un grande umanista e un fine letterato, ma visse in tempi molto difficili. In contatto con pressoché tutti gli esponenti più rappresentativi dell’umanesimo europeo, egli, ad un certo punto della sua parabola esistenziale, incappò in una trappola in cui caddero molti: il sospetto di eresia.

 

Ci fu una frase del Bembo che fece un po’ il giro d’Europa, citata da amici e avversari. Richiesto di un parere sull’ Epistola ai Romani, egli avrebbe risposto che era meglio soprassedere, perché non era un argomento da persona seria: Omitte has nugas, non  enim decet gravem virum tales ineptiae [Lascia perdere queste sciocchezze; simili inezie non s’addicono ad un uomo serio].  Divenuto cardinale dopo lunghe e snervanti manovre (molti non lo volevano proprio  in Curia, tanto che qualcuno sussurrò al Papa: “Padre santo, noi non habbi(a)mo in collegio di bisogno di huomini che sappiano fare i sonetti”) (1), Bembo, per via delle sue molte e, talora, poco “ortodosse” amicizie a livello nazionale e non, ad un certo punto fu sospettato anch’egli d’eresia, nonché  di “paganesimo”. Inoltre, certi suoi accostamenti poco giudiziosi tra Giove e Dio, o tra i santi e le deità pagane, furono mal digeriti, o non digeriti affatto,  in alcuni ambienti cattolici, diciamo, di stretta osservanza. Poiché Pietro Bembo era letteralmente imbevuto di cultura classica, molto probabilmente certe “simmetrie” o accostamenti gli venivano spontanei, e senza intenti blasfemi;  ma i suoi avversari difficilmente gli perdonavano qualcosa. La sua era una posizione non dissimile da quella di Poliziano, che richiesto di un parere sulla Bibbia, rispose di averla letta, ma di essersi reso conto di aver soltanto sprecato tempo prezioso. Anch’egli, pagano “gaudente”, si prese le sue da George Horne,  grande erudito inglese del XVII secolo,  detto altrimenti Georgius Hornius,  il quale, in un passo della sua Historia Philosophica, beccò sia Poliziano sia Bembo come detrattori della Bibbia:

 

“Dux & Caput factionis Angelus Politianus erat, qui interrogatus an Biblia legeret : Semel, inquit, perlegi librum histum et numquam collocavi pejus ullum tempum […] Cui omòphron erat Petrus Bembus, qui, Semel, inquiebat, legi Biblia, si iterum mihi legenda essent, omnem perderem latinitatem. Idem, cum aliquando P. Sadoletum in Epistolas Pauli commentantem offendisset, non decent, inquit,   talem virum tantae ineptiae” (2).

[Angelo Poliziano, che era il nume dei letterati suoi contemporanei, richiesto se avesse mai letto la Bibbia, rispose:  Ho letto questo libro una sola volta e mai m’è capitato di  sprecare peggio il mio tempo. Perfettamente concorde con lui era Pietro Bembo, il quale diceva: M’è capitato di leggere una sola volta la Bibbia, e se fossi stato costretto a rileggerla, avrei perduto per sempre il mio buon latino. Lo stesso, criticando il Sadoleto per il suo commento sull’Epistola di San Paolo,  disse: Non è proprio il caso che un uomo del tuo  ingegno si perda dietro a simili inezie ”].

 

Restando fermi al Bembo, l’Accademico Intronato Tommaso Lanzio,  tra le risate e gli sghignazzi dell’inclito e della plebe, arrivò sino al punto di asserire spudoratamente che il Bembo “ non sapeva scrivere”:

 

“Tommaso Lanzio, “ignorante, e nemico del Card. Bembo a tal segno ch’egli non contento di attaccarlo nella Religione, arrischiò a dire che scriveva barbaramente, cose da fischiate” (3). Decisamente una solenne “fischiata”, un fantastico autogol dell’ Intronato, perché l’appunto era  rivolto a un personaggio universalmente riconosciuto come  un “princesps” delle Lettere: “Doctrina et eloquentia nostrae aetatis facile princeps” (M. Lanzi, p. 35).

 

Pietro Bembo se la cavò alla grande, come del resto era immaginabile accadesse vista la fama di cui godeva: ma un’ombra pesò per sempre su lui, dai contemporanei sino a noi. Egli poté contare, come abbiamo visto,  anche su difese “postume” molto accalorate, che tuttavia non convinsero del tutto allora, come non hanno convinto del tutto oggi. Tra i più accesi follower dell’assoluta estraneità del Bembo a qualsivoglia “infedeltà” rispetto all’ortodossia cattolica fu l’abate  Bernardo Morsolin, che, in un ampio saggio apparso sul Giornale storico della letteratura italiana del 1885, e giustamente citato da Danzi,  lo difese a spada tratta, soprassedendo su tutto, anche sul fatto che in gioventù il Bembo condusse, effettivamente, una vita tra il libertino e il “pagano”. In quel saggio, pubblicato anche negli Atti del Reale Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti nello stesso 1885 con il titolo l’ Ortodossia di Pietro Bembo, l’abate Morsolin “limò” di molto sui comportamenti “giovanili” del Bembo, riconducendoli ad un semplice “vezzo” degli umanisti:

 

“ Io non dirò che la vita giovanile del Bembo corresse dissipata, o scorretta: ho motivo piuttosto di credere, ch’essa s’informasse, più forse che non si conveniva, a quel fare pagano, ch’era vezzo degli umanisti specialmente del tempo” (4).

 

Tali difese ad oltranza non riuscirono tuttavia efficaci.

 

Diciamo allora che il tema della presunta “eresia” di Pietro Bembo si è trascinato sino ad oggi senza trovare soluzioni soddisfacenti. Tuttavia, molto è dipeso dall’impostazione della questione, che, aprendo un agone tra innocentisti e colpevolisti, non ha portato alla fine a nulla di positivo. A me pare tuttavia che l’impostazione data da M. Danzi sia quella giusta e corretta, e che i risultati, alla fine, siano molto convincenti e condivisibili perché condotti al di fuori d’ogni polemica ideologica o religiosa. Danzi ha compiuto una ricognizione storiografica  ampia e puntigliosa   su tutta la scabrosa questione del Bembo, che era personaggio ammirato persino tra i protestanti e dallo stesso Lutero,  che lo aveva posto tra i “salvati” discorrendo d’ una Roma “sentina di vizi” (M. Danzi, p. 29):  elogio che gli procurò, più che altro, altre grane a non finire.

 

“Negli ultimi decenni, gli storici del nostro Cinquecento religioso hanno sempre più collegato la sua figura agli ambienti ‘spirituali’ ed ‘evangelici’, in cui nuotano come pesci colleghi e amici suoi fin dagli anni veneziani. Uomini come Tommaso Giustiniani e Vincenzo Quirini, autori, nel 1513, del Libellus ad Leonem X anticipano le ansie di ‘spirituali’ veri come Contarini, Sadoleto, Fregoso, la Colonna o il cardinal Pole: questi ultimi andati poi a formare il gruppo dei ‘radicali’ di Viterbo. Il problema del posizionamento di Bembo è, oggi ancora, aperto” (M. Danzi, p. 36).

 

In realtà Pietro Bembo fu essenzialmente “aperto” a uomini di grande cultura e intelligenza, poco importandogli su quale sponda religiosa si venissero a trovare. E comunque, una volta divenuto cardinale, tirò un po’ i remi in barca, e cercò in tutti i modi di non dar adito a inutili pettegolezzi. Carlo Dionisorti, che s’interessò da par suo alla questione, era assolutamente convinto che per Bembo e qualche altro non si potesse in alcun modo incomodare la Santa Inquisizione:   “Bembo, Gualteruzzi e compagni restavano fino all’ultimo non tacciabili di cedimenti spirituali” (corsivo mio), concluse Dionisotti (M. Danzi, p. 38).  Anche se è vero che egli aveva mostrato un certo interesse e condivisione per le idee sulla “giustificazione”, lo aveva fatto piuttosto tardi rispetto agli eventi:

 

“E certo, scrive Danzi,  nuova riflessione importerebbe l’adesione sua e di Contarini alla dottrina della ‘giustificazione per sola fede’ (la dottrina de justificatione). Come prova al di fuori d ‘ogni dubbio una lettera spedita al Giustiniani , Contarini vi aveva aderito in privato fin dal 1523, ma tornava ad accettarla pubblicamente nel 1542 a Ratisbona. Bembo, lo ha mostrato Simoncelli e ribadito Firpo, vi accede invece solo in vecchiaia (corsivo mio) e probabilmente proprio attraverso la mediazione del Soranzo. Nessuno di questi momenti, che per la data assumono significati molto diversi, basta a fare di loro dei riformati. In tempi del resto, nei quali ancora la Chiesa non si era pronunciata ufficialmente su questioni di fede, a questa posizione poteva giungere un pubblico vario, anche privo di specifiche nozioni teologiche come mostra il caso di Galasso Ariosto, fratello di Ludovico” (M. Danzi, p. 41)

 

In buona sostanza, secondo Danzi, il comportamento del Bembo  “era invece – ne sono convinto -, egli scrive,  il frutto migliore di un’educazione segnata dall’assorbimento di un bagaglio culturale classico-umanistico in parte fatalmente precristiano (corsivo mio), che finiva per facilitare in lui il confronto e la capacità di giudizio entro un quadro di lungo periodo, permettendogli di intravedere soluzioni efficaci anche per accadimenti dei quali non poteva nascondersi la gravità. Il suo intervento a sostegno di uomini in vario modo colpiti dalle istituzioni come Aonio Paleario o Pietro Martire Vermigli, o molto vicini ad esserlo come Pomponazzi, deve ora essere messo in parallelo alle aperture umane e intellettuali che la sua biblioteca, opportunamente interpretata, ci mostra” (M. Danzi, p. 45).

 

Ergo, a proposito di Pietro Bembo,  si deve più che altro parlare di “aperture umane e intellettuali”, non di “eresia”, parola che fu largamente abusata dai contemporanei per impedire che egli potesse assurgere al cardinalato. E in  quella lotta sorda, spesso sordida,  e sotterranea,  i suoi animosi avversari s’attaccarono a tutto, anche alle mezze frasi. Al che Pietro Bembo avrebbe potuto rispondere, quasi citando se stesso:

 

“Omitt[it]e Nugas”. Smettetela con le ciance! E pensate alle cose serie ( sempre che ne abbiate qualcuna per la testa). Oppure, molto più da letterato, avrebbe potuto rispondere ai suoi detrattori con due versi ironici del Petrarca, da lui stesso commentati nelle Prose:

Non perch’io non m’avveggia

Quanto mia laude è ingiuriosa a voi (5).

 

Note

 

1)      M. Danzi, “L’umanista e il cardinale: parametri per una interpretazione storica della biblioteca di Pietro Bembo”, in F. Sabba, Le biblioteche private come paradigma bibliografico, Roma,  Bulzoni, 2008,  p. 29.

2)      Georgii Hornii historia philosophica libri septem, Liber Sextus, Lugduni Batavorum, Apud Johannem Elsevirium, 1665, p. 312.

3)      Apologia del Cardinale Pietro Bembo dalle false accuse che si leggono nel Trattato degli studj sulle donne, dell’Accademico Intronato, Fatta dall’Abate Giovambattista Parisotti, In Venezia, Appresso Simone Occhi, MDCCXLIII [1743], p. XLI.

4)      Bernardo Morsolin, “Ortodossia di Pietro Bembo”, in  Atti del Reale Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Anno 1884-1885,  Dispensa V, p. 845.

5)    “Delle Prose di M. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritte al Cardinale de’ Medici che poi fu creato a Sommo Pontefice et detto Papa Clemente Settimo divise in tre libri”, in  Le Prose del Bembo, in Fiorenza, Lorenzo Torrentino Stampator Ducale, MDXLVIII (1548), p. 200.

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.