Orazio tra Mecenate e Augusto: opportunista o fortunato “minchione”?

Non sarebbe scientificamente opportuno parlare di opportunismo, un termine da Russia Sovietica,  nei riguardi di un antico poeta romano come Orazio, ma siccome la parola rende bene il concetto, la usiamo. Già m’è avvenuto di osservare che la leggendaria Pax Augustea fu un fatto che riguardò più che altro l’Italia; verso l’esterno Augusto condusse una serie pressoché ininterrotta di guerre offensive e di conquista con lo scopo primario di acquisire le risorse finanziarie necessarie   per l’indispensabile esercito, e per tenersi buona la classe dirigente romana. L’Italia, al contrario, godette di un periodo di relativa tranquillità; e in questo contesto, l’imperatore agì con l’intento di rafforzare quanto più possibile la stabilità del potere imperiale, e, fra le altre cose, cercò in ogni modo di fare dei migliori intellettuali, poeti e scrittori del suo tempo degli integrati,   facendo sì che essi fossero supporto di non poco momento dell’ideologia imperiale, fatta di parole d’ordine quali pace, ordine sociale, virtù contadine e via discorrendo.

 

Di quest’aura ne risentirono grandi poeti come Virgilio, storici come Livio nonché, ovviamente, anche Orazio, che lavorò all’ombra del potentissimo Cilnio Mecenate, il famoso Maecenas.

Ciò stabilito, quali furono i rapporti di Orazio con il potere?

Qui davvero entriamo in un campo irto di spine per il povero Orazio, che, per via delle sue odi civili, fu accusato da varie parti della storiografia moderna di eccessivo servilismo nei confronti del potere politico. Mi esimo dal citare i sostenitori di siffatta tesi, i cui nomi si possono trovare tutti in un saggio memorabile di Antonio La Penna, Orazio e l’ideologia del principato.

La Penna fu magnanimo con Orazio, assolvendolo da tutte le accuse, e facendo notare, per così dire, che così facevan tutti (poeti e prosatori) ai tempi di Augusto. Orazio e Virgilio, se volevano lavorare in santa pace, dovevano contare sulla protezione di personaggi molto potenti. A Orazio in questo senso toccò il top, perché ebbe dalla sua, da un lato Mecenate, che lo ricordò persino nel suo testamento;  e dall’altro le aperte simpatie di Augusto, che amava definirlo sia minchione sia il suo simpatico omiciattolo. Fu augusto che volle che le di lui spoglie mortali fossero tumulate  vicino alla tomba di Mecenate.

La protezione di Mecenate e l’amicizia dimostratagli da Augusto furono pertanto fondamentali nell’assicurare a Orazio una vita tranquilla, e senza preoccupazioni economiche. Tornando al servilismo e al tema del supposto opportunismo di Orazio, Antonio La Penna mette in evidenza un fatto dirimente: ossia che Orazio mostrò un’adesione a suo parere sincera e molto convinta al programma augusteo, solleticato in ciò dal di lui stesso carattere, bisognoso di sicurezza e della concordia sociale. In essi  elementi Orazio vedeva la garanzia per la prosecuzione di una vita letteraria produttiva, e del suo otium litterarium. E’ quindi evidente che non esiste contraddizione tra l’Orazio civile e quello più interiore, per cui la presunta dissonanza è più nei critici che nel poeta.

Di ciò sembra convinto anche Alfonso Traina, che nell’Introduzione a Odi ed Epodi di Orazio per la BUR, rifiutava di netto il concetto di opportunistico allineamento di Orazio alle direttive del principe, perché, secondo il critico, c’era  in Orazio, a livello psicologico,  un bisogno profondo di quella sicurezza che soltanto il principato augusteo, la cui ideologia,  legata all’ordine e alla pace, ne tutelava la concretezza. Indi Traina poneva l’accento sul fatto che la stessa esaltazione di Augusto rientrasse  in un topos canonico del tutto comune ai poeti augustei e non: ossia il noto ringraziamento (con apoteosi) di quanti erano ritenuti benefattori della patria, e pertanto degni d’essere annoverati tra gli dei. In questo senso, presupporre anche lontanamente una sorta di  surrettizio antagonismo di Orazio rispetto ad Augusto, e quindi di un suo strisciante e sussiegoso servilismo,  è ipotesi che non sta in piedi alla luce della biografia del venosino e del suo carattere di uomo.

 

Quando Augusto gli propose di fargli da segretario , Orazio s’inventò un sacco di acciacchi, veri o presunti, e rifiutò. Un atto del genere non è da uomo servile, né da opportunista. E già soltanto questo gesto dovrebbe preservare Orazio da ogni  accusa di servilismo verso il potere. E fu probabilmente anche per questo che ogni tanto l’imperatore lo gratificava amichevolmente dell’epiteto di minchione. Molti altri poeti  avrebbero sacrificato agli dei se soltanto l’imperatore si fosse degnato non dico di definirli minchioni, ma anche soltanto di guardarli con aria distratta. Orazio fu quindi un uomo di pregevole statura morale e intellettuale, oltre che poeta d’indiscutibile valore,  e fu probabilmente per questa ragione, oltre che per gli indubbi meriti poetici, che i massimi vertici del potere romano del tempo guardarono a lui con simpatia: proprio perché tutt’intorno vedevano soltanto cortigianeria, cui s’accompagnava scarsa qualità del “prodotto” .

Orazio, tutto sommato, proprio grazie a quel suo carattere ad un tempo bonario ma austero nell’interiorità, fu un uomo e un poeta fortunato. Meno fortuna, almeno in apparenza,  ebbe la tradizione manoscritta delle sue opere. Dei quattrocento codici, o giù di lì,  che costituiscono il corpus della tradizione oraziana,  fu perduto il più importante, il famoso Blandinius Vetustissimus. Che però, vedi fortuna, prima d’andar perso,  fu visto e utilizzato dall’umanista fiammingo Jacques de Crucque, latinamente Jacobus Cruquius, che ne diede un’edizione cinquecentesca. Il de Crucque, che doveva avere mano fatata con la tradizione dei codici del venusino, ebbe tempo e modo di collazionare quattro codici, detti Blandiniani, che erano conservati  nel monastero belga di Blandigny, un po’ prima che essi andassero perduti in un incendio. La fortuna delle opere di Orazio non finisce qui. Il console Vettio Mavorzio letteralmente salvò, in quella che va sotto il nome di Recensio Mavortiana, altri codici di Orazio che si rifacevano ad un unico archetipo, uno dei quali, il Taurinensis, andò anch’esso distrutto in un incendio.

 

Orazio fu davvero  un poeta di vaglia, un uomo retto, e, per di più (il che non guasta mai) molto, molto fortunato.

 

 

 

Note

 

Antonio La Penna, Orazio e l’ideologia del principato, Torino, Einaudi, 1963.

 

Orazio,  Odi ed Epodi, Introduzione di Alfonso Traina, Traduz. e note di E. Mandruzzato, Milano, Rizzoli, BUR, 1985.

 

Per la tradizione dei testi di Orazio,  Cfr. V. Paladini-E. Castorina, Storia della letteratura latina. Problemi critici, Bologna, Pàtron, 1970,  Vol. II.

 

Per Jacques de Crucque, Q. Horatii Flacci Epodon Liber, Ex antiquissimis septem codicibus manuscriptis, cum commentarijs antiquis emendatus & editus opera Jacobi Cruquii …, Antverpiae, Ex officina Christophori Plantini, MDLXVII [1567].

 

Su Vettio Mavorzio ancora valide le considerazioni di John Colin Dunlop, History of Roman Literature  During The Augustan Age, London, Printed by Longman et alii, 1827,  p. 571, Vol. III,  Appendix :

 

“The works of Horace were preserved and several copies were made of them in the 6th century during the Consulship of Vettius Mavortius. From that time they continued, like the poems of Virgil,  to be well known during the Middle Ages. They are frequently cited by the authors of that period and were commented on by Helenius Acro and Porphyrio who are generally supposed to have lived in the 7th century. None of the MSS of Horace are of such high repute and value as the four celebrated Codices which I have mentioned of the works of Virgil.  Several however of considerable authority and antiquity chiefly of the 11th 12th and 13th centuries were collected at the revival of literature and subsequently came into the possession of Lambinus,  Cruquius,  Fabricius and other eminent editors of Horace.”

[Le opere di Orazio furono conservate e diverse copie ne furono eseguite  nel VI secolo durante il Consolato di Vettio Mavorzio. Da quel momento hanno continuato, come i poemi di Virgilio,  ad essere ben conosciute nel  Medioevo. Esse furono frequentemente citate dagli autori di quel periodo e furono commentate da Acrone [Helenius Acro] e Porfirione [Pomponius Porphyrius],  che generalmente si suppone siano vissuti nel VII secolo [ma del III secolo]. Nessuno dei MSS di Orazio è di tale alta rinomanza e valore come i celebrati quattro codici che ho citato delle opere di Virgilio.  Molti tuttavia di grande autorità e antichità, principalmente dei secoli XI, XII e XIII,  furono  raccolti con la rinascita della letteratura  e successivamente entrarono in possesso di Lambinus, Cruquius, Fabricius e altri eminenti editori di Orazio].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.