Agli albori dell’Unità d’Italia, i “Romani de Roma”, vale a dire lo spirito del popolo, si son sempre dati la propria interpretazione delle vicende storiche e politiche d’Italia e di Roma stessa. Si presentano qui alcuni sonetti di un poeta in romanesco, Augusto Marini, sicuramente molto meno famoso del grande Gioacchino Belli nonché di Trilussa, ma altrettanto efficace nel descrivere le atmosfere romane “viste dal popolo” nel momento in cui Roma divenne Capitale d’Italia. In questo sonetto proemiale, che vede per protagonisti un “emigrato” (non si sa di qual regione dell’Italia di allora) e un farmacista, il popolo romano ci spiega come e qualmente siansi da interpretare le differenze tra Destra e Sinistra:
L’Emigrato e lo speziale [farmacista]
Ma annate, annate a fane le ricette,
Nun venite a parlà der Parlamento.
Pe’ voi Sinistra e Destra, a quanto sento
So tutt’uno, ma invece so du Sette. (sono cose opposte)
(Ma vada a far le sue ricette, non rompa l’anima, e non venga a parlarmi, proprio lei, del Parlamento. Per lei Sinistra e Destra, a quanto sento, sono la stessa cosa, quando invece sono due cose del tutto differenti).
Er Deputato de Sinistra mette
Bocca pe’ tutto, nun è mai contento.
S’arrabbia, s’arsa [s’alza] in piedi ’gni [ogni] momento
Spalanca l’occhi e fa l’ammazzasette.
(Il deputato di Sinistra è incontentabile, s’alza in piedi a protestare ad ogni piè sospinto, strabuzzando gli occhi e promettendo chissà quali sfracelli).
Invece er Deputato della Destra
Parla poco, nun da retta a gnissuno, (non dà retta a nessuno)
Pe lui l’Itaja [l’Italia] sta nella minestra.
(Invece, il deputato di Destra è tranquillo, e parla poco, e non dà retta a chicchessia. Per lui, L’Italia sta nel piatto).
La differenza è qui, ch’uno guadagna
Coll’aprì bocca de restà a digiuno;
L’antro nun apre bocca si nun magna.
(La differenza sta tutta qui: l’uno guadagna parlando, per timore di restar digiuno; e l’altro non apre bocca se non mangia).
La faccenda delle immondizie a Roma è “eterna” come Roma, città “eterna” per antonomasia:
La pulizia delle vie di Roma
De pulizia si voi avé na prova
Hai da fa na passata pe l’ Archatto,
Chiamato l’Arco della Chiesa Nova,
E affacciate un tantino ar vicoletto.
( Se vuoi aver una prova della pulizia a Roma, fatti una passeggiata per l’ Archatto, e vai a vedere il vicoletto all’Arco della Chiesa Nova ).
Lì, finché er Municipio non rinnova
Quer cacatore, ce sarà un guazzetto
De quella robba, torzi e coccie d’ova
Che dovremo godessela (godercela) un pezzetto.
( Lì, finché il Comune non agguanta quel dannato “cacatore”, ci sarà sempre un guazzetto misto a torsoli e gusci d’uova).
Ma forse er Municipio, sor Pasquale,
Lascia lì, più che pò sta porcaria
P’aricacciarcce (darci) poi la su[a] morale;
(Ma forse il Comune, caro il mio Signor Pasquale, lo fa apposta a tener lì ad oltranza quella porcheria, per darci infine la sua “morale”).
E fa vede a ’sta gente che se lagna,
Che nun è vera poi ’sta carestia,
E si se ca… è segno che se magna.
(E fa vedere a tutti ’sti lagnosi, che non è vera per niente ’sta storia della carestia, perché fin che si c …, vuol dir che a Roma c’è pur qualcun che mangia).
Un deputato “novellino” va dal sarto a farsi un cappotto, lamentandosi però del fatto che gli sembrava un po’ strettino. Sentiamo il commento del sarto (ultima strofa):
Il sarto e il deputato
Sto soprabbito è largo?! è na pittura!…
Se specchi, s’arivorti (si volti) qua un momento;
Je fa specie mo a lei sta piegatura?. . .
Si nun sta dritto je ne farà cento:
Der resto si lei vede che figura
Quando cammina cor su portamento!
(Vedesse il figurone che fa).
Je piomma (piomba) giù che pare na montura:
Questo è un ber capo e ce pò sta contento.
Più attillato? je pare!… un deputato
Nun è mica un painetto (damerino), e l’uso ingrese (inglese)
Vò (vuole) er comido (comodo) pe l’omo un pò attempato:
Si lo fanno Ministro, ce scommetto
Tutto er negozio, che nun passa un mese
Che lo manna a allarga perché j’è stretto.
(Scommetto che, se lo fan ministro, il mese prossimo me lo manderà in negozio ad allargare, perché gli andrà stretto).
Verrà il giorno delle vacche grasse.
Hodie mihi cras tibi [Oggi a me, domani a te].
Senti, in Italia male nun se sta,
Né male der Governo se pò di’
Che te concede tanta libertà;
Ma come, voi sta mejo d’accosì?
(Senti, in Italia non si sta poi così malaccio, né si può parlar male del governo, che ti dà tanta libertà. Dove me lo trovi un posto migliore di questo?)
È vero che le tasse hai da pagà
E che bocconi amari hai da inghiottì,
E che poi si te senteno lagnà
Aggratisi te mannenò a dormì. ( Ti manderanno a letto gratis)
Ma fa tutto in un botto nun se pò,
E bigna avè pacenza, bigna avè,
Cristo er monno in sei giorni lo creò:
(E’ vero: devi pagare le tasse e mandar giù bocconi amari. Ma non si può avere tutto e subito. Infatti Cristo creò il mondo in sei giorni).
S’oggi dunque a magnane tocca a me,
Quanno sarò crepato, se Dio vò,
Fra, un centinaro d’anni, tocca a te.
(Se oggi dunque tocca a me di mangiare, quando avrò tirato le cuoia, e se Dio vorrà, forse tra un centinaio d’anni toccherà pure a te. Contento?).
E visto che, a lume di naso, l’Italia e Roma di oggi sono, per vari versi, molto simili a quelle di cento e più anni fa, val forse la pena d’interrogare un “Romano de Roma” che nessuno sospetterebbe mai quanto fosse “romanaccio”; sto parlando di Giulio Andreotti, il quale, invero, poeta mai non fu, ma, richiesto di darsi una definizione, trovò per se stesso la qui seguente: un “popolano romano”.
Intervistato da M. Nanni nel 1990 in occasione dei suoi 90 anni, Nanni chiosò sul fatto che Egli fu paragonato spesso a Belzebù, Richelieu e Talleyrand.
“C’è un personaggio storico, incalzò Nanni, al quale si sente più affine?”. E Andreotti:
“Sono un popolano romano (corsivo mio) che aspira a rimanere nella cronaca e non ha davvero velleità storiche. Comunque non mi è sembrato giusto entrare nella cronaca giudiziaria”.
Benissimo. Stabilito ordunque che Andreotti era a tutti gli effetti un “Romano de Roma”, Egli aveva altresì in sé tutta quella carica comico-satirica ch’è consustanziale alla celebre statua di Pasquino romano. Richiesto da Nanni di dire, all’inclito e alla plebe, da dove mai tirasse fuori le sue battute sempre pungenti, Andreotti-Pasquino rispose che era un dono di natura, che neppure lui un tempo sospettava d’avere. E narrò il seguente episodio, che vedeva per protagonista un “mutilato”, occorsogli quand’era ancora giovanotto di belle speranze, che lavorava per mantenersi agli studi:
“Ero ragazzino quando in tram ricevetti da un passeggero una tremenda pestata sui piedi. Mi disse: ‘Scusami figliolo, sono mutilato’. Risposi di getto: ‘ La scuso perché non l’ha fatto apposta, perché se tutti i mutilati mi passassero sopra sarei rovinato’. Tutti risero ed io, allora, non capii perché”.
Cresciuto, Egli indubbiamente celava in sé molte verità arcane sull’Italia di allora e di oggi, che è, come si sa, da tempo immemorabile un’Italia “in transizione”. Richiesto pertanto di vaticinare quando si sarebbe infine conclusa la suddetta “transizione italiana”, Egli rispose:
“Dio solo lo sa”.
Anche noi crediamo sia opportuno rivolgerci alla Divinità per conoscere la risposta a tanto e sì alto quesito. Ma andiamo avanti. Richiesto poi di “spiegare a uno straniero ‘chi comanda in Italia’”, Egli rispose:
“Ma comanda veramente qualcuno?”.
Nanni, insaziabile, volle infine rivolgere a Colui che, “sicuramente”, aveva in saccoccia verità ascose ai più, una delle domande che ancora oggi tormenta gli attuali politici italiani, i quali accusano i Poteri Forti d’essere all’origine di tutti i loro mali, nonché dei mali dell’Italia (sempre in transizione).
“Quali sono i Poteri Forti, chiese supplichevole Nanni, e quanto incidono?”. La risposta di Lui lascia anco oggi interdetti e sbalorditi:
“Direi il bollettino meteorologico, e le televisioni che la sera diffondono il bollettino della Borsa. In questa direzione forse va cercato il Potere Forte”.
Che la Borsa, che va eternamente su e giù (come l’Italia, sempre transeunte), impressioni di brutto, oggi più di ieri, gli italiani, è realmente un fatto che chiunque può facilmente esperire.
Non c’è dubbio: anch’io credo fermissimamente che un Potere più Forte della Borsa sia difficilissimo oggi a trovarsi in Italia (e abroad). Quanto poi alla potenza del bollettino meteorologico, nessuno può negare che al mattino (e fors’anche la sera), prima di buttare un occhio fuori della finestra per vedere un po’ il tempo che fa, accendiamo la televisione, dove troviamo “sempre” la giusta risposta ai nostri atroci dubbi.
Forse il “popolano romano” cognominato Giulio Andreotti ci ha svelato qualche inaspettato segreto, per cui non m’affannerei, come tanti, a rintracciare in ascosi anfratti ciò che è sito dinanzi il nostro augusto naso.
Fonti:
Augusto Marini, Cento sonetti in vernacolo romanesco, a cura di A. Giovagnoli, Roma, Edgardo Perino Editore, 1877, p. 24, 31, 63, 73.
L’intervista a Giulio Andreotti si può leggere in M. Nanni, “Andreotti: il tempo scolpisce la verità”, in Nuova Antologia, gennaio-marzo 2000, pp. 72-85.