Una “pupazzata” di Luigi Pirandello

Per Pirandello, il sentimento del contrario, vero perno su cui gira il suo famoso saggio sull’umorismo,  coincide con la capacità di intuire ciò che si cela dietro l’apparenza: uno straordinario sentimento che comporta l’avvertimento istintivo dell’ombra che s’occulta dietro le quinte della  vita di tutti noi. Si è colti come da improvvisa illuminazione, che rischiara ogni cosa. Allora, si arriva al momento in cui si comprende la realtà vera del mondo e degli uomini. Come sortì quest’idea nella mente di Pirandello? E difficile dirlo, ma sfogliando il suo saggio del 1908, vediamo citati molti studiosi  del comico e dell’umorismo che possono averlo ispirato, e  la biblioteca di Pirandello assicura di vaste e approfondite letture sull’argomento, come per esempio un testo di E. Sannia, Il comico, l’umorismo e la satira nella Divina Commedia, Milano Hoepli, 1909 (A. Barbina, La biblioteca di Luigi Pirandello, Roma, Bulzoni, 1980, p. 137), per non parlare poi delle molte citazioni sulle definizioni di umorismo di antichi e moderni.

 

Nel 1908 Pirandello dava dunque alle stampe il suo saggio sull’Umorismo. In esso compaiono, come dicevamo,  molte citazioni relative al concetto di umorismo nei secoli. Però,  per esempio, fra le molte citazioni spuntano  testi che, per quanto m’è dato a vedere dagli studi di A. Barbina, non erano presenti nella biblioteca di Pirandello. Tra i volumi non presenti, spiccano per la loro assenza, quelli di Filippo Masci, il cui cognome (“il Masci”) fu citato due volte nella stessa pagina da Pirandello nel saggio sull’Umorismo, ma senza alcuna indicazione della fonte. Poiché Pirandello non aveva dato indicazioni di sorta, E. Ghidetti,  editore dell’Umorismo nel 1994 per Giunti, scrisse una nota di questo tenore: “L’opera [di Masci] a cui si allude è Psicologia del comico, pubblicata a Napoli nel volume XXIII degli Atti della R. Accademia di Scienze morali e politiche (1888)” [ L. Pirandello, L’Umorismo e altri saggi, a cura di E. Ghidetti, Firenze, Giunti, 1994,  p. 63 nota 1].

 

In altro saggio, D. Marcheschi, (L. Pirandello, L’Umorismo, Milano, Mondadori, 2010, Introduzione) riconosceva l’importanza dell’autore come “precursore” dell’idea pirandelliana dell’umorismo. Dopo aver detto che “anche Pirandello fu, com’è noto, particolarmente colpito dal volume di Lipps Komic und Humor, stampato nel 1898” prosegue: “Quanto alla psicologia italiana, Filippo Masci fu tra gli studiosi più affermati e uno di coloro dai quali il Pirandello del saggio L’Umorismo dissentiva apertamente. Eppure il filosofo di Francavilla aveva formulato alcune idee che sarebbero potute esser utili all’agrigentino. [Egli fu ] autore di un articolo, estratto dagli Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli, vol. XXIII edito nel 1899”.

 

La citazione di E. Ghidetti è “quasi” perfetta, però l’anno di edizione è sbagliato, il saggio di Masci essendo stato pubblicato nel 1889.  L’altra osservazione di D. Marcheschi è molto intrigante e degna di particolare menzione, ma, anche nel suo caso, l’anno di pubblicazione della Psicologia del comico è sbagliato, rinviando il lettore al 1899. Sembra quasi che ci si mettano un po’  tutti a calare una cortina di fumo intorno a Filippo Masci, che pure fu studioso di larga fama prima all’Università di Padova e poi a Napoli. E’ dunque tempo di ripristinare un po’ le cose, sottolineando come il saggio di Masci fosse per vari versi molto vicino  a quello di Pirandello, se non altro per le fonti tedesche citate, specie quella relativa a Theodor Lipps, Komic und Humor,  (di cui Pirandello conosceva l’edizione del 1898), mentre invece Masci conosceva quella di dieci anni prima, del 1888, che, pensa un po’,  circolava ancora in dispense:  (Psychologie der Komic. Vedi Philosophische Monatshefte, chiosava il professor Masci, vol. XXIV, disp. 7 a 10, 1888, e disp. 4 a 6, 1889; manca ancora la conclusione, che tratta lo stesso mio tema, e discute e critica gli stessi due lavori da me criticati e discussi” (Psicologia del comico, p. 518, nota 1). Discutendo intorno al “sentimento del comico”, Masci ricordava come

 

“nella misura nella quale si produce un sentimento doloroso, il sentimento del comico è diminuito e distrutto […] Basta, per esempio, che nel mezzo della più viva eccitazione di comicità noi veniamo a sapere, che il subietto di essa è persona a noi cara, o noi stessi, perché il sentimento doloroso faccia morire il riso sulle nostre labbra” (Psicologia del comico, p. 567). Non è questo il famoso “sentimento del contrario”?

 

E a proposito dell’umorismo, Masci sottolineava come esso fosse una “forma superiore della comicità”:

 

“Abbiamo così due limiti dell’umorismo quello che è pura e schietta comicità, quello che ne conserva appena l’apparenza, ma in cui ogni riso è spento dal dolore e dalla penetrazione dell’antitesi tragica nella coscienza. Le forme più alte dell’umorismo sono tra questi due estremi […] perché il sentimento che lo investe è di natura misto, di piacere e di pena, sebbene non per alternativa, ma per fusione in una risultante omogenea. Il detto della Stael, che l’umore sia la tristesse dans la gaieté, e l’altro comune, che sia l’ésprit du coeur , sono applicabili a queste forme superiori dell’umorismo, la cui espressione non è il riso, ma il sorriso” (Psicologia del comico, p. 577).

 

Pirandello parlò molto della “follia”, sapendola accettare con occhio disincantato, e, in fondo, “benevolo”, ben intravvedendo che la follia è consustanziale agli esseri umani. Masci, a tal proposito, scriveva che per un certo tipo di scrittore umorista

“esiste una scioccheria universale, un mondo folle. L’umorista di questa specie è tollerante con le assurdità particolari, perché è convinto che l’assurdo è generale (Psicologia del comico, p. 578). In questo caso, “l’umorismo è riscaldato dal sentimento di solidarietà e di simpatia verso gli altri uomini. L’umore ha dunque […] carattere di generalità, di riflessione comica sul mondo”.

 

Nel suo trattato di psicologia per le scuole superiori, Masci era tornato sull’argomento con osservazioni ancor più chiare e pertinenti:

 

“L’umorismo è la forma superiore della comicità”:

 

L’umorismo è la forma superiore della comicità; con esso la comicità diventa abituale, e si estende ad una parte maggiore o minore della realtà, o anche a tutta. L’umorismo è ingenuo o consapevole, gaio o triste, e  va dalla forma che è schietta comicità a quella che. è una forma filosofica del dolore umano, che è riflessione comica sulla realtà in generale, e sull’irrimediabile inferiorità di questa rispetto alla sua idea. Perciò è  stato detto, l’esprit du coeur, la tristesse dans la gaieté. Segna dunque la  risoluzione della comicità, è un ritorno al serio. Esso è la sola forma solitaria della comicità, perché è una forma della riflessione sul valore delle cose, compresi gli altri uomini, e il sentimento di superiorità è costretto di fare a meno della loro partecipazione. In questo grado, l’umorismo è il senso generale della comicità (frase incriminata da Pirandello), è la rivelazione della superiorità dello spirito, che mantiene il valore del ragionevole e del buono contro le negazioni. È la confutazione estetica delle pretese dell’irragionevole, del cattivo e del piccolo. Se è alleato col sentimento della simpatia, se trova an-cora del buono nelle cose, ed ha fede nel progresso, l’umorismo è benevolo. Se invece la simpatia è spenta, e la condanna è assoluta, l’umore è l’espressione dello spirito che nega, l’irrisione tragica dell’esistenza (F. Masci, Elementi di filosofia per le scuole secondarie, p. 403).

 

Ora, viene da chiedersi perché Pirandello avesse snobbato Filippo Masci in maniera così davvero macroscopica, dichiarandosi addirittura in aperto contrasto con i suoi libri sul comico e sull’umorismo, ed infine estrapolando dal contesto dell’ampio discorso di Masci una mezza frase, asserendo con la massima nonchalance che l’autore non aveva detto praticamente altro. Qui i casi sono due: o Pirandello aveva letto Masci molto “velociter”; e il sospetto viene dal modo con cui, sbrigativamente, in due-tre righe, egli si sbarazza di lui (“L’umorismo è, come ha detto il Masci, ‘il senso generale della comicità’ e nient’altro”. E più sotto, opponendosi a Momigliano che “seguiva”, ahilui!,   il Masci: “Umorismo non è punto quel che crede il Momigliano, seguendo il Masci” (L. Pirandello, L’Umorismo, Lanciano, Carabba, 1908,  pp. 82-83);  oppure si potrebbe pensare più maliziosamente, e a pensar male a volte ci si azzecca, che, con una caduta di stile che talvolta puotesi riscontrare anche nei grandi uomini, il Pirandello fosse stato fastidito dal fatto che “il Masci”, com’egli lo definiva, s’era mostrato  “pirandelliano” prima ancora di lui stesso, “il”  Pirandello.

 

Volendo forse incassare la primogenitura italica dell’idea  dell’umorismo come “sentimento del contrario”, Pirandello si  limitò a citare “il Masci” en passant, e a presentarlo, fastidito,  quasi come un interprete da nulla del comico e dell’umorismo. Del resto il “peso” internazionale della sua persona,  e la fama dello scrittore siciliano  hanno sicuramente “pesato” parecchio nell’oscurare il lavoro tutt’altro che peregrino del professor Masci; e, per di più, “il Masci”, e specie il suo saggio  sulla Psicologia del comico, fu sottoposto, involontariamente, ad una sorta di damnatio memoriae,  per via d’una pura svista, lo riconosco, e reso pressoché “introvabile”, perché l’anno di edizione della sua Memoria fu citato erroneamente, cosicché il lettore che avesse avuto l’uzzo di andarsi a leggere “il Masci” negli Atti della Reale Accademia di Napoli sotto l’anno 1888 o 1899 non avrebbe trovato un bel niente di niente, essendo la suddetta Memoria pubblicata negli Atti dell’Anno Domini 1889, come invano s’affaticò a chiosare lo stesso Masci in nota alla sua edizione di Psicologia per le superiori (Elementi di filosofia per le scuole secondarie, di Filippo Masci, Vol. II, Psicologia, Napoli, Luigi Pierro Editore, Piazza Dante 76, 1904, p. 403 nota 1):

 

“Per maggiori sviluppi v. la mia Psicologia del comico, negli Atti della R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli, vol. XXIII, 1889”.

 

Ma il mondo, si sa, come diceva Pirandello, è una “enorme pupazzata”.

 

Infine, si dà qui la citazione esatta del saggio di Filippo Masci, Psicologia del comico. Memoria letta all’Accademia dal Socio Ordinario Filippo Masci, in: Società Reale di Napoli. Atti della Reale Accademia di Scienze Morali e Politiche. Volume Ventesimoterzo (con il logo “Ex Tenebris Lux”), Napoli, Tipografia della Regia Università., nel già Collegio del Salvatore, 1889, pp. 515-594.

 

Il saggio si conclude con queste parole:

 

“Contro i grandi dolori abbiamo a difesa il sentimento religioso, o quello del dovere compiuto, o la considerazione oggettiva e la rassegnazione tranquilla dinanzi al fato dell’esistenza. Ma della irrimediabile mediocrità e della mezza razionalità di questa ci consola soltanto il riso”.

 

Bene, allora ridiamo, professor Masci!

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.