Quel pirla di Montale

montale-e-moglie

 

Il pirla

 

Prima di chiudere gli occhi mi hai detto pirla,

una parola gergale non traducibile.

Da allora me lo porto addosso come un marchio

che resiste alla pomice. Ci sono anche

ne fossero informati tenterebbero altri

pirla nel mondo ma come riconoscerli?

I pirla non sanno di esserlo. Se pure

di scrollarsi con le unghie quello stemma.

 

Con una serie di versi liberi che superano l’endecasillabo (tranne gli ultimi due) Montale ci racconta che la moglie, prima di morire, gli aveva dato  del pirla. Una parola gergale (dice lui) “non traducibile”.

 

Provandoci a tradurla, pirla significa semplicemente uno che si fa facilmente pirlare, cioè rigirare o raggirare dagli altri. Ciò detto, Montale poi ci erudisce sul fatto che il “pirla”, lui,  se lo porta addosso come un marchio indelebile, che resiste persino alle sfregature della pietra pomice, che in genere sfrega via tutto.

 

Poi, quasi a consolazione, Montale tra sé e sé si dice che il mondo è pieno di pirla: ma come diavolo si fa a riconoscerli? Tra l’altro, oltre alle difficoltà di riconoscimento, i pirla stessi non sanno neppure d’essere pirla, e se, per vie traverse,  lo venissero a sapere, si strapperebbero via lo “stigma” (stimma) graffiando con le unghie.

J. Butcher dice in modo serio che “non è verosimile che la moglie gli abbia detto così al momento di morire, mentre è più probabile che glielo abbia ripetuto cento volte in vita, più o meno seriamente” (J. Butcher). Ma perché non dovrebbe essere verosimile? La moglie, dice Butcher , gli avrà dato del pirla un sacco di volte nella vita quotidiana, ma via, in punto di morte, non sembra verosimile! In realtà è più che verosimile, perché la moglie conosceva la scarsa adattabilità del marito alle faccende quotidiane, e gli diede del pirla “affettuosamente” in punto di morte come chi sa bene che il poveraccio se la sarebbe cavata molto male senza una guida negli affari di tutti i giorni.

 

Poi Montale si chiede come fare a riconoscere i pirla. Ma dai! Il pirla è quello a cui cade tutto di mano, che combina gaffes su gaffes, che dice qualcosa a sproposito nei momenti sbagliati, che magari crede un po’ troppo in quanto gli si racconta, perché pensa che tutti (o quasi) parlino, come lui, in buona fede. Quindi Montale ha torto: il pirla si riconosce.

 

Poi Montale dice: “I pirla non sanno di esserlo”. Sbagliato. I pirla di dividono in due categorie: i pirla che non sanno di essere pirla e i pirla che sanno di esserle pirla. Il  pirla della seconda specie  sa sempre di essere un pirla, ma magari non sa come fare per non essere più pirla.

 

Infine, dice ancora Montale,  se i pirla sapessero si essere pirla, si toglierebbero il marchio pirla con le unghie. In realtà,  i pirla di seconda specie sanno di essere pirla, ma sanno che se anche si graffiassero tutto il corpo  il marchio non verrebbe mai via. Il marchio, dice infatti Montale, è di tal fatta che resiste alla pietra pomice.

 

Alla fine di tutta questa storia la conclusione è che Montale era della stirpe dei pirla che sanno di essere pirla: un pirla a metà. E quando un pirla sa di essere un pirla, è sempre difficile farlo “pirlare” fino in fondo. Ergo, Montale era tra i pirla che si salvano, se non in tutto, almeno in qualcosa. Forse non è possibile definire questo “qualcosa”, ma, in “qualcosa”, sì, Montale non era un pirla.

 

Montale sarà stato anche un pirla, ma era anche e soprattutto un poeta, e, come diceva Baudelaire, il poeta è come l’albatros, che quando vola in alto nei cieli appare maestoso, ma quando scende a terra è ridicolo nel suo camminare, perché impedito dalle sue “ali di gigante”, sicché si fa schernire anche da una massa di imbecilli ed ubriachi. Ciò non toglie che un poeta è un poeta, che “può sembrare” un pirla “in toto”, ma che in effetti lo è soltanto “quando scende a terra”, a regolare i conti della lavandaia.

 

Fonti:

J. Butcher, “Le ultime poesie di Montale …” in Annali d’Italianistica, 2001, n. 19, p. 328

E. Montale, “Il pirla”, in Diario del ’71 e del ’72, in Opere complete, Milano, Mondadori, 1996.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.