Rossellini e la “pellicola rubata”

Magnani

Gli anni del secondo dopoguerra vedono in primo piano la Francia di Sartre e dell’Esistenzialismo, mentre negli Stati Uniti Marcuse soffia sul fuoco dell’uomo “a dimensione unica”: l’uomo a una dimensione, invitato dal filosofo ad essere “coraggioso”, ed a non accettare l’integrazione nella “cultura di massa”, per ritrovare, invece, la sua “seconda dimensione”, quella che gli si attaglia di più e meglio: la dimensione della “critica” al mondo contemporaneo.

L’Italia del dopoguerra si affaccia anch’essa, lentamente, alla “modernità”. Arrivano intanto dalla Francia gli echi della rivista “Les Temps Modernes” di Sartre, mentre in Italia Vittorini, attraverso il “Politecnico”, che iniziò le pubblicazioni nel 1945, eccitava gli intellettuali verso una cultura “combattiva”, che si sforzasse di spazzare via “praticamente” tutti gli ostacoli per una società diversa.

Mentre queste cose accadevano, un anno prima, nel 1944, Rossellini vagava per Roma, girando per le strade un documentario su Don Morosini (Aldo Fabrizi), vittima dei Nazisti. Rossellini aveva a disposizione pochi soldi, e qualche chilometro di pellicola, letteralmente rubata agli americani, e non sapeva ancora che quella “pellicola rubata” avrebbe costituito l’inizio del Neorealismo e avrebbe allo stesso tempo dato vita ad una pellicola tra le più famose nel mondo: “Roma città aperta”.

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.