Una sferzante ingiuria alla Cena di Trimalcione: cepa cirrata

Petronius Arbiter e la sua Cena Trimalchionis non finiscono mai di far discutere, fosse anche per minuzie filologiche; che poi tanto minuzie non sono, visto che, ad onta dello scorrere dei secoli, ci si torna  sopra spesso e volentieri. Una delle “minuzie” che il testo della Cena ci propone a intervalli più o meno lunghi di tempo è la celeberrima espressione di Ermerote che si rivolge con tono ingiurioso al cinedo Gitone, definendolo, nell’ambito del discorso, cepa cirrata.

Sulla cepa cirrata di Gitone le discussioni sono state infinite;  ma sostanzialmente si va da “cipolla-testa riccioluta” a “cipolla (cepa) germogliata”. Così, per esempio, per Marmorale, “Gitone, che ha sedici anni, ha la faccia liscia come lo sfoglio della cipolla, le cui radici sono ricciolute come i capelli del ragazzo” (1).  Le soluzioni  proposte sono state variamente registrate, ma  con scarsa voglia di crederci fino in fondo. Tra gli emendamenti più incisivi, emerge  quello della professoressa Maria Salanitro,  che interpreta l’espressione cepa cirrata come “cipolla germogliata”, e, per metafora,  testa vuota, o zucca vuota:

“Uno degli attributi fisici più vistosi del formosus Gitone, scrive Maria Salanitro, doveva essere la fiorente e vistosa chioma. Su di essa perciò si appunta l’ironico disprezzo di Ermerote, fin dall’inizio della sua violenta sfuriata: ‘Anche tu ridi, cipolla germogliata?’ […] Alla valenza primaria dell’insulto, la svalutazione della chioma, mi pare se ne aggiunga un’altra meno esplicita, ma non meno efficace: la testa di Gitone è vuota, come vuoti diventano i bulbi delle cipolle quando emettono i germogli” (2).

L’insulto che ne vien fuori è sì un “insulto”, ma  non sembra però in sintonia con lo spirito mordace  del Satyricon di Petronius Arbiter, per cui ci si aspetterebbe qualcosa di più “forte” che non una semplice “cipolla germogliata”, sia pur sfociante, secondo la professoressa Salanitro, in un’ “implicita” e metaforica “zucca vuota ricciuta”; che, detto tra di noi,   pare più un buffetto che un’ingiuria veemente come ci si aspetterebbe dall’irruenza rabbiosa del “colliberto” Ermerote del Satyricon petroniano, che s’era infuriato come un ossesso nel sentir ridere  sguaiatamente del padrone di casa uno sbarbatello, Gitone,   che egli, per di più,  riteneva essere uno schiavo.

In precedenza, la professoressa Salanitro aveva rigettato l’interpretazione del testo datane da Marco Grondona, il quale aveva messo in correlazione cepa cirrata con ciò che Ermerote  asserì riguardo la condizione schiavile di Gitone. Infatti Grondona emendò cirrata con pilleata:

Caepa pilleata, cipolla col pileo. Il pilleus era per lo schiavo che lo metteva il simbolo della libertà ormai imminente, ed era legato alla cerimonia dell’affrancamento” (3). Grondona spiega che il pilleus era una sorta di berretto che “adornava la testa curva del servo al momento dell’affrancamento”.

Le ragioni del rifiuto di Maria Salanitro consistono essenzialmente nel fatto che Grondona avrebbe messo “arbitrariamente” in correlazione quanto aveva detto Ermerote riguardo alla condizione di schiavitù di Gitone, tanto più, chiosava la Salanitro, che Gitone aveva accettato libentissime (4), ossia molto volentieri, d’accordo con i compagni, di apparire agli occhi di tutti come il loro schiavo. C’è però il fatto evidente che il riferimento di Ermerote alla condizione schiavile di Gitone non si spiega se a monte non fosse stato evidente per tutti che Gitone appariva “effettivamente” uno schiavo. Non importa se Gitone avesse accettato di interpretare la parte dello schiavo libentissime: di fatto, egli era agli occhi di tutti uno schiavo. La notazione è importante per la “resa” dell’insulto di Ermerote. E non c’è neppure bisogno di emendare il testo tràdito, sostituendo cirrata con pilleata. E’ sufficiente riflettere su cepa.

Partiamo allora da cepa, tradotto generalmente con cipolla,  che metaforicamente rinvia alla testa. Nel contesto in cui viene pronunciata l’offesa a Gitone, credo sia lecito (come è del resto stato fatto) prendere in considerazione non soltanto le due parole in questione (cepa cirrata), ma anche ciò che Ermerote aggiunge  in seguito:

“Etiam tu rides, cepa cirrata? Io Saturnalia,  rogo, mensis december est?”

“Pure tu ti metti a ridere, cepa cirrata? Non mi risulta che siamo a Carnevale (Saturnalia Decembris),  quando a gente come te è permesso prendersi delle libertà”.

Ora, offese quali “cipolla germogliata”,  “zucca vuota” e  “testa-cipolla riccioluta”, tipica dei “cinaedi cirrati” (cinedi riccioluti) mi paiono poco “offensive”: dicono  che Gitone era un cinedo, il quale (come tutti) s’arricciava la chioma probabilmente con il  calamistro (strumento di ferro per arricciare i capelli), “Cinaede calamistrate”, diceva Plauto (Asinaria) (5).  Ora, dare della “cipolla-testa vuota riccioluta” a un cinedo che, quasi per definizione, è “riccioluto” (cirrato) e, spessissimo,  “calamistrato” , mi pare sì un insulto, ma tutto sommato piuttosto blando, tenuto nel debito conto che Ermerote si mostra molto irato nei confronti di Gitone.

Sbarazziamoci allora, almeno per un momento, delle cipolle ,  ricciolute, germogliate e  col pileo: l’insulto di Ermerote sale radicalmente di tono se consideriamo che il termine cepa non rinvia soltanto alla famigerata cipolla, ma anche a “ceffo”, e a “muso di cane” (“Vocabolario degli Accademici della Crusca”, ad vocem) (6). Inoltre, ricordiamo ancora una volta che Ermerote “credeva”, con certezza assoluta, che Gitone fosse uno schiavo. Riguardo a cepa, Giuseppe Montanari  scriveva:

Ceps è voce Italica primitiva, da cui provengono cippus, cespescaepisse (perché capo significa anche principio) e caepa o caepe (cipolla) quia nil est, disse Isidoro XVII 10,  nisi tantum caput [Che altro non è se non la testa]. I Romani nella lingua scritta l’abbandonarono,  come abbandonarono testa, ch’ ebbero senza dubbio avendo l’avverbio testatim. Usarono invece Kaput [sic],  voce che Festo deriva dal Greco […] Il  vocabolo testa si è conservato nel nostro volgare e nel Francese tête  (anticamente teste), non però ceps,  di cui trovasi indizio in ceffo, che nel dialetto Romano equivale a testa ma che può venire dal Greco Xephàlo” (7).

Ermerote potrebbe aver dunque qualificato Gitone come un  ceffo, ossia come un “muso di cane”; anche perché,  per quanto ne sapeva, Gitone era uno schiavo; Infatti, Ermerote, dopo aver definito Gitone cepa cirrata,  asserisce subito dopo che non è ancora Carnevale, quando a tipi del suo genere era permessa qualche licenza o libertà:

« Etiam tu rides, cepa cirrata? Io Saturnalia,  rogo, mensis december est?”

Traducendo:

“Anche tu ridi,  brutto  ceffo, muso di cane riccioluto (cirrato) d’uno schiavo che non sei altro? Non mi pare che siamo a Carnevale, quando ai tipi come te è permesso di prendersi delle libertà”.

“Ceffo”, “muso di cane” e “schiavo” vanno a colpire nel profondo la figura di Gitone, che non soltanto è un tipo postribolare, ma per di più “schiavo”. Questo mi sembra un insulto decisamente  “insultante”, e tale da inquadrarsi come si deve dentro la cornice del Satyricon.

Ora, come abbiamo visto,  la Salanitro rifiutava la correlazione di Grondona con la condizione schiavile di Gitone,  perché era  una “finzione”, in quanto Gitone aveva acconsentito, d’accordo con i compagni, a “recitare” la parte dello schiavo; cosa che egli avrebbe appunto accettato “libentissime”: “Libentissime servilem officium tuentem” (26, 10) [molto volentieri di passare per servo].  Ciò però non toglie, come più volte sottolineato,  che, agli occhi di tutti,  nonché a quelli di Ermerote, egli è uno schiavo a tutti gli effetti;  “e per questo, chiosava Grondona , “il suo accusatore si meraviglia della sua franchezza, che gli suona, fuori dei Saturnali, licenziosa” (8).

Consideriamo ora anche il fatto, non secondario per l’interpretazione dell’ “insulto”,   che cepa è correlata con cippus-ceppo (“Ceps è voce Italica primitiva, da cui provengono cippus, cespes”), nel senso di origine familiare, stirpe (9), e, per estensione decisamente “offensiva”,  razza. Ne uscirebbe:

“Come ti permetti di ridere sgangheratamente, tu, stirpe ( progenie)  di schiavi (razza di schiavo) dalla testa ricciuta (e vuota)? Non mi pare che siamo a  Carnevale”.

In tutti i modi lo si voglia prendere, il riferimento alla condizione schiavile di Gitone è molto esplicativo perché rende l’insulto  di Ermerote  più spietato e graffiante, in quanto  Gitone è marcato non soltanto come un cinedo “riccioluto” e un po’ scemo (testa vuota), ma anche come un’impertinente progenie d’una stirpe o (razza) di schiavi che aveva osato tenere comportamenti inaccettabili, o accettabili  “soltanto” ed esclusivamente a Carnevale:

“Come ti permetti, razza di schiavo, brutto ceffo (muso di cane) riccioluto senza cervello? Non mi consta che siamo a Carnevale!”.

L’insulto (“questo” insulto) è assolutamente impietoso e colpisce nel profondo: una sferzante ingiuria, del tutto degna dello stile corrosivo di Petronius Arbiter,  che ci racconta d’una Cena estremamente movimentata nella Casa di Trimalcione.

 

Note

1)      Enzo V. Marmorale, Petroni Arbitri Cena Trimalchionis, testo critico e commento, Firenze, La Nuova Italia,  1961, p. 107.

2)      Maria Salanitro, “Cepa Cirrata. Ovvero un insulto in Petronio (58, 2)”, in Cultura e Scuola, aprile-giugno 1988, pp. 42-43.

3)      Marco Grondona. “Il modello dei Saturnali nella ‘Cena di Trimalcione’ (ed il testo di 58,2)”, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici, Giardini, 1978, p. 210.

4)      Maria Salanitro, Cepa Cirrata, cit., p. 41, nota 7: “Gitone ha assunto il ruolo dello schiavo libentissime”.

5)      Asinaria, in M. Accii Plauti Comoediae ex recensione Jo. Antonii Vulpii, Venetiis, Apud Thomam Bettinelli, 1787, Act. III, p. 157.

6)      “Vocabolario degli Accademici della Crusca”, ad vocem: “ Ceffo. Dicesi propriamente il muso del cane”, Firenze 1886, Vol. II,  p. 734.

7)      Giuseppe Montanari, “Discorso storico-filologico-legale sulle ‘Res Mancipi’ e ‘Nec Mancipi’”, in Archivio Giuridico, Diretto da Filippo Serafini, Bologna, Tipi Fava & Garagnani, 1872, Vol. X, p. 353 nota 6.

8)      Marco Grondona, Il modello dei Saturnali …, cit.,  p. 209.

9)      “Ceppo, origine di famiglia”, Vocabolario degli Accademici della Crusca, In Venezia, Appresso Lorenzo Basegio, 1729, A-N,   p. 238.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.