Silone, Tranquilli e il Commendator Bellone

Nella Vita scritta da esso, prefata a The School for Dictators (1),  pubblicata nel 1939, Silone,  spesso in crisi esistenziale per via d’una fanciullezza e d’una gioventù stracolme di lutti e travagli, scrisse una frase interessante, da meditare alla luce degli avvenimenti successivi,  che lo coinvolsero in una faccenda di spie e contro-spie che ancor oggi suscita interesse, studi, e polemiche infinite:

“I have forced to leave Italy, to which, however, I returned in 1925. I remained there until 1928, engaged in illegal work against the Fascist régime as a militant Communist” [Fui costretto a lasciare l’Italia, dove, tuttavia,  tornai  nel 1925. Qui rimasi fino al 1928, impegnato, come  militante comunista,  in un’attività illegale contro il regime fascista].

Ordunque, intorno ai vent’anni,  anni Silone si trovò “engaged in illegal work against the Fascist régime as a militant Communist”. Cosa mai ci potesse essere dietro siffatto “illegal work” è conclamato: ci fu, in quegli anni, una (assai) discussa attività di Silone come “infiltrato” del partito comunista dentro le maglie degli apparati della polizia politica fascista, fornendo però, a quanto si è potuto appurare, informazioni del tutto inessenziali.

Sta comunque di fatto che codesta sua attività segreta al servizio della polizia  politica diede la stura al ben lungi dall’essere risolto “caso” Silone, dove, per taluni (Biocca),  Secondino Tranquilli il giovane fu un “convinto informatore” della polizia fascista (2); mentre per altri si trattò d’un fatto probabilmente legato ai tentativi, poi non riusciti, di aiutare  il fratello finito in carcere nel 1928, e poi deferito al Tribunale speciale per aver (si diceva) partecipato all’attentato alla Fiera Campionaria di Milano.  Secondo la documentatissima e puntigliosa ricostruzione di Alberto Vacca, Silone fu sì un “informatore”, ma egli agì come  “infiltrato” negli apparati polizieschi fascisti per espresso incarico del partito comunista, con lo scopo di fornire informazioni (sostanzialmente inessenziali) alla polizia politica fascista.

E’ anche un fatto che il  “caso” Silone ha scatenato un putiferio di polemiche, essendosi l’opinione pubblica divisa quasi subito tra colpevolisti e innocentisti. I dati della colpevolezza, secondo  D. Biocca e M. Canali starebbero in alcune “relazioni fiduciarie” (3),  sicuramente di Silone,  rinvenute nell’ Archivio Centrale dello  Stato, nonché in una lettera al funzionario di polizia Guido Bellone,  con cui  era in contatto e a cui forniva direttamente le informazioni. La lettera costituirebbe dunque la prova provata della collaborazione di Silone con la polizia politica fascista.

Quanto al primo corno del problema, ossia le “relazioni fiduciarie” relative all’inizio degli anni ’20 fino al 1927,  date per sicuramente vergate da Silone, Vacca  ha  illustrato con acribia documentaria che tali “relazioni” furono invece scritte da Alfredo Quaglino,  e, pare, attribuite erroneamente da Canali e Biocca allo stresso Silone. Quanto alla questione  che farebbe di Silone una spia del regime, la prova del nove sarebbe costituita dalla leggendaria lettera a Guido Bellone, che sembra assolutamente autentica, ma che non inficia per nulla la conclusione di Vacca, supportata da una documentazione ad hoc,  secondo cui Silone, come dicevamo,  era un “infiltrato” con tanto di mandato del partito comunista a “infiltrarsi” appunto per fornire informazioni inessenziali alla polizia politica fascista.

Alberto Vacca, nelle Conclusioni, mette al primo posto proprio codesto dato di fatto:

“Le relazioni fiduciarie relative al periodo 1923-1927, attribuite a Silone da Canali e Biocca, furono redatte da Alfredo Quaglino […] Per il periodo antecedente al 1928 esistono nell’ ACS solo due relazioni attribuibili a Silone, che rivelano un chiaro intento simulatorio” (4). Siffatto “intento simulatorio” rispondeva a precise direttive  del partito comunista, emanate già a partire dal 1922,  che aveva deciso di “infiltrare” dei propri uomini dentro gli apparati statali fascisti per sviarli con informazioni del tutto inessenziali:

“L’adozione della tecnica dell’infiltrazione negli organismi politici avversari e negli apparati dello Stato fu adottata  dal PCD’I fin dal suo II Congresso […] come risulta [dalle] relazioni congressuali del giorno 24 marzo 1922 (…) [per cui] Silone si finse informatore della polizia nell’interesse del suo partito”  (5).

Ergo, tutte le relazioni fiduciarie relative agli anni 1923-1927 sarebbero di mano del Quaglino e le due rimanenti simulatorie,  rafforzando la tesi del Silone infiltrato.

Andiamo  ora sulla lettera del 13 aprile 1930, universalmente riconosciuta come autentica nella baraonda assoluta delle altre supposte “prove” della altrettanto supposta “spia” Ignazio Silone, prove che sono state passate letteralmente al setaccio, anche interpellando autorevoli pareri di esperti calligrafici.

La lettera dimostra due cose: la prima che Silone era sicuramente in contatto con Guido Bellone (e quindi con gli apparati polizieschi fascisti almeno dal 1923);  la seconda che s’era letteralmente stufato di quell’ “illegal work” portato avanti per un “lungo periodo”. Quale valore dare dunque a quella lettera scritta al Bellone, in cui Silone mostrava di voler mollare proprio tutti? Essa è la prova di una sostanziale stanchezza per la politica tout court, e per tutti i suoi corollari: i partiti,  di destra come di sinistra. Insomma, Silone   esclamò: “Ferma il treno, voglio scendere!”. E’ indiscutibile che contatti vi furono, ma il “doppiogiochismo” in cui Silone s’era ingolfato gli era ormai venuto a noia. Cosicché nella lettera a Guido Bellone egli annunciava di voler mollare tutto, e di sentirsi ormai orientato verso la religione e la Chiesa, e di voler svolgere un’ attività intellettuale autonoma, lontano comunque dalle beghe della politica politicata.

E così come mollò il Bellone e i fascisti,  poi mollò anche i comunisti,  con gran disdoro di molti,  i quali non condivisero  il suo comportamento. Altrettanti si sono chiesti perché Silone si fosse andato a ingolfare in una simile situazione. Tamburrano propende per l’ipotesi che Silone avesse fatto di tutto e di più  per aiutare il fratello Romolo, deferito al Tribunale speciale per via di certi documenti compromettenti trovatigli addosso  (6), mettendo in dubbio, come vedremo, che la collaborazione con Bellone fosse iniziata già dal 1919; Vacca a sua volta ritiene l’ipotesi valida,  aggiungendo anche la questione della sua infiltrazione studiata a tavolino coi dirigenti comunisti.

A tutte queste ipotesi, ne aggiungerei una terza. Intanto Silone quando s’impelagò in quell’avventura era poco più d’un ragazzo, che dietro le spalle aveva un’esperienza di vita a dir poco traumatica, con  la perdita pressoché totale della famiglia:

“When I was three months the old Pescina was partly destroyed by a flood.   When I was fifteen it was entirely destroyed by an earthquake …My father was a small landowner, my mother a weaver. I had six brothers, all of whom are dead. They all succumbed to illness or other misfortunes. The last was killed in prison by the Fascists”

[ Avevo appena tre mesi quando Pescina vecchia fu parzialmente distrutta da un’inondazione. E avevo  quindici anni quando il paese fu completamente distrutto da un terremoto […] Mio padre era un piccolo proprietario terriero, mia madre una tessitrice. Ho avuto sei fratelli: tutti  morti. Tutti portati via da malattie o altre disgrazie. L’ultimo fu ucciso in carcere dai fascisti] (The School for Dictators) (7).

Tutto ciò aveva sviluppato in Secondino Tranquilli il giovane una sorta d’ indifferenza e di cinismo (“ ero un cinico, però non egoista e nemmeno un altruista. Non mi importava nulla né degli altri né di me stesso, della mia salute, del mio avvenire, dei miei studi. Non avevo progetti, ambizioni. Vivevo giorno per giorno”[Biocca, p. 50]): non gl’importava nulla di nulla, né tantomeno di se stesso, per cui sfidava la sorte  giocando col fuoco. Tale indifferenza verso la propria incolumità personale emerge come “spia” (questa sì che è una “spia” da tenere in considerazione) proprio nella School for Dictators, quando asseriva che, in fondo, aveva rinunciato a molte cose (tra cui agli studi universitari), e non si dava da fare più di tanto nella vita perché

“ The doctors gave […] me a very few years to live” [ I dottori m’avevano  diagnosticato ben pochi anni da vivere] (The School for Dictators) (8).

Un giovanissimo in quelle condizioni psicologiche,  che crede d’aver poco da campare, sfida tutto: sfida in primis se stesso, mettendosi a totale repentaglio.  Non mi pare perciò convincente l’ipotesi secondo cui  Secondino Tranquilli il giovane, con  “quelle” idee per la testa,  si fosse messo a far l’informatore della polizia fascista per “convinzione” politica, quando tutta la vita “pratica” di Silone dimostra sia la sua non assimilabilità  senza riserve a una qualsivoglia ideologia, di destra come di sinistra  (Silone “aveva scelto di non accettare di aderire a nessun partito, a nessuna chiesa, a nessuna istituzione”) (9); sia, per converso,  la sua piena adesione giovanile alla sinistra, anche  a quella più radicale:

 

“I became editor of the weekly Avanguardia, which represented the extreme Left of anti-war Movement” [Diventai direttore del settimanale l’ Avanguardia,  all’estrema sinistra del movimento contro la guerra] (The School for Dictators) (10).

 

L’ipotesi di un’attività d’informatore “convinto” in un giovanissimo che crede d’aver poco da vivere, e che guarda con occhio disincantato a tutto, è  da scartare anche per via di senso comune. L’attività politica gli funzionava probabilmente come diversivo dai suoi propri problemi personali, dandogli “very little free time” per pensare e per non andare in crisi, cosa che gli accadeva molto spesso. Insomma, dobbiamo porci nell’ottica secondo cui Secondino Tranquilli il giovane era molto diverso dal Silone uomo maturo che, intorno ai trent’anni, esattamente nel 1930,  aveva deciso di “scendere dal treno”, e di prendere una nuova strada, quella dello scrittore a tempo pieno, come faceva intendere nella lettera al Bellone:

 

“Mi trovo nel punto risolutivo della mia crisi di esistenza, la quale non ammette che una sola via d’uscita: abbandono completo della politica militante […]  Mi sento riattratto, molto, verso la religione (se non verso la Chiesa) e che l’evoluzione del mio pensiero è facilitata dall’orientamento cretino e criminale che sta assumendo il partito comunista […]  (mi cercherò un’occupazione intellettuale qualsiasi) […] nella forma di un’attività letteraria e editoriale del tutto indipendente […]  Io esito ancora ad annunciare pubblicamente la mia rottura col partito ed attendo, prossimamente, il momento propizio” (11).

 

Nella School for Dictators egli disse, più o meno,  le stesse cose scritte al Bellone: ho mollato tutto, e specialmente la politica, e anche il partito comunista, e poi ho cominciato a scrivere:

 

“I left the Communist Party in 1930 and since then I have been living in Switzerland, where I wrote Fontamara, Fascismus, Bread and Wine, and The School for Dictators” [ Abbandonai il partito comunista nel 1930,  e da allora vissi in Svizzera, dove ho scritto Fontamara, Fascismus, Bread and Wine, and The School for Dictators] (The School for Dictators) (12) .

 

Siccome Silone   non era affatto un comunista con la C maiuscola, né tantomeno uno che fosse, almeno negli anni giovanili,  ideologicamente “convinto” d’un qualche cosa  su questa terra, né un “politico” visceralmente abbarbicato al potere: “Politics are concerned with the acquisition of power, and with nothing else” [“Scopo della politica è  il potere, e basta”] (13),  a un certo punto sbaraccò via tutto dal suo tavolo, buttando per aria in primis Secondino Tranquilli il giovane, poi  la politica, e infine  la  baracca con tutti i suoi innumerevoli burattini, in nome di una nuova, e assolutamente indipendente, prospettiva di vita.

Secondino Tranquilli il giovane era molto diverso da Ignazio Silone trentenne e uomo maturo, che sapeva parlare con schiettezza, e alla fine assumere posizioni nette e senza equivoci. “My conscience forbids me to be silent”: la mia coscienza m’impedisce di tacere”, diceva il prof. Pickup nella School for Dictators  (14).

“Generoso e instancabile sempre, scriveva G. Spadolini, Silone ha continuato fino all’ultimo la sua battaglia […] tanto più meritoria perché molte delle stesse forze socialiste preferivano ignorarlo, e quelle comuniste continuavano a detestarlo, condannandolo all’isolamento. Mai,  però, riuscendo a ridurlo al silenzio” (15).

 

Di fatto, Silone il trentenne e uomo maturo non ebbe “l’elogio di quelli che hanno taciuto” . Egli stesso sparse a larghe mani l’idea che in gioventù aveva commesso molti errori, di cui più tardi si pentì. Silone  non era neppure un comunista di “stretta osservanza”, come Pajetta, per esempio, il quale, citando proprio la di lui defezione dal partito comunista, in una conferenza stampa del 1961,  disse:

 

“ Vi sono stati comunisti che avevano posti di responsabilità nel PCI e nell’Internazionale, i quali hanno denunciato certe situazioni in modo aperto, clamoroso. Per esempio, Silone. Io  sono lieto di non essere stato dalla loro parte. Sono lieto  di aver letto in un discorso di Gomulka […] l’elogio di quelli che hanno taciuto, per non mettersi contro la Rivoluzione” [Corsivi miei] (16).

Il background

 

Il retroterra dell’uomo Silone che tutti noi siamo stati abituati a conoscere fu sconvolto, dopo la sua morte nel 1978, da una serie infinita e tuttora non conclusa di  studi, di contro-studi, di polemiche, e di analisi (anche psicanalitiche). Ciò premesso, veniamo ora alle questioni più intriganti. C’è il fatto che  le date su cui Vacca et alii  hanno lavorato sono piuttosto “basse”, mentre invece Biocca  assegna la frequentazione di Silone con Guido Bellone al 1919, anche se poi lo stesso Biocca puntualizza che “le prime informative attribuibili con certezza al giovane abruzzese risalgono ai primi mesi del 1923” .

Con tutto ciò, Biocca attesta:

“Dal 1919, senza interruzioni, Silone aveva  infatti fornito all’ispettore Bellone notizie puntuali e dettagliate sul Partito Comunista […] Sia le caratteristiche dei documenti pervenuti a Bellone nel 1919 – espressioni dialettali, errori sintattici – sia il contenuto delle carte e il ruolo politico svolto allora da Secondino Tranquilli nell’Usr, inducono a ritenere che il giovane abruzzese fosse l’autore delle informative sull’Internazionale comunista” (17).

Se ciò fosse vero, potremmo  dire che il lavoro di Alfredo Vacca per dimostrare la tesi dell’ “infiltrazione” voluta dal partito comunista perde un po’ di mordente, perché Secondino Tranquilli il giovane si sarebbe “infiltrato” da solo e da assoluto “indipendente”, ossia ben prima della fondazione del partito comunista italiano, risalente al 1921.

Biocca dunque, sulla base di alcuni indizi e di riscontri spazio-temporali, ne deduce  non solo che  i due si conoscevano fin dal 1919, ma anche che Secondino Tranquilli, tra il 1919 e il 1922-’23 avesse inviato a Bellone alcune relazioni fiduciarie firmate “Silvestri”  da varie parti d’Europa, dalla Germania come dal Belgio, dalla Spagna come dalla Francia. Si tratta, come si vede, d’inferenze, che, proprio perché tali,  non essendo suffragate da pezze d’appoggio documentarie,  possono essere inficiate dal seme del dubbio: cosa che è stata fatta, puntualmente. Infatti, Tamburrano parla di una “costruzione letterariamente efficace” e di “romanzo” di Biocca, ma non rispondente al vero (18), perché Silone in quegli anni era a Roma, e non in giro per il mondo a spedir “relazioni fiduciarie” alla questura di Roma:

“Biocca aggiunge quattro anni al servizio di Silone facendolo diventare spia dal  1919: dal 1919 alla fine del 1922 Silone è in Italia, prevalentemente a Roma, e la coincidenza tempo-luoghi non è ammissibile ”, essendo anche certe informazioni “generiche, senza importanza, scritte da mani diverse, sconosciute, scritte da questurini, e in genere da persone disinformate su uomini e cose che Silone conosceva perfettamente” (19).

Nonostante la ricusazione  delle deduzioni di Biocca, rimane pur sempre il fatto che i rapporti di Silone col Bellone erano di lunga data. Infatti,  nell’unica lettera “autentica” in nostro possesso, quella del 13 aprile del 1930,  Silone stesso parla di un “lungo periodo” di rapporti:

“Questa mia lettera a lei è un’attestazione di stima. Ho  voluto chiudere, definitivamente, un lungo periodo di rapporti leali”.

In siffatto caso, un lungo periodo non implica “pochi”, ma “molti” anni: potrebbero essere dieci? Ci potrebbe anche stare. Questo per dire che, allo stato delle attuali conoscenze documentarie, ci sono circostanze in cui è impossibile sfondare la soglia del dubbio, e che zone d’ombra sui comportamenti di Secondino Tranquilli il giovane permangono egualmente nonostante gli ottimi uffici dei difensori.

A riprova del lungo “sodalizio” tra Silone e Bellone ci sarebbe poi una lettera del luglio del ’29 allo stesso Bellone. Biocca riporta infatti una lettera che egli ritiene “sicuramente” spedita a Bellone:

“ ‘Mi è fisicamente impossibile’, scrisse a Bellone nel 1929, ‘restare con lei negli stessi rapporti di dieci anni fa’” (20).

Quell’inciso di Biocca: “scrisse a Bellone nel 1929” (e la frase “dieci anni fa”) sembrerebbe mettere  tutto a posto. Invece  non  mette a posto un bel niente di niente,  perché la lettera, che secondo Biocca era per il   Bellone,  era “de visu”  indirizzata a una certa “Signorina”, anzi ad una  “Egregia signorina” a firma “Silvestri”, per cui anche l’accenno ai famosi “dieci anni” cade da sé.

Infatti, Tamburrano, sottoponendo la lettera alla lente d’ingrandimento,  mette in serio dubbio che il sunnominato “Silvestri” sia effettivamente Silone; così come, dietro alla  “Signorina”, si celi l’onnipresente Bellone:

“Biocca attribuisce a Silone (Silvestri) una lettera che va trascritta integralmente e analizzata: Egregia Signorina […] ‘signorina’ (Bellone?) vi erano stati dei rapporti dieci anni prima, cioè nel 1919. Che tipo di rapporti? […] La sola cosa chiara è che Silvestri respinge in modo netto l’offerta di denaro che la ‘signorina’ gli ha fatto (‘mi lascia indifferente e umiliato’): su questa frase non ci possono essere dubbi” (21).

Come si vede, Tamburrano mette in crisi assoluta l’ assoluta certezza di Biocca secondo cui Silone avesse scritto quella lettera proprio a Bellone.  Quel “Silvestri” era davvero Silone? E quella “Signorina” era davvero Il sunnominato Guido Bellone?

“E se si tratta di Bellone e di Silone,  continua Tamburrano, il primo offre denaro sapendo quanto di soldi ha bisogno Silone per il fratello. Ecco in controluce  il ricatto” (22).

Qui entriamo in uno dei punti più nevralgici, scottanti e forse anche più irriverenti di tutta questa storia intricatissima, come l’ipotesi secondo cui  Secondino Tranquilli il giovane potesse aver fornito determinate informazioni “anche” per soldi. La cosa  è stata ventilata “in negativo” dallo stesso Silone-Silvestri (la cosa lo lasciava “indifferente” e “umiliato”) nella lettera all’ Egregia Signorina, e  poi è stata surrogata da Biocca anche per “altre occasioni”,  allorché ricordava, per esempio,  “l’accusa che Silone abbia ‘preso soldi da Allen Dulles’” (23). Una difesa a oltranza su questo punto assai controverso va più a nocumento che a favore di Silone, perché la faccenda  scopre il fianco, come vedremo subito, a più interpretazioni, alcune delle quali tutt’altro che favorevoli allo scrittore abruzzese.

Il fratello Romolo,  a quanto è dato sapere, era sempre lì pronto a chiedere insistentemente “sussidi” finanziari.

Tamburrano scrive che Silone

“cercò di aiutarlo in tutti i modi inviandogli sussidi […]  Ma Romolo chiede soprattutto soldi, e non è mai soddisfatto di quanto il fratello gli spedisce. Chiede sempre di più”  (24).

Tamburrano, nell’analisi di questa lettera all’Egregia Signorina, sembra vincere e convincere, perché  dà assolutamente per “certo” il fatto che Silone, alias Silvestri,  non volesse soldi:

“La sola cosa chiara è che Silvestri respinge in modo netto l’offerta di denaro che la ‘signorina’ gli ha fatto”, sottolinea Tamburrano.

Ma è proprio su questo punto che le cose non sono per nulla chiare e perciò non filano via lisce.  Nella lettera alla “Signorina”, “Silvestri”, in effetti, dice:

“La prima cosa da eliminare, perché mi lascia indifferente o umiliato, è il denaro”.

Ma poi, subito dopo, aggiunge, riferendosi, senza ombra di dubbio,  al “denaro”:

“Ma di ciò parleremo a voce con maggiore comodità” [Corsivo mio].

Quel “ciò” è riferito sintatticamente a “denaro”: “Vedremo, dice Silone,  ne riparleremo a quattr’occhi”. Il che potrebbe far maliziosamente pensare che il mio virgolettato “ciò” fosse questione troppo delicata da trattare per iscritto, e che pertanto fosse necessario discuterne in separata sede. Verba volant et scripta manent sembra voler dire il Silvestri, che pare non fidarsi davvero di trattare argomenti consimili per lettera. Naturalmente questa è soltanto un’ “inferenza” che può essere smentita in forza  di  più probante interpretazione e  documentazione. Nel frattempo, però,  dobbiamo restar fermi al quia, e cioè al fatto che, se anche nella storia di Secondino Tranquilli il giovane le nubi più nere e minacciose sono state per vari versi fugate, certe zone sfumanti verso il grigio continuano a permanere.

Tuttavia,  le polemiche asperrime intorno al Silone “spia” della Polizia politica fascista andrebbero a mio avviso riviste o comunque attenuate, poiché Silone, in realtà, fu soltanto un informatore “ad personam”  del Belloni, il quale, restando al suo posto, da “fedele” e scrupoloso servitore dello Stato liberale, diventò “in automatico” anche un funzionario altrettanto fedele e scrupoloso  dello Stato fascista, quando il fascismo andò al potere nel 1922,  trascinandosi dietro, quasi per fisica forza “inerziale”, e con altrettanto automatismo,  anche Secondino Tranquilli il giovane.  Il quale però, sia a strettissimo rigore di logica, sia a strettissimo rigore documentale, non risulta essere stato un informatore “rubricato” nella polizia politica fascista, ma restò, anche nel periodo fascista,  quel che era stato “sempre” sin dagli inizi:  l’informatore privilegiato  del funzionario di polizia Commendator Guido Belloni. A questo punto  potremmo asserire che Tranquilli, più che una “spia di regime”, sembra essere  il “personal assistant” del Commendator Bellone.  Anche quando nel ’28 arrivò sul tavolo di Mussolini un’ informativa dell’allora capo della polizia Bocchini su Secondino Tranquilli, essa era sempre mediata dalla figura di Bellone:

In via assolutamente riservata informo poi L’E.V. che l’ispettore generale di P. S. Comm. Guido Bellone ha ricevuto da Basilea da Tranquillo Secondini, uno dei capi comunisti, un telegramma che gli preannuncia la sua venuta in Italia. Il colloquio che seguirà potrebbe essere interessante. Terrò informata la E.V.” (Biocca-Canali, pp. 24-25 nota).

A parte codesta informativa, cui non seguì nulla perché l’atteso viaggio in Italia fu annullato,  non si hanno ulteriori elementi probanti del fatto che Silone fosse stato “iscritto” alla polizia politica. Di fatto su questo punto nacquero dissensi profondi, perché da un lato (Biocca-Canali) si disse che Silone era stato trasferito in “rubrica” alla polizia politica con il n. 73 e col nome “Silvestri”; mentre dall’altro (Tamburrano) si affermò che la Sovrintendente “all’Archivio centrale dello Stato, che già si era pronunciata, mette nero su bianco e smentisce quanto scritto da Biocca a p. 131 nel libro a quattro mani con Mauro Canali (‘Il nominativo e lo pseudonimo del fiduciario [Silone, N.d.A.] erano stati inseriti [nel 1927, come Biocca precisa a p. 24 del detto libro] nella rubrica speciale dei collaboratori di P.S. redatta e custodita dal capo della polizia’). La professoressa Carucci afferma che ‘in tale rubrica non compaiono né il n. 73 né lo pseudonimo ‘Silvestri’, né il nome di Silone o Tranquilli’: dunque,  quella di Biocca è un’invenzione. Se l’affermazione di Biocca fosse stata vera,  si sarebbe avuta la prova certa che Silone era una spia” (Tamburrano, Il ‘caso’ Silone, p. 29).

 

A ciò si contrappose la contro-deduzione di Biocca: “La Sovrintendente si riferiva ad un elenco in sua custodia risalente al 1938, dunque molti anni dopo l’abbandono di ogni attività politica da parte di Silone; la Sovrintendente ha quindi spiegato che ciò non costituiva prova dell’estraneità di Silone alle attività informative della Polizia politica, anche i nomi di altri fiduciari risultavano assenti dal registro” (25).

 

Così, tra deduzioni e contro-deduzioni, ritengo e credo che l’unica cosa  che si possa  dire a cuor leggero e senza tema di smentita  è che, se rapporti vi furono tra Secondino Tranquilli il giovane e gli apparati polizieschi, prima liberali e poi fascisti, questi passarono solo e soltanto attraverso la figura di Guido Bellone, l’unico e il solo privilegiato canale con cui Secondino Tranquilli il giovane ebbe a che fare, instaurando un rapporto fiduciario che durò negli anni, a prescindere, mi sembrerebbe,  sia dal partito comunista, di cui si dice fosse un “infiltrato”, sia dal partito fascista, di cui si dice fosse una “spia”. Il rapporto tra i due probabilmente fu duraturo soprattutto per l’ estrema abilità del Bellone, che evidentemente sapeva fare il suo mestiere molto bene, e che riuscì a preservare, negli anni, grazie ad una indiscutibile riservatezza, la fiducia di Secondino Tranquilli il giovane.

 

I due, “Bellone e Silone,  si sarebbero conosciuti a Roma nel settembre del 1919, quando Ignazio fu denunciato e schedato per la sua attività politica” (26). La differenza d’età (Bellone era del 1871 [Biocca, p. 51]) e la carica ricoperta da Bellone spiegano altresì la sostanziale deferenza di Secondino Tranquilli il giovane nei suoi confronti. Siccome non esistono prove provate che negli archivi della polizia politica fossero esistite   relazioni del n. 73 o di “Silvestri”, si  è tornati inevitabilmente solo e soltanto su quelle   inviate espressamente al solo Bellone, aprendosi  caccia grossa per scoprire le motivazioni profonde di tale “rapporto privilegiato”. E al proposito sono state prospettate le più variegate ipotesi, alcune delle quali sfocianti nel surrealismo. Restando fermi a quelle verosimili, non ritengo surreale che Secondino Tranquilli il giovane possa essere stato aiutato dal Bellone a tirarsi fuori dai guai al meglio quando, giovane diciannovenne, fu fermato e schedato.

Perché Bellone lo aiutò?

Non è inverosimile che il Bellone, funzionario molto esperto,  avesse intravisto nel giovane “alfabeta” (in un’Italia analfabeta), capace cioè di leggere e scrivere correttamente, e non di compitare qualche frasetta,  la possibilità concreta di cavarne un “informatore” sufficientemente ed intellettualmente “attendibile” nelle sue relazioni, anche e soprattutto perché, un mese prima dell’arresto, nell’agosto del 1919, Silone fu nominato segretario dell’ Unione Giovanile Socialista romana. Che fossero state proprio le qualità intellettuali e la cultura del giovane a convincere Bellone è in qualche modo “confermato” dagli stessi Biocca-Canali, allorché sottolineano come le relazioni fiduciarie  pervenute alla questura di Roma, prima dell’autunno del 1919,  denotavano l’ italiano “stentato” di informatori di basso profilo culturale:

“L’esistenza di un nuovo informatore di alto profilo in seno al movimento giovanile socialista diviene particolarmente evidente a partire dall’autunno del 1919. Fino ad allora gli stentati resoconti fiduciari  dell’andamento di assemblee di circolo e di sezione che l’ufficio politico della questura che l’ufficio politico della Questura romana trasmette alla Divisione Affari Generali e Riservati, la DAGR, appaiono il frutto dell’attività delatoria di confidenti di rango piuttosto basso” ( Biocca, p. 48).

Andiamo ora a quel “fisicamente” della lettera del 5 luglio 1929, che ha fatto talmente discutere fino ad arrivare a pensare a “homosexual relations” (27):

“ Mi è fisicamente impossibile restare con lei negli stessi rapporti di dieci anni fa”:

Quel “fisicamente”, dicevo,  significa a mio parere semplicemente che le prime “relazioni fiduciarie” a Belloni erano state “fisicamente possibili” perché i due erano entrambi “fisicamente”  presenti a Roma; mentre dal 1929 divennero “fisicamente impossibili”,  non soltanto, e soprattutto perché Silone aveva cambiato idea in maniera irreversibile, ma anche  per la semplice ragione che Silone-Silvestri nel 1929 era dappertutto tranne che in Italia, ovverossia “fisicamente” ben distante dal Commendatore: lo troviamo  in Francia,  a Berlino,  Parigi e Anversa, mentre nel maggio del 1929 era denunciato al  Tribunale speciale fascista (28).

Poiché Secondino Tranquilli alfabeta  d’ “alto profilo” e con cariche “politiche” aveva dei grossi numeri agli occhi del Commendator Bellone,  prende contorni non inverosimili l’affermazione di Biocca allorché asserisce che  Secondino Tranquilli era  “il più prezioso dei fiduciari di polizia infiltrati nel Partito comunista” (Biocca, p. 312),  “tecnicamente”, oserei dire, prezioso. Sull’altro versante, il rapporto di Secondino Tranquilli il giovane con il Commendator Bellone fu duraturo sia perché egli provava per lui una certa gratitudine per averlo tolto dai guai al momento debito, e sia perché, nel tempo, poté riscontrare che la sua “identità” veniva scrupolosamente “protetta” dall’esimio Commendatore: di qui l’accenno  ai “rapporti leali” della lettera del 13 aprile del 1930.  Tuttavia, si ha la netta impressione che anche prima della lettera sopra citata Silone intendesse “sganciarsi” dal Commendator Bellone. E al proposito ricorderei una sorta di “battuta” nei confronti di Bellone, che, da quanto si evince dal contesto di una lettera allo stesso Bellone del 1928, il Commendatore scarpinava inutilmente dietro al suo “personal assistant”, recandosi più volte, a detta di Silone, in Francia:

“II comp. Buscemi [si tratta di Vanni Buscemi] ha scritto un rapporto che Lei viene spesso in Francia. Mi sembra che esagerate!” [ Silvestri da Berlino a Bellone, il 28 aprile 1928].

Infine, non posso né voglio sottacere il fatto che la “zona grigia” cui si accennava sopra  riguarda esclusivamente Secondino Tranquilli il giovane, non il Silone uomo maturo.

Lo spartiacque del 1930 è definitivo:  divide e dividerà per sempre  Secondino Tranquilli il giovane dall’ Ignazio Silone uomo maturo.

Ignazio Silone, passato attraverso una sofferta maturazione,  seppe esprimere pregevolissime qualità intellettuali.  A quel che testimoniò Pajetta, egli non fu tra quei comunisti che meritarono l’ “elogio” di Gomulka per aver “saputo tacere”. Silone invece ruppe il silenzio e tagliò di netto il nodo gordiano che lo teneva avvinto a una “galera”:

“Solo più  tardi,  scrisse Silone, guardandoci indietro, ci siamo convinti dell’assoluta necessità del distacco e della maturazione interna che lo rendeva inderogabile. Anzi,  adesso magari ci chiediamo come mai fosse possibile rimanere più a lungo ‘en cette galère’” (29).

E quanto alla (sua) gioventù, che ancora presenta, come dicevamo, zone sfumanti al grigio:

“Che tristezza però capire certe cose quando sulla testa cominciano ad apparire i primi capelli grigi, rendendosi conto di avere sciupato gli anni e le energie migliori” (30).

Comunque si giudichi tutta questa intricata vicenda, nell’esprimere giudizi su uomini della caratura di Ignazio Silone,  è bene astenersi accuratamente dal catonismo, parendomi che l’attualità non esprima sì alta moralità da poter dar lezioni a “chicche e sia”, avrebbe detto il sempre grande Totò.

 

Note

 

1)      The School for Dictators, by Ignazio Silone, Translated from the Italian by Gwenda David & Eric Mosbacher, London, Jonathan Cape, 1939, pp. 5-6.

2)      Giuseppe Tamburrano, Il ‘caso’ Silone, UTET , 2006, p. 24. L’autore si riferisce a un’intervista apparsa su Repubblica il 29 marzo 2000, in cui Biocca definì Silone “un autentico comunista e un convinto informatore”.

3)      Dario Biocca e M. Canali, L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia, Milano, Luni, 2000.

4)      Alberto Vacca, Il Dossier Silone. Copie fotografiche dei documenti dell’Archivio Centrale dello stato, p. 721. Link. https://www.yumpu.com/it/document/view/56545066/alberto-vacca-il-dossier-silone.

5)      Ivi, p. 704.

6)      Giuseppe Tamburrano,  G. Granati e A. Isnelli, Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano, Roma, Piero Lacaita editore, 2001, p. 48.

7)      The School for Dictators, cit.,  p. 5.

8)      Ivi, p. 5.

9)      Giovanni Spadolini, “Una battaglia solitaria”, in L’esilio svizzero di Ignazio Silone, in Nuova Antologia, gennaio-marzo 1994, p. 221.

10)    The School for Dictators, cit., pp. 5-6.

11)    La lettera in A. Paganini, Ignazio Silone, l’uomo che si è salvato.      [Locarno] 13 aprile 1930.

12)    The School for Dictators, cit., p. 6.

13)    Ivi, p. 21.

14)    Ivi, p. 189.

15)    Giovanni Spadolini, Una battaglia solitaria, cit., pp. 220-221.

16)    Si tratta della “conferenza stampa di Giancarlo Pajetta sul XXII Congresso del PCUS. Cfr. L’Unità del 2 dicembre 1961”. Il passo è citato in I processi ai comunisti italiani in Unione Sovietica (1930-1940),  Dialoghi del Terrore, a cura di F. Bigazzi & G. Lehner, Firenze, Ponte delle Grazie, 1991, pp. 80-81 e nota 6.

17)    Dario Biocca, Silone: la doppia vita di un italiano, Milano, Rizzoli, 2005, p. 320,  312 e p. 321, 15.

18) Giuseppe Tamburrano, Il ‘caso’ Silone, cit., p. 32.

19)    Ivi, p. 39 e p. 36.

20)    Dario Biocca, Silone: la doppia vita di un italiano, cit.,  p. 313.

21) Giuseppe Tamburrano,  G. Granati e A. Isnelli, Processo a Silone, cit., pp. 62-63.

22) Ivi, p. 63.

23) Dario Biocca, Silone: la doppia vita di un italiano, cit., p. 375.

24) Giuseppe Tamburrano,  G. Granati e A. Isnelli, Processo a Silone, cit., p. 50.

25) Dario Biocca, “Gli innocentisti e il caso Silone”, in Nuova storia contemporanea, 2006, n. 5,  p. 110.

26) Ottorino Gurgo & F. De Core, Silone: L’avventura di un uomo libero, Marsilio, 1998,  p. 142   nota.

27) Maria Nicolai Paynter, On Friendship and Freedom. The Ignazio-Marcel Fleischmann Correspondence, Toronto, Toronto University Press, 2016, p. 10.

28) Diocleziano Giardini, Ignazio Silone: cronologia della vita e delle opere, Polla, 1999, p. 19 sgg.

29) Giovanni Spadolini, Una battaglia solitaria, cit., p. 218.

30) Ivi, p. 218.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.