Stephen Crane fra The Red Badge of Courage e il “Fleming intimo”

Negli ultimi anni ho potuto rilevare  un crescente  interesse per l’opera e la figura di Stephen Crane, forse un dovuto omaggio postumo per uno scrittore che in vita ebbe difficoltà notevolissime a trovare un editore. Morto precocemente (era nato nel 1871 e morì nel 1900), Crane si divise tra difficoltà di non poco momento tra il giornalismo e l’attività di scrittore, anche se, come dicevamo sopra, in quest’ultimo settore la fortuna non gli arrise se non dopo molti anni di tentativi.

 

Basti pensare a Maggie: A Girl of the Streets [Maggie: una ragazza di strada], incentrato sulla figura d’una ragazza la cui discesa “ad inferos” (povertà, prostituzione e morte per suicidio) si snoda implacabile secondo una legge arcana e di necessità che probabilmente trova le sue scaturigini non soltanto nel classico clima del “fatalismo” puritano dell’America, ma anche in quelle determinate dal Naturalismo europeo e specialmente da Zola, secondo cui l’individuo soggiace senza alcuna speranza alle leggi metafisiche, insopprimibili e ferree della società.

 

Diciamo che un po’ tutta la critica americana fu concorde nel classificare Stephen Crane fra gli scrittori naturalisti (un’ottima rassegna degli studi in E. C. Applegate) (1). Del resto non era cosa poi così difficile a farsi, dato che lo stesso Crane si auto-dichiarò seguace convinto del Naturalismo:

“Questo libro [Maggie] […] tenta di dimostrare che l’influsso della società nella quale ci troviamo inseriti […] spesso determina la nostra vita nel più spietato dei modi” (2).

 

Il naturalismo di Crane ebbe comunque delle peculiarità, nel senso che l’autore amava più che altro soffermarsi sui tormenti interiori dei suoi protagonisti. Comunque sia,  Maggie: A Girl of the Streets fece la fine dei romanzi di molti altri scrittori, ossia fu pubblicato a spese dell’autore: “Crane published his first novel, Maggie, at his own expense” (3).

 

Le cose cambiarono radicalmente con The Red Badge of Courage [ Il segno rosso  del coraggio] (1895), romanzo incentrato sulla guerra civile americana. Sulle ragioni del successo di questo romanzo sono state formulate diverse ipotesi, ma  è molto probabile che tale “fortuna” editoriale fosse stata dovuta al particolare “taglio” del racconto, dove ha certamente un certo spazio la storia “esterna” della guerra civile, mentre invece ne ha moltissimo la storia “interna” del soldato protagonista del romanzo. Il ragazzo, Henry Fleming, è un tipo che vagheggia con la mente d’atti eroici, e preso da un irrefrenabile desiderio di gloria decide di arruolarsi. Ma ben presto si rende conto di cosa significa “realmente” scendere in battaglia. Mille pensieri cominciano a turbinar nella sua mente, e la paura prende il sopravvento su ogni altra considerazione:

 

“A little panic-fear grew in his mind. As his imagination went forward to a fight, he saw hideous possibilities. He contemplated the lurking menaces of the future, and failed in an effort to see himself standing stoutly in the midst of them. He recalled his vision of broken-bladed glory, but in the shadow of the impeding tumult he suspected them to be impossible pictures. He sprang from the bunk and began to pace nervously to and fro. ‘Good Lord, what is this matter with me?’, he said aloud”

[Paura mista a terrore s’impadronì allora della sua mente. Allorché la sua immaginazione si soffermò per un attimo sullo svolgimento della battaglia,  si vide dinnanzi  le prospettive più terrificanti. Guardava  alle minacce in agguato nell’imminente futuro, ma non riusciva in nessuna maniera  a vedersi ben saldo sulle gambe in mezzo alla mischia. Rammentava le sue visioni di gloria tra un cozzare di spade infrante, ma con l’avvicinarsi della tumultuante battaglia a poco a poco si rendeva conto che si trattava soltanto d’irrealizzabili parvenze. Sbalzò dal letto e cominciò a passeggiare nervosamente avanti e indietro. ‘Buon Dio, disse ad alta voce,  ma che c’entro io con tutta ’sta roba?’”. Traduz. mia ] (4).

 

Di qui la diserzione e la fuga atterrita nel corso d’una battaglia; e le maledizioni al “governo”, che lo aveva trascinato in quell’avventura. Poi il ritorno al reggimento, con la fortuna che lo aiuta a rientrare nei ranghi senza che nessuno avesse sospettato della sua diserzione; la sua partecipazione a nuovi combattimenti, in cui, agendo d’istinto, si fa notare per abnegazione e coraggio. Infine la consapevolezza d’essere maturato e il disprezzo per come, molto tempo prima s’era posto fanciullescamente dinanzi alla guerra.

 

Tutto il romanzo si muove tra soldati e battaglie a ritmo incalzante, ma il vero protagonista è l’ “io” di Henry Fleming, che valuta, giudica, s’atterrisce e alla fine “impara”. Le “maledizioni” al governo che lo aveva trascinato in guerra offre altresì il destro per ragionare sul fatto che Crane, con rara perspicacia,  aveva intuito ciò che molti storici europei avevano potuto registrare sia in Italia sia in altre nazioni: ossia l’assoluta “inconsapevolezza” della maggior parte dei soldati di fronte alle “ragioni” dello scatenamento di un conflitto. Cosiccome il soldato-contadino del Primo Conflitto Mondiale non sapeva “perché” fosse finito nel carnaio, allo stesso modo, il soldato di Crane, Henry Fleming,  non ha la più pallida idea del motivo per il quale si trovava lì ed allora. Anche il soldato Henry Fleming è un contadino, scagliato dal suo ranch in mezzo  alla “baraonda” delle battaglie, dominato dal terrore, e che poi, alla fine, si trova ad essere un  “eroe” di guerra per via di fatti assolutamente fortunosi. Crane seppe quindi cogliere con notevole preveggenza lo spirito di molti soldati americani nel corso della guerra civile, e probabilmente anche di quelli che vissero circostanze simili nei successivi conflitti in cui si trovarono intrigati gli americani:

 

Insomma, è piuttosto difficile che i giovani americani dell’epoca  non si fossero immedesimati  in tale situazione: e ciò fu, come dicevamo, probabilmente  alle origini del successo editoriale del secondo romanzo di Stephen Crane,  riedito nel 1998 da A. Mellors & F. Robertson con un               apparato critico filologicamente molto accurato.  Come di rado accade, il successo di pubblico coincise con l’apprezzamento subitaneo anche della critica, cosicché sia George Wyndham sia Joseph Conrad furono unanimi nell’affermare che “Mr. Crane has contrived a masterpiece”, ossia che Stephen Crane aveva creato un vero e proprio capolavoro (5).

 

La cosa gli era venuta molto bene anche perché nella sua “short novel”  Crane aveva dimostrato una non comune abilità nella descrizione delle battaglie, cosa che colpì il pubblico e la critica, avvezzi a scrittori che avevano avuto esperienza “diretta” della guerra, mentre Crane ne fu un semplice osservatore, scrivendo  come corrispondente di guerra per diversi giornali  sulla guerra di Cuba e sul conflitto greco-turco. E “soon after The Red Badge of Courage became a bestseller” [E subito dopo The Red Badge of Courage diventò un bestseller” (6). Un bestseller che fece scuola, perché dopo il “masterpiece” di Crane, uno stuolo d’imitatori travolse il pubblico americano con una profluvie di romanzi tutti incentrati sull’ American Civil War.

 

E in Italia? Come fu accolto in Italia il capolavoro di Crane? Intanto con un po’ di confusione sulla traduzione del titolo, che andò da Il rosso distintivo del coraggio et alia,  a quello più in voga de Il segno rosso  del coraggio. Tutto sommato, nel clima postbellico, su iniziativa dei nostrani cultori della letteratura americana, a cominciare da Cesare Pavese, gli interventi critici e le pubblicazioni si susseguirono a buon ritmo, come dimostra il Repertorio bibliografico della letteratura americana in Italia (7). Da noi ci furono anche critici, come C. Izzo, per esempio, che ebbero una visione alquanto difforme rispetto alla critica americana, pressoché tutta allineata  a fare di Crane un naturalista. Per C. Izzo,  Crane era invece un “simbolista”:

 

The Red Badge of Courage costituisce comunque la prova lampante di quanto Stephen Crane fosse più vicino al simbolismo che non al naturalismo” (C. Izzo, p.214).

 

E tale convinzione era stata dettata a Izzo proprio dal fatto che Crane parlò di guerre e battaglie “di cui non aveva la menoma [sic= minima] esperienza diretta”. Per di più C. Izzo  rilevava che il titolo originario del romanzo era “Private Fleming. His various battles”, titolo che potremmo tradurre con “Fleming intimo. Le sue varie battaglie” (C. Izzo, p. 216).

 

Il che conferma, ancora una volta, che l’ American Civil War costituì soltanto la “materia grezza” su cui il giovane Henry Fleming s’esercitò intorno a se stesso, alle “sue varie battaglie”, cioè alle sue sconfitte come ragazzino imberbe e pieno di fantasie, e alle sue vittorie di uomo maturo, provato dalla realtà delle cose, e soprattutto dal “rosso” del sangue spicciante dalle ferite dei soldati in battaglia.

Note

 

1)      E. C. Applegate, American Naturalistic and Realistic Novelists, E. C. Applegate, 2002, pp. XXII-XXIII.

2)      Il passo di Crane è ripreso da C. Izzo, “Stephen Crane”, in  Civiltà americana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1967, Vol. I,  p. 207.

3)      S. Crane, The Red Badge of Courage (An Episode of the American Civil War), Edited with an Introduction and Notes by A. Mellors & F. Robertson, Oxford & New York, Oxford University Press, 1998, p. XXXV.

4)      S. Crane, The Red Badge of Courage, cit. p. 9.

5)      Ivi, p. XXXV.

6)      J. C. Allermann, Stephen Crane’s ‘The Red Badge of Courage’ as a Work of Late Nineteenth-Century American Naturalism, Universität des Saalandes, 2006,  p. 3.

7)      Repertorio bibliografico della letteratura americana in Italia, a cura di A. Pinto Surdi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982, Vol. IV (anni 1960-1964),  pp. 123-125.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.