Storia e criticità del Diritto Internazionale

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Le criticità e le violazioni del Diritto Internazionale diventano sempre oggetto di valutazione storica; potremmo addirittura dire che il Diritto Internazionale sta alla storia come il cacio sta ai maccheroni. Gli esempi sotto riportati (guerra arabo-israeliana e sanzioni all’Italia del 1936 in seguito alla conquista dell’Etiopia) sono esemplificativi di questa condizione di assoluta interrelazione. Viviamo in un mondo fluido, oggi molto più che nel passato. Qualcuno può ancora esser convinto che il rispetto dei trattati sia l’ossatura portante nei rapporti internazionali. Però tale visione, anche se apparentemente razionale, si scontra spesso e volentieri con le nuove oggettività che stanno vivendo oggi i Paesi del mondo, in Europa e fuori di essa.

 

In realtà Il Diritto Internazionale non presuppone l’osservazione assoluta delle regole stabilite nei trattati. Quindi resterebbe sostanzialmente deluso chi si arroccasse al Diritto Internazionale come ad una sorta di Tavola delle Leggi . Nel  Diritto Internazionale si registrano infatti delle pesanti criticità, tali cioè da metterne in crisi la stessa sussistenza  di trattati volti a creare un insieme di impegni da rispettarsi “in toto” da parte di tutti i Paesi.

 

L’idea di una serie di norme volte a regolare i rapporti tra le nazioni risale a Grozio (1583-1645), allorché egli portò avanti con successo la proposta secondo la quale nessuno Stato poteva vantare diritti sui mari aperti. Tacitamente, e fattivamente, tale norma fu universalmente riconosciuta valida per la sua razionalità. In seguito, il Diritto Internazionale si arricchì di ulteriori norme, che furono egualmente accettate da tutti i Paesi per il loro carattere assolutamente razionale nonché “ragionevole”.

 

Menzioniamo le più interessanti: il diritto, per esempio, di usufruire delle acque di fiumi che attraversano paesi contigui; oppure, altrettanto importante, il diritto di attraversamento degli stretti; e il diritto da parte di uno Stato di usufruire di un fiume allo scopo di accedere al mare. Data la ragionevolezza di tali norme, sembrerebbe che a nessuno possa venire in mente di infrangerle. Però, come si diceva all’inizio, l’interesse nazionale a volte può far sì che alcuni Paesi violino il Diritto Internazionale.

 

La cosa è accaduta in passato parecchie volte. Si cita un esempio  ben conosciuto: nell’ottobre del 1956 scoppiò la seconda guerra arabo-israeliana (la prima fu del maggio 1948).  In quel frangente l’Egitto nazionalizzò il Canale di Suez e  impedì il transito alle navi israeliane: il che costituiva una violazione patente del diritto internazionale sulla libera navigabilità degli stretti.

 

Che cosa significa, sotto l’aspetto teorico, e non solo, questo tipo di violazione?

 

Significa semplicemente che il Diritto Internazionale può essere violato perché non esistono organi giudiziari internazionali talmente autorevoli e riconosciuti da possedere l’ “effettivo potere” di far rispettare i trattati. L’ONU, tanto per fare un esempio,  può fungere da “tribunale internazionale”, ma ha un difetto assai grave che ne pregiudica l’autorevolezza: ossia il fatto che il  tribunale dell’ONU non è spesso terzo rispetto alle controversie, perché può accadere che la violazione del diritto sia venuta proprio da un paese appartenente all’ONU stessa, che quindi diventa automaticamente una delle parti in causa. Tale Paese, tanto per essere chiarì,  può, specie se si tratta di una potenza, esercitare il diritto di veto riguardo alle eventuali sanzioni.

 

C’è inoltre  il dato inconfutabile che la Corte di giustizia internazionale dell’ONU, anche se emette una sentenza, non possiede strumenti tali da poter fare rispettare ai contendenti le proprie decisioni. Lo si può vedere a proposito di eventuali sanzioni nei confronti di alcuni paesi che abbiano violato con un atto unilaterale di forza il Diritto Internazionale.

 

E’ accaduto nel 1936 per esempio con l’Italia, sanzionata economicamente per la conquista dell’Etiopia, con l’impedimento a importare nel nostro Paese materiale bellico e tentando di bloccare il flusso di credito estero e di materie prime. I risultati, in quell’occasione, furono pressoché nulli, perché in realtà le sanzioni furono applicate senza alcuna rigidità e, pertanto, si trattò soltanto di un puro e semplice atto formale, tanto è vero che carbone e petrolio continuarono ad arrivare in Italia sia dagli Stati Uniti sia dall’Inghilterra, la quale ultima, invece, teoricamente, sarebbe dovuta essere la più rigorosa nel fare rispettare quelle sanzioni delle quali  era stata  addirittura promotrice.

 

Allora, “rebus sic stantibus”, se le cose stanno in siffatto modo, in quali occasioni le decisioni della corte di giustizia funzionano efficacemente? Essenzialmente, quando determinati  eventi interessano Paesi minori,  che non possiedono forza alcuna “dentro” l’ONU; oppure quando sono gli stessi Paesi contendenti che si rimettono alle decisioni della Corte e quindi ne accettano il verdetto, qualunque esso possa essere. Ma, come si vede, in quest’ultimo caso, si tratta di un’azione del tutto volontaria,  e anche abbastanza rara a vedersi.

 

Abbiamo iniziato il paragrafo precedente con la citazione latina “rebus sic stantibus” non per uno sfoggio di erudizione, ma perché tale frase ricorre  anche nel Diritto Internazionale.  L. Oppenheim, che su di esso  scrisse un volume eccezionale per dottrina, si soffermò a lungo sulla clausola relativa  al “rebus sic stantibus”. In base a tale concetto,  un trattato può essere rigettato in conseguenza di  mutamenti oggettivi ed incontrovertibili delle circostanze e delle condizioni interne di un determinato Paese, condizioni che possono  diventare così gravose per una delle parti che essa può, con atto unilaterale, dichiararsi  sciolta da un  precedente trattato.

 

Per questo motivo, scriveva L. Oppenheim, il “rebus sic stantibus”  è sempre stato una consuetudine  del Diritto Internazionale. Esiste indubbiamente il pericolo, sottolinea Oppenheim, che tale norma sia utilizzata impropriamente per nascondere la violazione dei trattati dietro lo scudo della legge; “and a number of cases could be quoted where such abuse has really taken place” (“e un certo numero di casi potrebbe essere citato dove tale abuso ha davvero avuto luogo”).

 

Per evitare tutto ciò, e ancora per garantire l’applicazione del principio del “rebus sic stantibus” ai casi dove la sua applicazione è davvero giustificata, l’articolo 19 della Società delle Nazioni [precedente dell’ONU], conclude  L. Oppenheim,  stabilisce che l’Assemblea può  “riconsiderare” la situazione  di uno dei suoi membri, essendo venuti a mancare i presupposti della situazione precedente, ossia del fatto che “omnis conventio intelligitur rebus sic stantibus” (“Ogni trattato s’intende rispettato permanendo la situazione attuale”).

 

In definitiva il Diritto internazionale è estremamente fluido, e prevede lo sganciamento di un Paese da trattati ritenuti eccessivamente onerosi per gli interessi nazionali, anche perché, a monte,  non mancarono pensatori che negarono addirittura la sussistenza reale di un Diritto Internazionale, tanto è vero che per John Austin (1790-1859) “What is commonly called International Law is excluded from the proper province of jurisprudence” [Ciò che  comunemente è chiamato  Diritto Internazionale viene totalmente escluso dal campo della giurisprudenza] ( R. Campbell).

 

Da quanto si è andati dicendo, appare evidente che la “stabilità” dei rapporti internazionali viaggia costantemente sul filo del rasoio, e che nessuno può essere assolutamente certo che non possano avvenire nel futuro mutamenti così forti da  portare alla disgregazione di trattati e organismi che un tempo apparivano inossidabili. Il recente “sganciamento” inglese dall’Europa Unita ne è una riprova, con ricadute “storiche” che saranno presumibilmente di non poco momento.  Di qui dunque la necessità  di essere consapevoli dell’estrema fluidità della situazione in cui oggi ci troviamo, nonché delle effettive criticità del Diritto Internazionale anche su temi di enorme rilevanza mondiale quale quello dei diritti umani, tanto per citare un terreno di grande interesse presso l’opinione pubblica internazionale.

 

Fonti:

 

Sui temi del Diritto Internazionale, nonostante il volume sia datato (ma è stato  ripubblicato anche recentemente [2010-2012]), è sempre da leggere L. Oppenheim, International Law, New York, Longmans. Green & CO., 1920, Vol. I., p. 287.

R. Campbell, “Introduction”, in Lectures of Jurisprudence by John Austin, New York, Henry Holt & Company, 1875, p. X.

 

https://youtu.be/ghqZdsDnCTo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.