Nel 1961 Charles S. Singleton, nei suoi Studi su Dante, poneva l’accento sul fatto che “la conversione è un concetto chiave dell’intero viaggio allegorico” della Commedia, ribadendo tra l’altro che sì, quello di Dante fu un viaggio “personale” e “diretto verso Dio”, ma che esso può essere interpretato allegoricamente come un viaggio che “chiunque”, e in “qualsivoglia tempo” avrebbe potuto attuare per giungere ad una “conversione dal peccato allo stato di grazia”. Pertanto il viaggio dantesco può essere spiegato anche come il viaggio di “chiunque”, in “qualunque luogo” e in “qualsivoglia tempo”: “Che un simile viaggio […] sia una possibilità aperta a tutti, rimane il postulato fondamentale e, per Dante, la base dottrinale su cui egli può costruire in la allegoria della Divina Commedia” (Charles S. Singleton).
Mentre Singleton riaffermava il valore di “conversione” della Commedia, sul versante filologico Carlo Petrocchi, cinque anni dopo, portava a termine la sua lunga fatica attraverso centinaia di codici danteschi per darci la lezione migliore del testo della Commedia.
Il lettore moderno forse ha soltanto una vaga idea delle difficoltà che Petrocchi dovette superare per darci un testo attendibile e al tempo stesso comprensibile della Divina Commedia. Per farcene un’idea sia pure approssimativa, credo sia sufficiente questo brevissimo esempio. Nel 1869 il prof. L. Scarabelli offriva al Ministero della Pubblica Istruzione la trascrizione di un codice mutilo della Divina Commedia scoperto “nella Libreria dell’Università di Bologna”. Trascelgo dal codice qualche passo largamente noto a tutti i lettori di Dante, dove “chiunque”, per dirla con Singleton, può rendersi conto delle enormi difficoltà del restauro linguistico operato successivamente per giungere ad una lettura “decente” del viaggio di Dante. Il codice bolognese, oltre alle difficoltà lessicali, era privo di punteggiatura. Ben pochi avrebbero potuto intendere la voce di Farinata degli Uberti sotto il “velame” di questi “versi strani”:
O toscho che p lacita del fuocho
uiuo tenuai cosi pliando honesto
piazati diristare in questo locho
Li tua loquela tifa manifesto
diquela nobile patria na[tio]
allaqual forsi iffui tropo molesto
Subitamente questo suono uscio
duna dellarche epo machostai
temedo un puocho piu al duchamio.
“O Tosco, che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
diquella nobil patria natio,
alla qual forse fui troppo molesto”.
Subitamente questo suono uscìo
d’una dell’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
Il secondo testo è quello approntato nel 1966 da Giorgio Petrocchi, edizione oggi largamente accettata dalla critica. Non è che i lettori dell’Ottocento e dei primi del Novecento fossero posti di fronte a testi come quelli del nostro primo esempio; c’erano anche allora buone edizioni della Commedia, come quella, per esempio, assai nota, dello Scartazzini-Vandelli.
Tuttavia, è indubbio che il viaggio di Dante sarebbe rimasto pressoché incognito se i filologi non avessero posto mano alla lezione dei testi tramandati da centinaia e centinaia di manoscritti, dove, per fare qualche altro esempio, troviamo passi estremamente significativi come questi, tramandati dal Codice “Aquila-Alfieri”, un codice privato appartenuto ad Anna e Maria Pica Alfieri:
“Puoie chebbe posato el corpo lascio”, che corrisponde a
“Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso”, delle Edizioni successive fino a Petrocchi (p. 7).
Pertanto, aggiungerei qualcosina alle conclusioni di Singleton, sottolineando che il viaggio di Dante fu non soltanto “doppio”, personale e di “chiunque”, ma addirittura “triplo”, se mettiamo nel giusto conto anche le vicissitudini che accompagnarono il viaggio dei codici danteschi fino a noi.
Fonti:
Codice frammentario della ‘Divina Commedia’, a cura di L. Scarabelli, Bologna, 1869, p. 9.
La ‘Commedia’, secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Milano, Mondadori, 1966, pp. 161-162
Charles S. Singleton, Studi su Dante: 1. Introduzione alla ‘Divina Commedia’, traduz. di G. Vallone, Napoli, Scalabrini, 1961, pp. 12 sgg.
Per il codice “Aquila-Alfieri”, Vedi l’esempio riportato da Marcella Roddewig, “Zwei Commedia-Handschriften im Besitz eines Gentleman”, in L’Alighieri, luglio-dicembre 1988, p. 52.