“Wertfreiheit” e impegno civile nella letteratura italiana contemporanea

Belle e succose panoramiche della letteratura italiana ne sono state date nel tempo, a cominciare da quella approntata da G. Pullini negli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze lettere ed Arti. L’ampia disamina di Pullini si fermava al 2000, concludendosi con accorate considerazioni del critico:

 

“Carlo Bo ha scritto di recente: ‘La letteratura ha preso un altro indirizzo (…) il suo senso è soggiogato al mercato e al successo ( … ) per quanto mascherata da una qualche abilità, non ha retto alla prova della verità’. L’aveva affermato in modo molto preciso Giorgio Bassani in una intervista del 1991: ‘I romanzi che sono fabbricati come oggetto di consumo, che non esprimono la realtà intima e profonda di chi li scrive, non sono romanzi, sono fabbricazioni artigianali, che possono interessare chi studia la letteratura dal punto di vista esterno, ma non interessano chi si occupa della letteratura come di un fatto essenziale, fondamentale’. Raffaele La Capria ha parlato, appunto, di ‘scrittori in maschera’ cioè di scrittori che si servono di virtuosità stilistiche, di artifici volontaristici, e hanno perso la loro naturalezza (naturalezza che non significa mancanza di elaborazione espressiva). Lasciateci rimpiangere, allora, i bei finali de Il Gattopardo di  Lampedusa del 1958, de La noia di Moravia del 1960 e de Il male oscuro di Berto del 1964 (e non citiamo tre vecchi romanzi ottocenteschi, ma romanzi moderni del pieno Novecento, prima della sua crisi attuale” (G. Pullini, Il romanzo italiano del secondo Novecento, in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze lettere ed Arti, Tomo CLVIII (1999-2000), pp. 168-169) . La “crisi” a cui accennava Pullini era stata introdotta dall’avvento del Postmoderno, e dalla “liquidità” in cui si trovarono a vivere le scienze umane, e, naturalmente, anche la letteratura italiana.

 

Sugli effetti del postmoderno sulla letteratura italiana mi sono soffermato in altra occasione con due brevi articoli, rifacendomi al concetto di J. Barth che parlò di “letteratura  dell’esaurimento”, dove per “esaurimento” Barth  non intendeva “qualcosa di trito come l’oggetto di decadenza fisica, morale, ed intellettuale, ma solo l’usura di certe forme e l’esaurimento di certe possibilità”. Per quanto riguarda il romanzo postmoderno italiano, parlavo di “cronaca dell’effimero” senza spessore filosofico, nonché d’una lingua troppo bassa, che non rispecchia, neanche col binocolo, improbabili  canoni retorici di stampo medievale, e che risulta alla fine talmente “degradata” da risultare del tutto inadeguata a sostenere il carico di ciò che noi chiamiamo “letteratura”.

 

Oggi le cose sembrano essere per vari versi mutate. Tornando alle nostre “panoramiche” iniziali, mi sembra degno di particolare menzione un recente volume curato da L. De Martino e P. Verdicchio. Ciò che colpisce nel saggio introduttivo dei due curatori, (“Contemporary Iterations of Realism: Italian Persepctives”, in Encounters with the Real in Contemporary Italian Literature and Cinema, Cambridge Scholars Publishing, 2017)  è il tentativo assai lodevole di sistematizzare  la nuova letteratura contemporanea italiana (e non soltanto), nata dalle macerie del postmoderno. In breve sintesi, la nuova letteratura italiana, con alcuni dei suoi interpreti, viaggerebbe a vele spiegate verso un “nuovo Neo-realismo”, che, a sentire diversi critici (Donnarumma Spinazzola), presenterebbe evidenti legami con il Neorealismo storico.

 

Per altri (Raffaello Palumbo Mosca), più che di un nuovo-Neorealismo, si potrebbe parlare d’una letteratura “etica”, che si proporrebbe di re-indirizzare il probabile lettore presentando nuove prospettive “reali” grondanti però un’etica che dovrebbe a sua volta informare la nuova realtà.

 

I nuovi scrittori  “neoetici”, a quanto è dato vedere, hanno grande fiducia nel fatto che la letteratura possa realmente incidere sulla società italiana contemporanea, che di etica ne vede ben poca in giro. I legami con il Neorealismo si potrebbero cogliere proprio in questa tensione dell’intellettuale-scrittore, che ambirebbe alla funzione di  “guida etico-spirituale” della società italiana contemporanea, “rinvigorendo la capacità   dei lettori d’immaginare realtà alternative” (p. X): ovvero, alternative etiche, superando altresì il postmoderno,  e quel “pensiero debole” aperto a “troppe” prospettive rigorosamente aliene dal presupporre una scala di valori, e tanto più l’esistenza di un’etica.

 

Come si sa, gli intellettuali hanno sempre coltivato, attraverso i secoli, l’ambizione d’essere “guide spirituali” della nazione d’appartenenza; ma, a dire il vero, gli esiti, almeno in Italia, non sono stati poi così confortanti. La “neoetica” nostrana “mix fiction with nonfictional genres such as journalism, the diary, and/or the personal essay-works by Sandro Veronesi, Eraldo Affinati, Antonio Pascale, Antonio Franchini e Andrea Tarabbia” [ mescida la fiction con altri generi letterari come il giornalismo, il diario e/o il personal essay di Sandro Veronesi, Eraldo Affinati, Antonio Pascale, Antonio Franchini e Andrea Tarabbia ] (p. XVIII).

 

Interessante anche il richiamo a Roberto Saviano, il quale avrebbe fatto proprio e “ammodernato”, a mo’ di novello detective,  il pasoliniano “Io so” (sottinteso: perché sono un intellettuale e ho a mia disposizione molti strumenti critici) in un “Io so perché ho le prove”: pratica comunque altamente ostica in un’italica nazione  dove l’abile e saputo legista  spacca il capello in quattro, o anche in cinque, e perché no? quand’è il caso, anche in sei o sette, rinviandoci costantemente dentro il “mondo liquido” della postmodernità.

 

Sempre restando in tema della “missione dell’intellettuale”, Loredana De Martino vede nell’opera di Scurati, Il sopravvissuto, il tentativo del nuovo Neorealismo etico “di usare la fiction come un antidoto contro la paralisi etica prodotta dai media che hanno ridotto la violenza una sorta di intrattenimento” (p. XIX), televisivo, aggiungiamo noi. Indubbiamente il romanzo di Scurati stimola la riflessione “profonda”, e la cosa non è da poco, visto come si trattano certi temi a livello “medio” dai “media”. Comunque sia, a seguire R. Donnarumma, “letta sotto questa luce, anche la narrativa italiana recente inizia a comporsi in un panorama”:

 

“Il nodo della letteratura ipermoderna è proprio il realismo, scrive R. Donnarumma; tanto più, perché con poche cose come con quello il postmoderno ha avuto il dente avvelenato. Oggi, il realismo risponde per statuto a un’angoscia di derealizzazione e si misura con l’irrealtà o la realtà depotenziata prodotta dai media […] Letta sotto questa luce, anche la narrativa italiana recente inizia a comporsi in un panorama. Senza un ripensamento del modernismo non saprei capire libri pur diversissimi come la trilogia di Siti, Canti del caos di Moresco o Dai cancelli d’acciaio di Frasca […] Oppure, ripensate in questa chiave il dibattito su Gomorra: chi come Saviano si confronta con una realtà già mangiata dai media? chi come lui vuole produrre, più ancora che documenti, una testimonianza la cui credibilità si fondi sull’ ‘io c’ero’ e su un’enfasi rappresentativa che restituisca forza alle parole? […] Sembra che ormai se ne siano convinti tutti: la cultura e la letteratura postmoderniste si sono esaurite. Le parole d’ordine di un trentennio iniziato con la metà degli anni Sessanta e spento alla metà degli anni Novanta sono scadute, e le ha sostituite il loro contrario: non più morte del soggetto e dell’autore, ironia coatta, manierismo, autoreferenzialità, antistoricismo, scetticismo sulla politica, vanificazione della verità,  ma riabilitazione dell’io, nuove forme di realismo, volontà di raccontare il presente, partecipazione civile, denuncia, fiducia in una qualche possibile verità della letteratura” (R. Donnarumma, Iperbolica modernità. Come raccontare la realtà senza farsi divorare dai reality. http://labont.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/10/Donnarumma.pdf).

 

Ora, comunque si guardi il problema, il nodo essenziale sembrerebbe dato dall’attuale presenza in Italia di un Neo-neorealismo “etico”: il che ci offre il destro per ulteriori considerazioni.

 

Il tema dell’etica nelle scienze umane (e, di conseguenza, in letteratura) non è per nulla nuovo. Esso riemerge dalle pieghe della storia e, soprattutto, dell’economia in tempi a noi molto lontani, allorché, forse, la questione sul tappeto non aveva quella larga risonanza nella pubblica opinione come oggi. Poiché è proprio l’economia (con tutti i suoi addentellati politici) che oggidì sembra far a pugni con l’etica, permeando di sé l’intera società, parrebbe pressoché inevitabile che parte dell’odierna letteratura italiana si vada ad occupare d’un siffatto fenomeno, dimostrando, a detta di Raffaele Donnarumma,

 

“volontà di raccontare il presente, partecipazione civile, denuncia, fiducia in una qualche possibile verità della letteratura”.

 

 

 

Dalla Wertfreiheit (avalutatività) all’impegno etico

 

 

“L’etica stende il suo sovrano imperio su tutta l’attività umana” (F. Vito, Introduzione all’economia politica, Milano, Giuffrè, 1950, p. 185).

 

Nell’ormai lontano 1990, Luigi Mistrorigo (“Etica ed economia”, in Studium, novembre-dicembre 1990, pp. 887-896)  annotava come

 

“ un grande economista” liberista della stregua di F. A. Hayek fosse fieramente avverso a Keynes, per il quale l’economia “non doveva tanto badare alla costruzione di modelli economici astratti, perciò distaccati e neutrali sia nei confronti della realtà che dell’etica stessa, ma doveva piuttosto badare a risolvere i ‘problemi sociali’ che si trovava dinnanzi  per effetto del processo storico”.

 

Per la verità, scriveva ancora Mistrorigo, “ il discorso sulla ‘neutralità’ delle scienze sociali, e quindi della scienza economica, sempre rispetto all’etica, non è recente. Esso aveva preso avvio, ancora nei primi decenni del secolo, con la cosiddetta ‘avalutatività’ del sociologo tedesco Max Weber. ‘Avalutatività’ (Wertfreiheit) stava ad indicare la ‘libertà dal valore’ o ‘neutralità’ delle scienze sociali rispetto ai valori. Secondo Giovanni Sartori, le discussioni intorno alla ‘avalutatività’ hanno dilacerato per alcuni decenni la scienza della politica ed anche la sociologia. In proposito osservava che si doveva distinguere (almeno) tra due sue possibili interpretazioni: ‘la tesi di chi raccomanda la neutralizzazione, e la tesi di chi propugna la cancellazione dei valori’”:

 

“Occorre abbandonare il principio dell’ “homo oeconomicus” e sostituirvi quello dell’adeguamento dei mezzi limitati che si hanno ai fini superiori. La scienza economica, come ben si sa, nasce dal fatto che si devono operare delle ‘scelte’ tra mezzi limitati e bisogni spesso illimitati. Orbene, la razionalità delle ‘scelte’ sta nell’impiego dei mezzi limitati che rispetti la gerarchia dei fini […] Vi è bisogno di raggiungere un determinato ‘livello etico’ attraverso questi tre elementi: a) la coscienza dei valori; b)  la concezione dell’uomo espressa  da questi valori; c) la necessità che sia l’ ‘etica’ stessa a guidare concretamente le decisioni e l’azione”.

 

In conclusione, sembrerebbe che la nuova letteratura italiana contemporanea, di fronte al trend italico, convinto fautore della ‘avalutatività’ della letteratura e, soprattutto, della “cancellazione dei valori”,  abbia abbandonato la teutonica Wertfreiheit,  per tramettere ai (possibili) lettori italiani “fiducia in una qualche possibile verità della letteratura”.

 

La sfida è enorme, e la “concorrenza”, spietata. Ma, tutto sommato, l’attuale “tendenza” parrebbe perlomeno consolante. Vedremo.

 

Note

 

I testi cui si riferisce Pullini riguardo a Bo, Bassani, La Capria e Tomasi di Lampedusa sono le seguenti:

 

Carlo Bo, Letture, in “Gente” settimanale, Milano, Rusconi, n. 4, 27-1-2000.

Giuseppe Bassani, “Un’intervista inedita ( 1991)” in Opere a cura e con un saggio di Roberro Corroneo, “I Meridiani”, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1346-1347.

Raffaele La Capria , Scrittori in maschera, leggete Comisso, “Corriere della Sera”, 6 nov. 1998.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 220.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.