Scrittori dimenticati. Giosuè Borsi e la guerra dei letterati

 

 

Quando, all’indomani dello scoppio della prima guerra mondiale, le regie prefetture d’Italia furono mobiliate dal governo  per tastare il polso delle popolazioni  circa una eventuale entrata in guerra dell’Italia, il risultato del sondaggio fu chiaro, il popolo italiano non voleva una guerra che non capiva, e di cui non sapeva assolutamente niente di niente. Ciò si evince chiaramente e senza ombra di dubbio dalle relazioni dei prefetti al Governo. Cosicché il prefetto di Cosenza poteva scrivere:

 

“Regia Prefettura di Cosenza. R. n. 704. 19 aprile 1915. Il grado limitato di cultura della generalità di queste popolazioni le rende indolenti ed inette a formarsi coscientemente proprie idee ed avere iniziative proprie in ordine a questioni di interesse pubblico, accontentandosi di lasciarsi guidare e di seguire quei pochi che, per un fine o per un altro si assumono d’infondere nelle masse le proprie opinioni e di dirigerne l’azione collettiva” (Brunello Vigezzi).

 

Se al contrario questo sondaggio fosse stato fatto tra i letterati d’Italia, il risultato sarebbe stato l’esatto opposto. I letterati italiani erano tutti (o quasi) per la guerra, pervasi da un fortissimo sentimento patriottico, che aveva la sua matrice nelle terre irredente in mano austriaca.  In realtà la prima guerra mondiale in Italia fu la guerra dei letterati, e moltissimi partirono  volontari e morirono in guerra. Si tratta di una generazione di giovani nati intorno al  1880, pervasi di spirito patriottico fortificato dalla scuola, ma che, in effetti, nulla sapevano della guerra, quella vera, intendo;  che romanticamente era vissuta secondo i miti della guerra  giusta nonché della bella  morte in battaglia.  I letterati vollero la guerra, e molti di essi  caddero in battaglia, e, tra questi,   Giosuè Borsi.

 

Le lettere dal fronte alla madre sono la prova evidente che  Borsi era un giovane intellettualmente onesto, guidato da alti ideali, ma tuttavia inconsapevole dei grandi giochi che le potenze europee avevano innescato dando il via al primo dei più terribili eventi bellici dell’età contemporanea. Tutte le lettere dal fronte dimostrano un’ammirazione sconfinata per l’apparato militare italiano,  e che l’unico scopo della guerra santa era la liberazione  delle terre irredente. Sentiamo Borsi:

 

 

Gli entusiasmi della partenza per la guerra,  e un “baccano da far scappare duecentomila Austriaci”.

 

Bologna, 31 Agosto 1915.

 

Mamma mia,

 

eccoci fermi alla stazione di Bologna per un paio d’ore. Ne approfitto per mandarti un bacio. Siamo partiti da Firenze una cinquantina di diavoli scatenati, furenti d’entusiasmo, tutti bravi ragazzi che faremo il nostro dovere, te lo garantisco. Viva l’Italia! Non s’è fatto che cantare e scherzare tutto il tempo: un baccano da far scappare duecentomila Austriaci. Tutto il treno in rivoluzione. Ora abbiamo un terribile corpo a corpo col caffè e latte e panini imburrati. Mischia accanita. Alle sette e cinquanta sarò a Padova.

 

 

Padova, 31 Agosto 1915.

Cara mamma,

altra fermatina a Padova. Speravo di trovare Ettore, ma è in campagna. Sono a colazione dalla sua mamma, poi vado a Venezia dove mi fermo qualche ora, indi parto per Udine, dove pernotto, e domattina alle sei sono a Cividale del Friuli, che è la mia destinazione. Poi entro in campagna. Evviva l’Italia! Il morale è sempre altissimo, la calma è sempre imperturbabile, la salute sempre eccellente, e cosi spero che sarà di te. Il mio pensiero non ti abbandona un istante. T’abbraccio mille e mille volte.

 

 

1 Settembre 1915.

 

Cara mamma mia,

 

oggi alle tre partiremo di qui nei camions, per raggiungere il nostro reggimento. Dove non te lo posso dire: d’ora innanzi bisognerà che tu ti rassegni a non sapere dove sono precisamente. Ho passato la notte a Udine, come ti dissi ieri, ed ho trovato una trentina d’amici inaspettati: Ojetti, Cippieo e tanti altri, tutti guerrieri. Che città Udine! Tutta gremita di soldati, ufficiali, generali, in mezzo a un movimento vertiginoso di automobili, furgoni, batterie, con gli aeroplani che volteggiano su in cielo. La sera la città è immersa in un buio impenetrabile, e anche gl’interni delle case sono appena illuminati. Il movimento dell’esercito è uno spettacolo maestoso e terribile, e mi sento ricolmo d’orgoglio all’idea che anch’io ho l’onore di far parte di questa splendida e formidabile macchina tutta animata e intelligente.

 

Più ci accostiamo alla linea del fuoco e più sono stupefatto, strabiliato dallo spettacolo della nostra potenza militare. Se tu vedessi gli eserciti di carri, le montagne di rifornimenti, le munizioni, i foraggi! Cavalli possenti trascinano carri ricolmi, per ore ed ore, guidati da soldati grandi e fieri, uno dietro l’altro, senza un momento d’interruzione. Che soldati i nostri! Se tu vedessi che giganti gli alpini e gli artiglieri! Il passaggio d’una batteria è uno spettacolo indimenticabile. Ma quello che è straordinario in tanta animazione è la precisione di tutto, il senso d’unità, di subordinazione d’una cosa all’altra.

 

6 Settembre 1915.

 

La guerra come “epopea”: “Qui si vive e si respira in piena epopea, un’epopea tutta nuova”.

 

Carissima mamma mia,

 

ho intenzione di scriverti una lettera lunga e minuziosa intorno al nostro viaggio per arrivare fin quassù e intorno alla vita che facciamo al campo, ma, bada, per quanto possa scrivere diffusamente non riuscirò mai a descriverti neanche una minima parte di tutto quel che ho veduto e ammirato, poiché il quadro non potrebbe essere più animato e gigantesco di cosi. È difficile farsene un’idea, e difficilissimo poi renderla a parole, specialmente nelle grandi linee che s’intravedono e s’intuiscono dagli episodi.

 

Qui si vive e si respira in piena epopea, un’epopea tutta nuova per la vastità degli spazi in cui si svolge, per la maestosità dei luoghi che ne sono la scena, per l’immane grandiosità dei mezzi impiegati e delle forze che sono in giuoco. E se penso che io ne ho sotto gli occhi appena una minima parte, in uno dei cantucci più appartati e relativamente tranquilli, dove mi trovo soltanto da pochi giorni durante un periodo di sosta e di riposo, s’impadronisce di me un senso di stupore e di vertigine all’idea di tutto quello che non vedo e che non so, e che pure si sta svolgendo su tutti gli altri punti del fronte, dalle cime dello Stelvio fino alle rive adriatiche, e poi di tutto quello che è già stato fatto e che si dovrà ancora fare, in questo immenso giuoco mortale, la cui posta sarà la nostra vittoria. Che spesa titanica di energie, di perseveranza, di pazienza, di coraggio, di sacrifizi cruenti! E bello che un popolo si guadagni cosi la sua gloria.

 

Quello che acquisterà potrà dire che è veramente suo, perché lo avrà pagato col migliore dei riscatti, il suo sangue, e intanto avrà esercitato e sviluppato le sue migliori virtù, la disciplina, l’obbedienza, la generosità, lo spirito di sacrificio e di concordia, la pertinacia, la sana e gagliarda fiducia in se stesso e nelle proprie forze, e soprattutto il sentimento del dovere, questa virtù sovrana e fondamentale, sulla quale si fondano tutte le altre virtù morali e civili, mentre purtroppo è quella che ha fatto maggior difetto sinora alla nostra generazione.

 

Siamo arrivati al Comando di brigata, in un paese che, due giorni dopo il nostro passaggio, è stato bombardato senza nessuna efficacia dalle artiglierie austriache. Mentre si passava attraverso un accampamento di territoriali, abbiamo sentito di lontano i primi rombi delle nostre batterie antiaeree, che stavano sparando contro un aeroplano nemico. Si vedevano su in cielo le nuvolette degli scoppi degli shrapnells, intorno all’apparecchio in fuga. Non è facile far cadere un aeroplano, specialmente quando vola molto alto, eppure anche l’altro ieri i nostri hanno abbattuto un biplano austriaco, che mi ero visto passare sul capo mezz’ora prima.

 

Non si può negare che gli aviatori austriaci son pieni di sangue freddo, d’audacia, e continuano a volteggiare imperterriti anche mentre son presi di mira da tutte le parti, ma però coi nostri non c’è confronto. I nostri hanno degli ardimenti raccapriccianti, volano basso, vanno e vengono, operano e fanno il loro comodo, come se nulla fosse. Inoltre i nostri compiono sempre azioni efficaci militarmente, mentre gli Austriaci tirano a far danni a casaccio e contro i cittadini inermi.

 

L’incontro con Giuseppe Prezzolini: “Due letterati, irritabile genius, e per di più di fé diversi”.

 

Nell’intimità ci amiamo tutti, poiché il più delle volte il non amarci viene dal non conoscerci. Eccoti un bell’esempio caldo caldo: è qui con me, assegnato al medesimo battaglione, Giuseppe Prezzolini. Figurati! Due letterati, irritabile genius, e per di più di fé diversi come Rinaldo e Sacripante, Come ci siamo guardati in cagnesco, prima di conoscerci ! Abbiamo polemizzato con acrimonia, siamo stati avversari inconciliabili persino ante judices. Chi mi avrebbe detto che l’avrei amato come un fratello? Eppure eccoci qua : uno dei più cari momenti della mia giornata è quando vedo la sua figura sparata e intelligente sgambare allegramente tra le capanne del campo, e  posso scambiare con lui un saluto fragoroso.. Uno di noi scende in trincea; non si sa mai quel che possa succedere, ma c’intendiamo senza parlare, e ci scambiamo nel brio una buona stretta di mano più forte del consueto. Si può discutere, senza pigliarci per i capelli, anche di questioni sociali e religiose, che è tutto dire. E vero che egli di capelli ne ha pochi, e quanto a me sono rapato come un ergastolano di Portolongone, ma il miracolo non è perciò meno stupefacente. E come son contento di conoscere meglio il suo spirito penetrante, che vede cosi giusto in tante cose, da cui ho tanto da imparare! E che compagno prezioso! Umore inalterabile, correttezza da gentleman, che risalta maggiormente nella goffa montura da fantaccino che lo infagotta, spirito pratico e pieno d’iniziativa, indole arguta, un camerata impagabile.

 

Vedi un po’ quanto debbo alla guerra. Allorché la mattina del primo settembre, a buon’ora, giungemmo tutti, in comitiva, coi nostri zaini sulle spalle, dal Comando di brigata al Comando di reggimento, mentre aspettavamo di essere assegnati alle varie compagnie e assistevamo ai tiri delle nostre batterie antiaeree contro l’aeroplano austriaco, ai nostro Prezzolini giunse un dispaccio. Lo aperse con ansia. Era il telegramma che gli annunziava la nascita d’un bambino. Ebbene, quando egli ci lesse con fierezza commossa le parole con cui il suo piccolo Giuliano gì ‘inviava il suo primo bacio, è impossibile dire che festa intima e cara e affettuosa fu per il cuore fraterno di tutti noi, e come amammo subito di lontano quella creaturina nuova, quel nuovo piccolo cittadino d’ Italia che nasceva con auspici cosi fausti ed era destinato a vivere in una Italia più grande, più forte e più gloriosa, al cui splendido avvenire ci accingevamo a lavorare un pochino anche noialtri tutti.

 

Per andare al Comando del reggimento, e di là, per giungere finalmente a destinazione, in prima linea, percorremmo poi non più le retrovie, ma una zona non meno importante, quella dei posti avanzati, dove si sviluppa tutto il servizio di sicurezza e di collegamento, le estreme propaggini, come gli ultimi tentacoli vigili armati e minacciosi del nostro esercito in guerra. Quivi sono sparse le pattuglie e le vedette, che fanno di tutti i nostri corpi d’armata, distesi lungo il fronte a contatto col nemico, come un unico immenso organismo animato, sensibile, attento, intelligente, coi tramiti pronti a trasmettere gli allarmi, i messaggi, i comandi. Quivi sono anche le zone dalle grandi artiglierie, le voci fragorose e tonanti della guerra, e tutto questo appena visibile, dissimulato nell’ intreccio capriccioso delle vie mulattiere, tra i dorsi verdi dei monti, nei ciuffi di piante. Un grande pezzo si scorge appena quando siamo a due passi. Tutto quel che si vede sono pochi soldati immobili, quasi dispersi qua e là a caso. La guerra sembra lontanissima, quando vi siamo in mezzo. La regione dove più ferve appare immersa nella più ampia tranquillità.

 

A presto il seguito, cioè le cose più interessanti. Abbiti un lungo bacio, cara mamma, e sta’ di buon animo. E ricordami a tutti gli amici.

Tuo

Giosuè.

 

“I cannoneggiamenti sembrano feste pirotecniche lontane”.

 

In questi giorni stiamo facendo una vita cosi pacifica, oziosa e piacevole, che quasi mi vergogno d’essere cosi poco soldato, mentre negli altri punti del fronte si combatte e si muore. Non faccio che passeggiare, leggere, mangiare, cantare, scherzare e dormire. Giornate piene di sole, notti stellate e magnifiche, la vita del campo piena d’animazione e di gaiezza, i nostri attendenti, pieni di premure, che ci offrono frutta eccellenti e fiori, e ogni giorno hanno una trovata ingegnosa per abbellire e rendere più comoda la nostra capanna. I cannoneggiamenti sembrano feste pirotecniche lontane, abbiamo spettacoli d’aviazione e gare a tutte le ore, un po’ di tiro a bersaglio, di notte raggi e riflettori.

 

E’ questa è la guerra ?

 

La potenza dell’artiglieria italiana: “I nemici si vedono scagliati in aria come fuscelli”.

 

24 Ottobre 1915.

 

Mia cara mamma

 

da quando son tornato in prima linea e mi trovo in piena avanzata, passo di meraviglia in meraviglia, vedendo come combatte l’esercito italiano, con che energia, con che pazienza, con che tenacia, con che slancio e soprattutto con che formidabile efficacia. T’ho, già accennato ai prodigi delle nostre artiglierie, ma è impossibile darti un’idea della loro potenza titanica e della loro precisione inesorabile. Un nostro bombardamento è uno spettacolo indimenticabile, e dà l’idea d’un cataclisma. Le trincee avversarie sono ridotte a mucchi di macerie informi, e i nemici si vedono scagliati in aria come fuscelli. Anche i nostri aviatori sono d’un’ audacia e d’una bravura da far fremere. Gli Austriaci al confronto fanno una ben triste figura. Tirano male, non colgono il segno, i loro proiettili non iscoppiano quasi mai. Ieri l’altro hanno tirato più di cinquanta granate per arrivare a ferire leggermente due dei nostri soldati.

 

 

28 Ottobre 1915.

 

Mamma adorata,

 

per tutto ieri l’azione si risolse in quattro violentissimi controattacchi dei nostri avversari, che non ci fecero perdere nemmeno un palmo di terreno. Gli Austriaci, per quanto aiutati dalle posizioni favorevolissime delle loro artiglierie, furono respinti con perdite enormi, un vero macello, senza contare un gran numero di prigionieri, in gran parte arresi spontaneamente, tra cui vari ufficiali e, credo, un maggiore ferito. Dico credo, perché t’assicuro che non è facile raccapezzarsi. Ieri dunque, cara mamma, abbiamo avuto un’altra giornata propizia. Oggi sarà, se non accadono casi imprevisti, il giorno dell’azione risolutiva. Poi, con più calma, ti scriverò a lungo, raccontandoti tutti i particolari di questa battaglia. Ve ne sono di tutti i generi: sublimi, raccapriccianti, dolorosi, allegri e persino burleschi, l’epopea accanto alla farsa. Ho imparato più qui in poche ore che in dieci anni di vita e d’esperienza.

 

Eccoti un bell’abbraccio in tutta fretta.

 

Sta’ tranquilla e serena, come sempre, perché vinceremo. Viva l’Italia! Viva la libertà.

 

 

Giosuè Borsi, nato a Livorno nel 1888, fine letterato, e detto Giosuè per essere stato tenuto a battesimo da Giosue Carducci, morì in battaglia nel 1915, nel corso di un combattimento a Zagora. A quanto si dice, nulla fu trovato del suo corpo. La guerra l’aveva dissolto.

 

“E’ questa è la guerra?”. Sì!

 

Fonti:

 

Giosuè Borsi, Lettere dal fronte (Agosto Novembre 1915), Torino, Libreria Editrice Internazionale, Catania-Parma (1916), pp. 3-12, 17-18, 112-113.

 

Per le indagini svolte dalle Regie Prefetture, cfr. Brunello Vigezzi, Da Giolitti a Salandra, Firenze, Vallecchi, 1969, p. 393.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.