Geografia politica e conflitti

Conflitti

Da alcuni anni a questa parte, lo svilupparsi della globalizzazione e la nascita di un mondo sicuramente più rapido negli spostamenti, ha fatto nascere la necessità, anche per il comune cittadino, di disporre di agili strumenti di conoscenza e, per così dire, di controllo dei fatti internazionali. Certamente affrontare temi così complessi potrebbe far pensare alla necessità di strumenti altrettanto complessi. Ciò è vero, ma solo in parte. Esistono, a mezza strada, delle opportunità di conoscenza meno specialistiche, ma altrettanto importanti, e, oggi, direi fondamentali. Questi strumenti sono nati da una costola delle geografia generale, intendendo con ciò fare riferimento alla «geografia politica».

L’importanza di questa disciplina è notevole, se si pensa che essa tende a stabilire concetti teorici basilari circa il possibile «comportamento umano» data una particolare situazione geografica. Questa serie di articoli vuole semplicemente dare ai lettori gli strumenti di conoscenza essenziali per orientarsi sui grandi problemi internazionali. Il primo approccio ai temi delle relazioni internazionali affronta una questione che sta a cuore a tutti, ovvero il problema della pace, e le ragioni teoriche dello scaturire dei conflitti internazionali.

Conflitti

A rigore di logica e in base alle esperienze del passato e degli eventi in atto, si può affermare che, se pure a livello puramente teorico un conflitto internazionale non è mai del tutto inevitabile, esso è però sempre possibile. La presenza di entità nazionali, non ancora superate dall’evoluzione politica in essere in organismi super-nazionali, rimanda inevitabilmente al fatto che, ancora oggi, l’interesse nazionale gioca un ruolo di primo piano nella nascita di eventuali tensioni fra Stati. Nell’età moderna, a garantire una pace seppur precaria e sempre minacciata era invalso il così detto «principio dell’equilibrio», teso a vanificare gli sforzi espansionistici di Stati particolarmente attrezzati sotto il profilo economico e militare.

La storia delle «alleanze» di cui è ricca la casistica europea sta lì a dimostrare che esse nascevano dal presupposto che vi era un vicino potente e minaccioso, in grado di mettere in crisi la sovranità nazionale di Stati meno potenti; in questo senso, basterà ripensare alle poderose alleanze nate in epoca napoleonica a contrastare le tensioni espansionistiche della Francia; o, più vicino a noi, le alleanze nate in prospettiva antitedesca prima del secondo conflitto mondiale, oppure, ancora, i potenti blocchi occidentali e comunisti affacciatisi alla ribalta della storia negli anni dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo della così detta «guerra fredda». In base alle considerazioni sin qui svolte, si può affermare che la politica delle forti alleanze ha contribuito a mantenere nel mondo occidentale un periodo molto lungo di pace, anche perché lo stato guida tende a operare un sostanziale controllo sui propri alleati, cercando di smussare gli angoli allorché, fra alcuni paesi alleati, dovessero sorgere tensioni di varia natura.

Al contrario, la crisi delle alleanze crea uno stato di squilibrio e spesso, come è accaduto negli anni recenti con il dissolversi dell’alleanza che faceva capo alla Russia, il riproporsi di tensioni fra Stati e la nascita di conflitti locali difficili da sedare: vedi gli esempi della Iugoslavia e le conseguenze dei problematici rapporti di alcuni Paesi prima alleati, spesso sfociati anche in locali conflitti armati, con l’ex stato guida. Alla luce degli eventi recenti, sembra quindi corretto rilevare, sia pure in modo empirico, che la presenza di forti alleanze crea uno «status» di pace internazionale, mentre la loro assenza prelude spesso allo scoppio di conflitti destabilizzanti per la pace locale e mondiale. La pratica dell’alleanza non è però un dato generalizzato nel mondo, di ieri come di oggi: esistono infatti Paesi «neutrali» o comunque «non allineati» rispetto ai grandi blocchi di alleanze vigenti.

Nel caso della neutralità di uno Stato rispetto alle grandi alleanze, occorre anzitutto individuare il senso e la natura di simile neutralità, e se essa alla fine è produttiva oppure no per i Paesi che la perseguono. In linea di massima si può affermare che la neutralità degli Stati che l’hanno voluta è stata negli anni «relativamente» rispettata, anche se non mancano eccezioni di un certo rilievo storico. La neutralità svizzera e svedese, fino a questo momento, ha avuto fortuna e non è stata mai incrinata. Però, c’è da osservare che la neutralità è comunque un elemento sempre a rischio, in quanto essa può essere accettata e rispettata a seconda delle convenienze e delle congiunture, ma non è detto che sia sempre e comunque esente da pericoli improvvisi. In questo senso, il caso del Belgio, neutrale, ma comunque invaso dai tedeschi nella prima guerra mondiale, è emblematico del fatto che neppure la neutralità può garantire l’assenza di conflitti sul proprio territorio e il conseguente coinvolgimento nei conflitti internazionali.

 

Note

Si danno qui alcune indicazioni bibliografiche di approfondimento, in italiano e inglese, rispetto ai temi qui rapidamente trattati. Si tratta di testi che, nonostante siano stati redatti in tempi più o meno recenti, affrontano però in modo estremamente approfondito le questioni, e quindi possono a tutti gli effetti essere considerati dei veri e propri «classici» nel loro genere.
1) J. P. Cole, “Geografia delle relazioni internazionali”, Bologna, Cappelli, 1970.
2) E. Bonjour, “Swiss neutrality”, London, Allen and Unwin, 1946.
3) A. Malamid, “The economic geography of neutral territories”, in “Geographical Rewiew”, XLIII, 1953, pp. 194-206.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.