Filologia Latina (storia)

filologia latina

 

 

 

 

 

 

Secondo la tradizione svetoniana  il primo che introdusse gli studi grammaticali a Roma fu nel II secolo il filosofo stoico Cratete, vero e proprio precursore degli studi filologi latini: “primus”, secondo Svetonio (De gramm. et rhet., 2) che “ studium grammaticae in urbem intulit”. Piuttosto singolare fu il modo con cui Cratete introdusse a Roma la passione per le dispute linguistiche: venuto a Roma al tempo di Ennio, durante il suo soggiorno si ruppe una gamba. Per occupare il tempo nel corso della convalescenza si diede a tenere pubbliche conferenze su varie questioni linguistiche e  grammaticali, quali origine del linguaggio, etimologia, somiglianze tra le lingue, che in quel periodo appassionavano gli appartenenti alla scuola pergamena, suscitando anche fra il pubblico romano vasto interesse. In effetti di filologia sia pure in senso largo si può parlare dopo la morte di Ennio (169 a. C.), e, appunto, la permanenza a Roma di Cratete, esponente della scuola ellenistica di Pergamo, regno annesso a Roma come provincia di Asia, e fortemente indirizzata, come si è notato, versi gli studi grammaticali e altamente speculativi sul linguaggio, la sua nascita e i suoi sviluppi, improntati all’ “anomalia”, per cui le lingue hanno mutamenti spontanei, irregolari, irrazionali, che non seguono regole. In ciò contrapponendosi alla scuola di Alessandria, che al contrario seguiva l’ “analogia”, ovvero la sostanziale regolarità dello sviluppo delle lingue.

 

E’ da rilevare che il seme gettato da Cratete cadde su un fertile terreno: l’attenzione degli scrittori romani verso i fenomeni della lingua  germogliva a Roma già ai tempi di Ennio, che amava definirsi “studiosus dicti”, che potremmo tradurre, forse, con “amante della parola” (ma su questa definizione c’è stata aspra diatriba tra gli studiosi) , e successivamente di Accio. Accio, per esempio, propose una riforma dell’ortografia che contò anche alcuni sostenitori, e che prevedeva tra l’altro di distinguere le vocali lunghe dalle brevi raddoppiando le prime. Tradizionalmente le opere di Accio vanno sotto il nome di “Parerga”, opera complessiva che comprende i “Didascalicon libri”, che trattano di poesia e drammatica greca e latina; e i “Pragmaticon libri”, opera di storia della letteratura. Da menzionare è anche il grammatico Ottavio Lampadione, che dopo la morte di Nevio curò un’edizione del “Bellum Poenicum”, dividendolo  in sette libri. E accanto al suo nome si possono citare Porcio Licino, Volcacio Sedigito e Q. Vargunteio, commentatore degli “Annales” di Ennio.

Sicuramente, la filologia latina dei tempi arcaici conobbe il suo più illustre esponente in Elio Stilone, maestro, secondo la tradizione, dei più noti Varrone e Cicerone. I suoi studi letterari attesero alla commedia plautina,  all’etimologia, e, a quanto sembra, partecipò alle dispute circa la regolarità o irregolarità del linguaggio, che si tradusse in una divisione tra i sostenitori  dell’analogia o dell’anomalia. La sua opera fu successivamente proseguita da Varrone, del quale ci sono giunti scarsi frammenti, ma che sappiamo aver posto mano a opere straordinarie per vastità e dottrina: oltre settanta  divise in 620 libri. Tralasciando quelle di erudizione storica, e soffermandoci a un rapido elenco degli studi letterari varroniani, citiamo il “De bibliothecis” in tre libri, il “De proprietate scriptorum”, sui caratteri dei vari scrittori; il“De poematis”, che analizza i generi letterari; il “De poetis”, abbozzo di una storia della letteratura latina. E questi sono soltanto alcuni studi; e da non dimenticare sono anche i nove libri delle “Disciplinae”, in cui trattava di grammatica, dialettica retorica, geometria, ecc. Di queste opere varroniane sappiamo solo i titoli. I pochi frammenti giunti sino a noi, estremamente lacunosi, sono i libri del “De lingua latina” (25), in cui Varrone tratta di etimologia, flessione, analogia e anomalia del linguaggio, storia della lingua latina. Accanto a Varrone, su un livello di minore erudizione, agirono al suo tempo altri filologi illustri: Aurelio Opilio, Antonio Grifo, Santra, Orbilio Pupillo, Nigidio Figulo, che secondo Cicerone, amava le questioni complicate e involute, e che fu autore di un’opera di filologia in 29 libri, i “Commentarii grammatici”, in cui, tra le altre cose, secondo la testimonianza di Gellio (130-175 d. C.)(10,4),scrittore asistematico, interessato anche a questioni filologiche e linguistiche, sosteneva che il linguaggio aveva un’origine naturale e non convenzionale.

 

Nell’età di Augusto emerge nel campo degli studi filologici Verrio Flacco, noto anche per le sue qualità di maestro, attività che svolse a Roma, e che poi continuò come precettore con i due nipoti di Augusto. Il nome di Verrio Flacco è legato alla compilazione di una sorta di vocabolario, diviso in un numero imprecisato di “Libri de verborum significatu”, in cui alfabeticamente spiegava termini in disuso o poco noti relativi a filologia, letteratura, archeologia, diritto, ecc. Di quest’opera monumentale di Verrio Flacco ci sono rimasti solo scarni compendi, uno del IV secolo, ad opera di Pompeo Festo, che ne fece un estratto in 29 libri; e uno, ancor più scarno, dovuto alla penna di Paolo Diacono. Accanto a Verrio si può ancora ricordare Iulius Hyginus (Giulio Igino), liberto di Augusto, esponente della scuola di Alessandria, fortemente contrastante con la scuola di Pergamo, e attirata verso argomenti meno legati alla linguistica pura, come del resto attestano i due manuali di Igino, di cui possediamo il testo non originale, ma manipolato in età più tarde: le “Fabulae” e il “De Astronomia”, di carattere rispettivamente mitologico e astronomico.

Nell’età imperiale, sotto Caligola e Nerone, un’attività molto importante di critica testuale ci è fornita da Probo, di Berito, ovvero Beyrut, che si esercitò sui testi di Virgilio, Lucrezio, Orazio e altri, offrendo edizioni apprezzate sino ai giorni nostri. Il lavoro precipuo di Probo era di procurare testi molto corretti: di qui  l’emendazione scrupolosa e puntuale degli errori testuali, lo scrupolo nell’inserire la corretta interpunzione e i tentativi di sanare punti guasti o incomprensibili. L’attenzione di Probo alla correttezza testuale è proverbiale; si narra che fosse riuscito a procurarsi per la pubblicazione un testo corretto dallo stesso Virgilio. Legata al nome di Virgilio è sorta una questione riguardo alla dubbia autenticità della “Vita” virgiliana di Probo, da taluni ritenuta autentica, da altri attribuita a uno “pseudoprobo”, che Castorina, dopo un’ampia e dettagliata analisi delle fonti, identifica nel grammatico Servio Varo, autore di un famoso commento dell’ “Eneide” (ma su tutta la complessa questione cfr. Paladini-Castorina, “Storia della letteratura latina”, Bologna, Patron, 1972, vol. II, pp. 126 sgg). Commenti linguistici e storici alle orazioni di Cicerone ci sono tramandati da Asconio Pediano, di Padova, famoso soprattutto per il secondo aspetto dei suoi commenti.

Nell’età dei Flavii, un nome che occupa un posto di notevole rilievo nella filologia latina è quello, notissimo, di Quintiliano, che nella sua “Institutio Oratoria”, si occupa non soltanto di retorica, ma sia pure saltuariamente anche di grammatica.

Di non minore rilievo è la figura di Svetonio, che agli studi storici accompagnò quelli grammaticali, come testimonia il “De viris illustribus”, nel quale oltre 25 libri, sui 36 complessivi dell’opera, sono dedicati a grammatici, retori, poeti e oratori: “De grammaticis et rhetoribus”.  Con Svetonio si conclude la storia della grande filologia antica; a partire dal II secolo d.C. si contano a decine grammatici, retori e soprattutto commentatori scarsamente significativi. Del IV secolo sono però due grandi figure di filologi ai quali si è praticamente rifatto tutto il Medioevo: Donato e Servio. A Donato si devono poderosi commenti di Terenzio e Virgilio, e opere grammaticali, “Ars maior” e “Ars minor”, pensate per la scuola. Servio lega il suo nome ai commenti delle opere virgiliane, e fu autore probabile, come si è detto, di una “Vita” di Virgilio erroneamente attribuita a Probo. La filologia cristiana conta alcuni nomi di particolare rilievo:  Gerolamo, famoso per la versione latina della Bibbia, la nota “Vulgata”, la cui edizione poi costituirà il testo base della Chiesa per secoli: “monumento insigne di perizia filologica” (Rostagni); Filone e Origene, con i quali inizierà l’interpretazione allegorica dei testi sacri. La doppia lettura dei testi, letterale e allegorica, avrà notevole fortuna lungo tutto il Medioevo fino a Dante. I conclusione di questa rapida rassegna, si ricorda il nome di Marziano Capella, autore delle “Nozze di Mercurio con la Filologia” ( “ De nuptiis Mercuri et Philologiae”), con quest’ultima innalzata al rango di una vera e propria dea.

Oggi la filologia latina, che ovviamente si muove, per metodo e indirizzo, nel grande alveo della filologia classica, si occupa con acribia, oltre che dell’edizione dei testi latini, anche di notevoli problemi di attribuzione che si attagliano un po’ a tutta la tradizione letteraria antica. Un ampio panorama dei problemi filologici che a tutt’oggi affaticano la critica sulla letteratura antica in lingua latina è costituito dal vol. II, “Problemi critici”, della già citata “Storia della letteratura latina” di  Paladini – Castorina, che si occupa con notevole larghezza di informazione di tutti i problemi dati dalla tradizione: tradizione manoscritta, problemi di Attribuzione, problemi storici e letterari, metrici. Per quanto riguarda la filologia classica in generale e la filologia latina in particolare, si consiglia un testo di facile reperibilità come quello di J. Kramer-B.Kramer, “La Filologia classica”, Bologna, Zanichelli, 1979. Per i problemi strettamente filologici riguardanti l’edizione dei testi latini, V. il capitolo “La critica del testo”, in A. Traina-G.Bernardi Perini, “Propedeutica al latino universitario”, Bologna, Patron, 1972, pp. 243-291. Il capitolo, l’VIII, si sofferma sui problemi della recensione e del restauro dei testi, sul problema del cosiddetto manoscritto “originale”, sul tema dei copisti e dell’errore di copiatura (pp.246-251); sui problemi della perdita del patrimonio letterario latino (cause distruttive, passaggi dal papiro al codice, mutamenti di scrittura, ecc). Inoltre è data ampia informazione dell’evoluzione dei metodi della filologia classica dalle origini, attraverso l’Ottocento sino agli sviluppi ultimi della disciplina. Ampie notizie sui filologi antichi in lingua latina e ottima bibliografia si possono trovare in due opere datate, ma che sono dei veri classici della storia letteraria latina: Augusto Rostagni, “Letteratura latina”, Verona, Mondadori, 1976; e il meno reperibile, ma ugualmente ben strutturato e ricco di informazioni, Carlo Giussani, “Letteratura romana”, Milano, Vallardi, 1899.

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.