L’ “Octavia”e la “Culpa Senecae”

Teatro di Seneca

 

 

 

 

 

 

L’espressione “Culpa Senecae”, croce e disperazione degli esegeti dell’ ”Octavia” ( tragedia attribuita in genere a Seneca),  è stata nei secoli oggetto di interminabili discussioni, anche perché essa si lega ad uno dei problemi filologici più interessanti  che riguardano la paternità dell’ “Octavia”: questa tragedia è di Seneca oppure no?  Il campo degli studi è da secoli diviso tra quanti vogliono attribuire l’ “Octavia” ad un epigono di Seneca,  e invece chi vorrebbe che la famosa tragedia fosse effettivamente scaturita dalla penna di Seneca stesso.  Tra i “negazionisti” più agguerriti  della paternità di Seneca, annovererei in modo particolare il prof. Vater, che  ancora agli inizi della seconda  metà dell’Ottocento , scrivendo da Kasani, nel settembre del 1852,   ci lasciò uno studio attento e rigoroso sul tema in questione, con un commento tutto scritto in latino, come volevano le regole del tempo.

Il professor  Vater,  nel 1852,  spese dunque molta scienza e parecchie energie per dimostrare che l’ “Octavia” NON  è una tragedia di Seneca  (1), e  passò in rassegna “tutti” (nessuno escluso) i problemi critici relativi alla presunta  tragedia di Seneca  con un’acribia che è davvero degna di molta ammirazione nonché di lode. Il prof.  Vater comunque  non attribuì l’ “Octavia” né a Seneca né a Curiazio Materno, e neanche a Lucio Annio, che godette di gran fama, e a cui il Lange aveva attribuito  la tragedia. Il prof. Vater  tuttavia non era d’accordo, perché, secondo la testimonianza di A. Vittore, Lucio Annio fu sì studioso di tragedie (“studiosum fuisse”),  ma non uno scrittore di tragedie, “nondum fidem  facit […] tragoediam etiam scripsisse” (“Non gli risultava che egli avesse scritto tragedie”).

E così siamo ancora al punto di partenza.

C’è poi da considerare il “vaticinio” della morte di Nerone. Come poteva Seneca, “già morto”, vaticinare la  morte di Nerone? In effetti, nell’ “Octavia” c’è l’intervento di Agrippina,  che profetizza per Nerone la morte: “ Ultrix Erynys impio dignum parat/ letum tyranno verbera et turpem fugam”. La “profezia” di Agrippina dice cose realmente accadute, le “frustate” e poi la “turpem fugam” di Nerone e la sua conseguente fine. Al che Vater nota: “Et somnium Poppaeae doceat accurate cognitum habuisse auctorem quomodo Nero perierit” ( il sogno di Poppea dimostra come l’autore della tragedia possedesse un’accurata cognizione del modo in cui Nerone perì)  ( Vater, p. 600). Già. Come faceva l’autore della tragedia a sapere in modo così accurato come sarebbe morto Nerone? E’ evidente, sentenziò il prof. Vater,   che i riferimenti non possono essere attribuiti a Seneca, ma ad un autore posteriore,  un “imitator Senecae”,  che, tuttavia, rimaneva sconosciuto.

Ovviamente, il prof. Vater, si soffermò a lungo anche su un “topos” assolutamente ineludibile nella secolare disputa “Seneca sì-Seneca no”, cioè a dire sul famoso verso: “et culpa Senecae”,  che interviene in un siffatto contesto. La nutrice si rivolge a Poppea in questi termini:

“Cur genae fletu madent?/ Certe petitus precibus et votis dies/  nostris refulsit.  Caesari iuncta es tuo/ taeda iugali,quem tuus cepit decor/  et culpa Senecae,  tradidit vinctum tibi/  genetrix Amoris, maximum numen, Venus ». Tradotto, il passo della tragedia suona più o meno così :

“Perché tante lacrime solcano il tuo volto? I nostri voti e le nostre preghiere sono state ampiamente esauditi. Sei la sposa legittima di Cesare, che colse il tuo fiore, “et culpa Senecae”, e ciò ‘per colpa’ di Seneca, per cui Venere ti congiunse con il Dio di Roma”.

Ora, se interpretiamo “culpa” in senso stretto, l’intero passo fa a pugni non tanto con la storia, quanto con la logica. E su ciò insistette sagacemente il prof. Vater.  Perché la nutrice, che Vater definisce  “petulantissimam famulam Poppeae”, dopo aver detto che le cose erano andate a gonfie vele, avrebbe dato la “colpa” di tutto ciò  a Seneca? La cosa non sta in piedi dal punto di vista logico, ed infatti il Prof. Vater sottolineò: “ Nam si Seneca, vel invitus nuptiae Poppeae adiuverat, non culpa sed potius beneficium videri debebat nutrici Poppeae” ( Infatti, se Seneca, sia pure a malincuore [invitus], favorì le nozze di Poppea, la nutrice avrebbe dovuto parlare di un “beneficio” di Seneca, anziché d’una sua presunta  “colpa”],  (p. 567) “Non vituperatura erat nutrix sed laudatura praeceptorem Neronis” [ La nutrice avrebbe dovuto lodare, non vituperare il precettore di Nerone].

E non gli si può dare torto.  Tra l’altro il prof. Vater prese anche in giusta considerazione alcune “varianti” del testo, congetturate da vari editori, ma le soluzioni non risultarono, per un verso o per l’altro, di suo gradimento. E’ anche da dire che, neppure altri editori , succedutesi numerose dal tempo del prof. Vater in poi, gradirono appieno le varie “divinazioni” congetturate. Infatti, “culpa” fu variamente emendata con “culta”, ed altre ingegnose soluzioni, che gli studiosi dell’ “Octavia” conoscono molto bene, e sulle quali non è il caso di insistere.

Se il prof Vater era un “negazionista” super-convinto, dall’altro, l’altrettanto illustre prof. A. Stanley Pease, era invece un fervente assertore della paternità di Seneca riguardo l’ “Octavia”, ed era estremamente riluttante ad assegnare la tragedia ad un qualsiasi “poetaster” [=poeta da strapazzo]. Il contestato passo del “culpa Senecae” è letteralmente “ sbriciolato” dal prof.  A. Stanley Pease, che, senza tanti complimenti, passa sopra tutto e tutti, e se la sbriga in quattro parole:

“Another objection raised  is that in line 696 […] The phrase there used is (695-96): ‘et culpa Senecae (senecte)’. But this reading has been very generally considered as corrupt and obelized or emended”. [Un’altra obiezione  è quella relativa  al verso 696, ‘et culpa Senecae (senecte)’. Ma questa lettura è stata generalmente considerata  corrotta, spuria o emendata]” (2).

Come si vede, di fronte ad una tradizione testuale fastidiosa ed “ingombrante” il rimedio invocato è uno e soltanto uno: l’ “emendatio” del testo, perché il passo  risulterebbe corrotto oppure spurio.  In realtà, “meno” si interviene, talvolta  con eccessivo accanimento terapeutico,  sul testo tràdito e meglio è, per tutti. Supponiamo invece (per assurdo?) che il testo tràdito sia corretto. Dando per scontata la cosa, il problema è essenzialmente  quello di stabilire il “senso” da dare al termine  “culpa”, che, se interpretato in “senso letterale”, darebbe un  risultato del tutto inaccettabile. Tuttavia la parola “culpa” possiede in latino diverse sfumature, per cui, se interpretata in un certo modo, potremmo conseguire risultati molto diversi. Se “culpa”, per esempio,  dovesse essere interpretata nel senso con cui essa fu usata  da Orazio,  le cose cambierebbero radicalmente. Orazio infatti usò  “culpa” come sinonimo di “negligenza”. In questo senso, il famoso passo andrebbe pertanto  interpretato in questo modo:

“Tu sei riuscita a incastrare Nerone “et culpa Senecae”, cioè a dire, anche e soprattutto grazie alla “negligenza” di Seneca, che  non sorvegliò il suo pupillo (=Nerone) a dovere”.

Diciamo che Seneca, se fosse  stato l’autore dell’ “Octavia” avrebbe potuto accettare,  onestamente, di  “autoaccusarsi” di “negligenza”, ma certamente  NON  di “connivenza” con i piani di Poppea.  Tra l’altro, “Nel linguaggio giuridico “culpa indica la  ‘negligenza’ ( ThIL, 4 1301, 54 sgg.) e si contrappone al ‘dolus malus’: cfr.Procl., dig. 18, I, 68; ‘vitium’ invece, designa l’intenzionalità di agire in modo disonesto” (3). Se tutto ciò possiede un qualche fondamento esegetico, è evidente che l’ “Octavia” potrebbe essere “restituita” a Seneca,  ma purtroppo  esistono, come abbiamo visto,  altri e più gravi ostacoli a tale “restitutio”.  Tuttavia, se questa interpretazione possiede un qualche fondamento,  è da pensare che l’autore dell’ “Octavia”, pur non essendo Seneca, doveva essere NON OSTILE  nei suoi confronti (4) .  L’uso di “culpa” al posto di altri termini con connotazioni più negative (“vitium”)  fanno pertanto pensare a una “benevola” disposizione d’animo nei confronti di Seneca.

Ora, gli studi più recenti hanno dimostrato con un buon margine di certezza che l’autore post-senechiano dell’ “Octavia” potrebbe essere Pomponius Secundus, in grande familiarità con Seneca (5). Il  non mai abbastanza lodato Conrad Cichorius ci ha lasciato un saggio illuminante sui rapporti “di lavoro” esistiti tra Seneca e Pomponius Secundus. Egli infatti ricordò un passo di Quintiliano in cui i due discutevano animatamente intorno alla prefazione delle tragedie. Cichorius osservò che un importante e ancora non adeguatamente compreso passo su Pomponius Secundus   e i suoi rapporti con Seneca ce l’offre Quintiliano (VIII 3, 31), il quale scrisse:  “Memini iuvenis admodum inter Pomponium ac Senecam etiam praefationibus tractatum,an ‘gradus eliminat’ in tragoedia dici oportuisset” [Mi ricordo che quand’ ero  giovane sentii una discussione   tra Pomponio e Seneca, relativa alle ‘prefazioni’ e  se fosse lecito dire  in una tragedia “esce di scena”] (6).

Così, continuava Cichorius, sembra fosse esistita  una disparità d’opinione tra i due tragediografi,  Pomponius e Seneca,  sull’ammissibilità del termine “gradus eliminat” [esce di scena] nella  tragedia. Tale discussione tra Pomponius Secundus e Seneca sembra sia avvenuta intorno al ’50-’51 d. C. Ma, al di là della datazione, fatto sicuramente interessante di per sé, c’è da considerare  soprattutto che i rapporti interpersonali tra Seneca e Pomponius Secundus parlano molto di più di tante discussioni. I due erano amici e, addirittura, “colleghi” di lavoro, che, a suo tempo, avevano discusso insieme non tanto di fatti generici, ma sulla “tragedia” e  su come essa dovesse essere scritta. Il fatto   può ampiamente spiegare la “benevolenza” che potrebbe registrarsi nell’ “Octavia”  nei confronti di Seneca, il cui unico errore fu in pratica soltanto una negligenza “ in vigilando”, direbbero i giuristi.

La “culpa” di Seneca si rivelò più tardi particolarmente gravida di nefaste conseguenze, ma resta il fatto che questo termine non implica l’idea di una “connivenza” con i piani per sedurre Nerone. Il che non è poca cosa, almeno dal punto di vista eminentemente filologico, perché quella “culpa”, se non restituisce appieno l’ “Octavia” a Seneca, almeno l’affida nelle mani di un suo “contubernalis”, che non era per niente un “poetaster”, per dirla con il prof. A. Stanley Pease, ma un poeta degno di considerazione con cui Seneca, a suo tempo, ebbe, e per fortuna, un’accanita discussione sulla struttura delle tragedie. L’ “Octavia”, quasi sicuramente,  NON è di Seneca, però gli è molto vicina, e Seneca ne potrebbe essere “comunque” considerato il “pater” e, forse, chissa!, addirittura  l’ispiratore, se teniamo conto del fatto che Seneca, nel “De Ira”, fece molto spesso menzione della “culpa”, che egli però interpretò sempre con estrema indulgenza:

“Si volumus aequi rerum omnium iudices esse, hoc primum nobis persuadeamus, neminem nostrum esse sine culpa” [ Se vogliamo essere giudici equanimi, dobbiamo renderci conto che nessuno di noi e senza colpa” (De Ira, II, 28, 1).

Seneca “dixit”, e, forse,  Pomponius Secundus si ricordò, a tempo debito, della giudiziosa  sentenza del suo vecchio amico e “contubernalis” con cui ebbe una “conversiuncula”, captata quasi di straforo dall’allora giovane Quintiliano, in un giorno qualsiasi dell’inizio degli anni ’50 “Post Christum Natum”.

 

Enzo Sardellaro

 

 

 

Note

 

1)         F. Vater, “Miscellaneorun criticorum fasciculus quintus”, in “ Neue Jahbücher  für Philologie und Paedagogik”  in “Archiv für Philologie und Paedagogik”, Leipzig, 1853, pp. 565-618.

2)         A. Stanley Pease, “Is The Octavia a Play of Seneca?”, in “The Classical Journal”, April, 1920, 15,  p. 396.

3)         Q. Orazio Flacco. introduzione generale di Francesco Della Corte ; le satire: testo critico di Paolo Fedeli ; traduzione di Carlo Carena,  Roma,  Istituto poligrafico e Zecca dello Stato-Libreria dello Stato , 1994, Vol. II,   p. 701. Cfr . anche, “ ‘Etsi aliqua culpa tenemur erroris humani a scelere certe liberati sumus and Ovid  (Trist. 1, 23): ‘Et culpam in facto non scelus esse meo’. Hence ‘culpa’ is used as a general expression for every kind of fault and especially for a fault of the lighter sort as ‘delictum’ ” [ Un diverso tipo di colpa è quella riferita al  concetto  di puro e semplice “errore umano”. Come in Ovidio (Trist. IV,  123): ‘ Et culpam in facto non scelus esse meo’ [La mia fu una semplice colpa non un delitto]. Da qui “culpa” fu usata come espressione generale per ogni tipo di errore e soprattutto per un errore più lieve del  “delictum”] (    Cfr.  L. von Doederlein-H. Hamilton Arnold, “Hand-book of Latin synonymes”,  London, 1841,  p. 50).

4)         Secondo I. Ramella, l’ “Octavia” fu sicuramente scritta da un “ammiratore di Seneca, dal punto di vista sia letterario sia filosofico”. Cfr. I. Ramella, “Ipotesi sulla datazione e sull’attribuzione dell’ ‘Octavia’”, in “Pervertere.  Ästhetik der Verkehrung. Literatur und Kultur neronischer Zeit und ihre Rezeption”, a cura di  L. Castagna-Gregor Vogt-Spira, München-Leipzig, 2002,  p. 75.

5)         A. Galimberti – I. Ramella, “L’Octavia e il suo autore: P. Pomponio Secondo?”, in «Aevum»,  75 (2001), pp. 79-99.

6)         Conrad Cichorius, “Untersuchungen zu Pomponius Secundus”, in  “Romische Studien”, Leipzig-Berlin, 1922, p. 426].

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.