Tasso. Intellettuale “ impegnato”

cavalieri

Nel fervore della composizione poetica, su Tasso agì in modo considerevole l’appassionata lettura delle Cronache delle Crociare, delle quali, almeno nelle prime esperienze poetiche [“Gierusalemme” e “Rinaldo”], volle mettere in particolare risalto lo spirito religioso, eroico e politico che le animava. Anche nella “Liberata” agì prepotentemente sull’ispirazione di Tasso la guerra contro i Turchi. Tuttavia Tasso fu, secondo una lunga tradizione critica (vedi sotto), essenzialmente un poeta di “sentimento”.

Tasso fu in effetti il poeta delle forti passioni, di cui egli volle nutrire i suoi personaggi prediletti, nei quali trasferì in modo costante un po’ di se stesso. Tancredi è l’autoritratto del poeta, teso spasmodicamente verso l’amore e anche un po’ trasognato, pur in mezzo alle battaglie. Rinaldo è l’adolescente assetato di gloria, che s’impone all’attenzione per la virtù perfetta e per gli slanci sempre di nobile sentire. Anche in Rinaldo troviamo qualcosa di Tasso, specie quello della giovinezza itinerante ed avventurosa. Argante è un misto di eroismo e di tracotante violenza, cui però s’accompagnano tensioni verso la malinconia e riflessioni sulla vanità delle umane glorie. Fra le donne, Armida spicca tra tutte, e in lei Tasso sottolineò essenzialmente il carattere insidioso, nonché lo spirito a volte malinconico.

Le numerose discussioni insorte nei primi anni del XVI secolo tra i dotti sul poema epico, spinsero Tasso a mutare in modo sostanziale la sua opera maggiore. Attraverso il ‘500, comunque, l’Ariosto, che tra l’altro ricevette apprezzamenti anche dall’Accademia della Crusca, fu molto più apprezzato di Tasso. Nel ‘600 la critica fu benevola con Tasso, del quale si lodò da un lato l’osservazione delle regole aristoteliche e dall’altro la lingua, improntata sul modello “italiano” e non solo fiorentino.
Il ‘700 fu, al contrario, un secolo poco favorevole a Tasso, che fu fatto oggetto di aspre critiche dai francesi, che lo accusarono di “oscurità”, specie per l’abuso, a loro modo di vedere, della retorica e delle metafore ardite. La critica italiana difese come poté il poeta, esaltandone le eccezionali doti immaginative. Il Romanticismo mostrò un vivo interesse per la “malinconica” figura di Tasso, soprattutto per il drammatico conflitto tra la sua personalità, dotata di sentimenti ed ideali sempre elevati, e la realtà meschina dei tempi in cui egli visse. Tasso fu visto dai nostri romantici come un’illustre “vittima” d’ingiuste persecuzioni. In pieno Ottocento e specialmente nel periodo del Positivismo l’interesse per Tasso non diminuì, e la sua personalità fu indagata con dotti studi biografici e psicologici.
La critica moderna

A lungo la critica, e penso in modo particolare alla linea che va da De Sanctis a Benedetto Croce, ci ha consegnato un’immagine piuttosto fuorviante di Tasso, e anche in qualche modo disancorata dalla realtà del suo tempo. Così, ad esempio, De Sanctis, nella sua “Storia”, insistette molto sulla componente idillico-sentimentale della poesia tassiana. Egli paragonò Tasso a Petrarca, inserendoli ambedue sotto il segno della “malinconia”, sentimento dominante della loro vita. Le cose sono cambiate in maniera radicale con i contributi di L. Caretti [“Ariosto e Tasso”, Einaudi], che si è allontanato dagli schemi ottocenteschi , romantici e positivisti. Così, mentre i primi videro in Tasso una sorta di poeta “maledetto”, eternamente perseguitato da una società che non lo comprendeva, i positivisti ne misero in luce gli aspetti, per così dire, “patologici”, con il Tasso vittima incolpevole della propria malattia mentale.

Per Caretti non è più proponibile l’immagine di un poeta lontano dalla società sua contemporanea. In Tasso, secondo il critico, non ci devono attendere riferimenti espliciti alla realtà contemporanea, bensì sottili allusioni (siamo nell’Età della Controriforma) che bisogna sapere intendere ed interpretare. A parere di Caretti, Tasso fu uno dei testimoni più attenti della sua epoca, che era molto diversa da quella in cui si trovò a lavorare Ariosto, caratterizzata da una sostanziale stabilità sociale e cortigiana, in cui erano ancora vivi determinati valori e virtù. Tasso invece si trovò proiettato dentro una realtà cortigiana dove ormai le magnanime virtù erano soltanto un ricordo. La Corte Estense, nel momento in cui arrivò Tasso, era in piena decadenza, ed in essa allignavano ormai tutti i difetti tipici della corte del tardo-rinascimento: sospetti, invidie, gelosie e simulazione cortigiana.

Anche Tasso, era inevitabile, si lasciò in un primo tempo coinvolgere in questo clima e nelle trame di corte; però egli non vi si abbandonò, cercando, con sforzi titanici, di “mutare” il corso della storia, facendosi portavoce, con la propria poesia, delle virtù più alte che sembravano del tutto dimenticate. La lotta per il “ripristino” delle antiche virtù, secondo Caretti, fu dura e aspra per Tasso, che soltanto verso la fine della vita capitolò di fronte all’irrevocabile realtà. Tutti i grandi valori furono reiterati con forza nella “Gerusalemme”, un’opera che impegnò il poeta per più di trent’anni. La dissonanza fra gli alti valori proposti da Tasso e la realtà si riflette potentemente nel poema, che risente, sottolinea Caretti, di una evidente instabilità, così come tutto era instabile in quel frangente storico. Infatti tutti i grandi valori del passato sembrano vacillare nella “Gerusalemme”: l’amore non è corrisposto, la fama è costantemente insidiata dai rapidi capovolgimenti delle fortune personali e delle battaglie; la natura è lusingatrice ed ingannatrice, e tutti i “fatti” sembrano soggetti ai capricci del caso.

Su questo sfondo incerto ed ambiguo si muovono i personaggi della “Liberata”, che, tuttavia, Tasso volle assolutamente “granitici” di fronte alla realtà del mondo. I personaggi tassiani appaiono infatti “immobili” e, soprattutto, “immutabili”, in quanto portatori inflessibili di tutti quei “valori” della vita in cui Tasso credeva senza esitazioni e senza incertezze.

Caretti ha ripreso il tema dei personaggi “autobiografici” della “Liberata”. E’ stato detto, osserva Caretti, che nella “Liberata” ci sarebbero personaggi congeniali al Tasso, ed autobiografici (Rinaldo, Erminia, Tancredi), ed altri lontani dal suo modo di vedere, come per esempio Goffredo e Sofronia. In realtà, conclude Caretti, “tutti” i personaggi tassiani sono autobiografici, perché tutti portano in se stessi “qualcosa” dell’anima e della personalità di Tasso, anche quelli che ne sembrerebbero più lontani per carattere. Tasso era uomo che sentiva albergare in se stesso una serie contrastante di sentimenti, e ogni personaggio della “Liberata” riflette qualcosa di lui: Argante è la violenza, Solimano è pensoso, mentre Goffredo e Sofronia sono dei “monoliti”, completamente “chiusi” a difesa dei propri valori: l’invincibilità e l’incorruttibilità. Questa nuova visione dell’uomo e del poeta costituisce una cesura netta con il passato, e Tasso è stato restituito alla realtà del suo tempo, facendone un intellettuale assolutamente “impegnato” e arroccato in una difesa strenua di “valori”, che, se mai erano realmente esistiti, apparivano comunque ormai slavati all’orizzonte della visione tassiana del mondo e della vita.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.