Montale non può essere classificato tra gli ermetici di stretta osservanza, per i quali l’ermetismo scaturiva dagli accorgimenti analogici più astrusi, e dove, come diceva Dante, “ or sì or no s’intendon le parole” (Purg. IX, 145).
Montale fu sì un poeta ermetico, ma il suo fu un ermetismo di significato e di figura. Anch’egli amava le parole disusate, che tuttavia non sono “criptiche”, rimandando a vari e oscuri significati. Potremmo anzi attestare che il “mondo” di Montale è stato sondato con un certo successo, arrivando ad una comprensione soddisfacente di esso. Tutt’al più, come dicevamo, è il “retroterra” che ispirava il poeta che ci rimane talvolta incognito e ci sfugge; ma il senso generale della sua visione del mondo, no, quella non ci sfugge.
Mario Alinei spiegava che uno, se non il più importante dei campo semantici cari alla poesia di Montale è legato alla parola “mare”, con tutte le sue declinazioni possibili, che rinviano concettualmente ad esso come alle scaturigini del tutto, e, in via più ordinaria, all’esistenza e alla vita, intuita da Montale come un mare sempre minaccioso e in tempesta: “un bombo talvolta ed un ripiovere di schiume sulle rocce” (Mediterraneo); “un mare pulsante, sbarrato da solchi, cresputo e fioccoso di spume” (Fine dell’infanzia).
Il mare è dunque la vita, una vita che però il poeta teme, accontentandosi di viverla al cinque per cento (E vissi dunque al cinque per cento [Per finire]). Il mare è potente, troppo potente; ed egli ne paventa il “delirio” sulle coste, dove l’onda si frange rumorosa e minacciosa. Perciò il poeta, estraneo al mare, ne “osserva” tuttavia intimorito la forza prorompente. Per Montale la sua vita è simile ad una barca ancorata alla riva, al sicuro dai marosi:
“La vita è come una barca ancorata:
Nel futuro che s’apre le mattine
sono ancorate come barche in rada” (Sul muro grafito).
Il “bombo” del mare, “nella sua furia incomposta”, sembra sussurrargli all’orecchio la possibilità di un’esistenza tranquilla e non minacciata da alcunché; una “sosta”, se però ne resta ben distante:
“Nel destino che si prepara
c’è forse per me sosta,
niun’ altra minaccia.
Questo ripete il flutto in sua furia incomposta,
e questo ridice il filo della bonaccia” (Mediterraneo).
Egli è diverso, “altro”, da chi invece si tuffa nelle acque perigliose del mare. E’ pertanto cosa saggia schivare “il bollore della vita fugace”:
“Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace – uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge” (Mediterraneo).
Montale sente in sé d’appartenere alla “razza di chi rimane a terra” (Falsetto), di chi riesce ad evitare l’onda travolgente del mare che si rovescia sulle coste come “una tromba di schiume intorte”:
“il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte” (Corno inglese).
Ad altri, invece, è dato sfidare il mare tempestoso, “sopra il gorgo che stride” (Falsetto):
“Sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
‘più in là’!” (Maestrale).
Tra questi “uccelli di mare”, veri albatros che si beffano e “si ridono delle tempeste” (Baudelaire), che possono arrischiarsi “più in là”, ben oltre le rive sicure, c’è Esterina; lei sì che osa tuffarsi. “Proprio in questa raccolta [Ossi di seppia], osservò M. Alinei, […] in Falsetto, appare il personaggio di Esterina, che rappresenta l’antipodo di Montale nei suoi rapporti col mare. Per Esterina, infatti, l’acqua è la forza che [la] tempra; Esterina, al contrario di Montale, è un’acquorea creatura […] Esterina, non il poeta, può alzarsi e avanzare […] L’analisi strutturale del campo semantico del mare rivela dunque che il mare simboleggia l’esistenza, un’esistenza che il poeta considera orrenda […] Per chi resta a terra, per chi si lascia respingere dall’orrore e dal terrore di quel mare, come il poeta, non può esserci che la vita non vissuta, la vita strozzata (Arsenio) […] E’ dunque il tema centrale della paura del vivere che si rivela così chiaramente nell’analisi del campo semantico del mare”.
E’ arduo aggiungere qualcosa di più (e di meglio) ad una sì convincente analisi. Tuttavia, a proposito di certe immagini ricorrenti in Falsetto, si offre qui la seguente curiosità; ossia una nota circa le possibili “fonti” alle quali Montale poté attingere. Si tratta di una serie di liriche di Pietro Bagnoli (1767-1847), pisano, che scrisse Il Cadmo, dove troviamo un nocchiero impavido e un mare possente che lo travolge. Pietro Bagnoli non fu proprio uno sconosciuto, e, a quel che ho potuto vedere, abbastanza stimato negli ambienti toscani, e citato anche da Gian Pietro Vieusseux, ne I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, Torino, 1953. Datosi che Montale fu Direttore del Gabinetto Vieusseux, è possibile che egli abbia avuto la possibilità effettiva di leggere Il Cadmo, ricavandone spunti e immagini relativi al “mare”. Sentiamo intanto Montale:
“T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra” (Falsetto).
Vediamo ora Il Cadmo:
XLI
Svelse il turbin la gabbia, e lui seggente [che siedeva]
Al timon rovesciò giù capoverso.
Tre volte il legno e la meschina gente
Attorse in larghe ruote in sé converso.
Il mar fatto un volubile torrente:
L’immerse e si spianò sopra l’immerso.
Non più voce s’udì, che piange o stride,
Il legno in su non più tornar si vide.
XLII
Sol nel gran gorgo or qua or là fuor viene
Braccio che nuota, o piè naufrago o testa.
Allo stanco timone a cui s’attiene
Si mostra Afranio per l’atra onda infesta;
Un flutto lo travolve [sic= “travolse”] in nude arene,
Uno in mar lo rispinge e mai non resta
Finché assorto l’avrian; ma pronta accorre
Erato allor, che al naufrago soccorre.
Fonti:
M. Alinei, “Semantica e fonetica in Montale”, in Quaderni di Semantica, giugno 1982, n. 1, pp. 189-195. La citazione alle pp. 191-192.
E. Montale, Ossi di Seppia, Milano, Mondadori, 1974.
Per Pietro Bagnoli: http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-bagnoli_(Dizionario-Biografico)/.
Quanto al Cadmo: Il Cadmo poema di Pietro Bagnoli professore di lettere greche e latine nel I. e R. Università di Pisa, Pisa, Presso Sebastiano Nistri, 1821, Vol. II, p. 187.