Dubbi amletici nella sintassi di Petrarca

petrarca-dubbioso

 

Petrarca fu sempre considerato un maestro di stile, e l’imitazione che attraverso i secoli accompagnò il poeta è il segnale più potente della fortuna della poesia petrarchesca presso la posterità. In genere la critica si è soffermata parecchio sugli esiti di tale imitazione, che andava dai contenuti, l’amore per la donna, agli espedienti stilistici, tra i quali, i più gettonati  erano sicuramente le antitesi (dolce-amaro; meglio-peggio), da cui discesero esempi  “europei”, come accadde per “Pace non trovo e non ho da far guerra”:

 

Pace non trovo e non ho da far guerra;

E temo, et spero, et ardo, e son un ghiaccio;

Et volo sopra ’l cielo e giaccio in terra; (CXXXIV).

 

Cosicché, il poeta inglese T. Wyatt (1503-1542), proponendosi ai sommi livelli del petrarchismo europeo,  così cantava:

 

“I find no peace and all my war is done

I fear and hope, I bum and freeze like ice

I fly above the  wind, yet can I not arise.”

 

Tuttavia, al di là dell’imitazione, la sintassi petrarchesca è degna di particolare interesse, perché in essa, e nel suo modo di atteggiarsi, possiamo scoprire molto della personalità di Petrarca, fortemente incline alla meditazione interiore ed al dubbio decisamente amletico.  E’ pertanto possibile, partendo proprio dalla sintassi, individuare anche il carattere dell’uomo. Ciò è particolarmente accertabile per via di  una tecnica precipua di Francesco Petrarca, ossia quella degli incisi, posti sovente tra parentesi. Attraverso gli incisi il Petrarca “meditava” intorno alla materia su cui stava lavorando, rivolgendosi talora a se stesso e talvolta al lettore.

 

Alcuni esempi possono chiarire meglio quanto si va dicendo.

 

In “Di pensier in pensier, di monte in monte”, egli scriveva:

“Io l’ho più volte (or chi fia chi mi ’l creda?)

ne l’acqua chiara et sopra erba …” (CXXIX, v. 40)

“Ma ci sarà qualcuno disposto a credermi?”, dice il poeta dubbioso rivolto a se stesso.

 

Altro esempio, molto simile al precedente:

 

“Et or con gran fatica/ (chi ’l crederà, perché giurando i’ ’l dica?)” ( LXXVI).

 

Altri esempi possono essere:

 

“E il viso di pietosi color farsi, /non so se vero o falso, mi parea” ( XC).

 

“Vero dirò (forse e’ parrà menzogna)” (XXIII).

 

C’è sempre, negli incisi sopra riportati, l’espressione di un “dubbio” che tormenta il poeta; il dubbio è rivolto a se stesso, ma inevitabilmente “ricade” sul lettore, che si fa l’immagine d’un uomo sempre incerto e dubitoso riguardo alle proprie asserzioni, di un uomo con scarse o nulle certezze.

 

Talora l’inciso rinvia senza equivoci a se stesso e ad una sostanziale “malinconia” di carattere, dove  spicca il ricordo, la rimembranza di particolari momenti vissuti con Laura, come quando dice:

 

Chiare fresche e dolci acque,

Ove le belle membra

Pose colei che sola a me par donna;

Gentil ramo ove piacque

(Con sospir’ mi rimembra)

A lei di fare al bel fianco colonna  (CXXVI)

 

Oppure:

“or fia già mai (Lasso! Non so che di me stesso estima)/ o li condanni” (CCLII, v. 7).

 

Da questi parchi esempi sulla sintassi petrarchesca, emerge con chiarezza il fatto che, attraverso l’uso costante degli incisi,  Petrarca si mostra uomo di scarne certezze, che dubitava sempre di se stesso e nelle proprie capacità di convincere, e di poter piacere alla sua donna ed anche  agli altri.

 

Del resto,  fu lo stesso Petrarca a dichiararsi “dubitoso” pressoché di tutto:

 

“Inter volentem et nolentem dubius” (Dubbioso tra il volere e il non volere)  (De Rebus Familiaribus).

 

 

Fonti:

F. Petrarca, Opere, a cura di M. Martelli, Firenze, Sansoni, 1992, CXXXIV, p. 82. CXXIX, p. 80. LXXVI, p. 50. XC, p. 55. LXXVI, p. 82. XC, p. 55. XXIII, p. 156. CXXVI, p. 72. CCLII, p. 130.

L’esempio di Wyatt è tratto da N. Gardini, “Una lingua comune per la lirica europea. Il Petrarchismo inglese”, in Storia della poesia occidentale: lirica e lirismo dai provenzali ai postmoderni, Milano, Bruno Mondadori, 2002,  p. 38.

Franciscus Petrarca Iohanni Columnae Cardinali S.P.D., Epistola XII, in Francisci Petrarcae Epistulae De Rebus Familiaribus, a cura di G. Fracassetti, Firenze, le Monnier, 1859,  Vol. I, p. 131.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.