I “Cuattro angioloni” di Gioacchino Belli

Er giorno del Giudizio

 

 

 

Gioacchino Belli fu forse il maggiore dei nostri poeti dialettali, e un poeta della sua statura non ha certo bisogno di particolari presentazioni, perché la sua grandezza è indiscutibile.

La vita del Belli non ha niente di straordinario, ma, insomma, è abbastanza curiosa sotto diversi aspetti. Nacque a Roma nel 1791, e lì visse pressoché sempre, a eccezione di qualche raro viaggio che lo portò al Nord, a Milano, dove conobbe l’altro nostro grande poeta dialettale dell’Ottocento, Carlo Porta. Il Belli a Roma era impiegato nell’Amministrazione pontificia, ma, come si dice, a un certo punto ebbe un colpo di fortuna: sposò una ricca nobildonna, cosa che gli permise di condurre una vita tutto sommato più che agiata.

Belli scrisse più di 2000 sonetti in romanesco, e qualcuno, probabilmente, non è neanche suo, ma questo non ha particolare rilevanza. Quello che invece importa dire è che egli, pur non essendo un “popolano” ( infatti, aveva una cultura per quei tempi di assoluto prim’ordine), possedeva una capacità di penetrazione critica davvero non comune, che egli esercitava, per dirla in breve, sul popolo di Roma. Pochissimi fra i suoi contemporanei avrebbero potuto dire di conoscere l’anima del popolo romano come il Belli, che, infatti, ci lasciò di quella “plebe”, com’egli diceva, un “monumento” che ritengo davvero imperituro. Di quel popolo vessato, ignorante, superstizioso, ma anche capace di barlumi di saggezza pratica straordinari, Belli ci ha tramandato un quadro che, dico io, neppure il più fine dei sociologi avrebbe saputo dipingere. Il nostro bravissimo poeta conosceva l’ “enciclopedia” di quel popolo, ne sapeva cioè la cultura e la mentalità, specie nei riguardi del potere, che a Roma, per definizione, era quello papalino.

E’ difficile, senza qualche esempio, rendere conto delle straordinarie capacità di penetrazione di Belli, vero interprete del popolo di Roma; per cui mi permetto qui si presentare almeno un sonetto in romanesco. Tra l’altro, credo che il pubblico non abbia eccessive difficoltà di interpretazione, essendo stato il dialetto di Roma ampiamente divulgato nel cinema, specie da quel grandissimo attore che fu Alberto Sordi. Immaginiamo che il sonetto che seguirà sia recitato da Sordi, e godiamocelo. Il sonetto porta il titolo de “Er giorno der Giudizio”. In pratica Belli ci presenta “oggettivamente” come “er popolo de Roma” s’immaginava la fine del mondo; appunto, “il giorno del Giudizio”:

Cuattro angioloni co le tromme in bocca
Se metteranno uno pe ccantone
A sonà: poi co ttanto de voscione
Cominceranno a ddi’: “ Ffora a cchi tocca”.

Allora vierà ssù ‘na filastrocca
De schertri dalla terra a ppecorone,
Pe rripijà figura de persone,
Come purcini attorno de la biocca.

E sta bbiocca sarà Ddio benedetto,
Che ne farà du’ parte, bbianca e nnera:
Una pe annà in cantina, una sur tetto.

All’urtimo uscirà ‘na sonajjera
D’angioli, e, ccome si s’annassi a lletto,
Smorzeranno li lumi, e bbona sera (1).

Lo traduco, senza commenti.

Quattro angioloni con le trombe in bocca
Si metteranno uno per angolo
A suonare: poi, con tanto di vocione,
Cominceranno a dire: “Sotto a chi tocca!”.

E allora verrà su dalla terra una filastrocca
Di scheletri tutti quanti a pecorone,
Ripigliando l’aspetto di persone
Come pulcini intorno alla chioccia.

E questa chioccia sarà Dio benedetto,
Che li dividerà in due parti, una bianca e l’altra nera:
Una per andare all’inferno (in cantina), e l’altra in paradiso (sur tetto).

Infine s’udrà una sonagliera
D’angeli, e, come se s’andasse a letto,
Essi spegneranno le candele e… Buonasera!
1) G.iuseppe Gioacchino Belli, “Er giorno der Giudizio e altri 200 sonetti”, a cura di Giorgio Vigolo, Milano, Mondadori, 1962.

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.