L’ “irrealtà” del realismo del Satyricon

 

Secondo Tacito (Ann. 16.18), il nome vero di Petronio Arbiter era Titus Petronius  Niger. Petronio  apparteneva all’ordine equestre e fece una prestigiosa carriera politica, essendo stato “consul suffectus” nel 62 d. C. (Conte) , e poi  proconsole in Bitinia. La morte per suicidio di Petronio, secondo Tacito,  sarebbe avvenuta nel 66 d. C.; mentre  egli dovrebbe essere nato a Marsiglia intorno al 14 d. C. (Slater).

 

Petronio Arbiter visse a Roma nel I secolo d. C. Egli  fu il  personaggio  di maggiore spicco alla corte di Nerone, il quale  lo aveva incaricato di sovraintendere come Arbiter  Elegantiae alla vita  sfarzosa e raffinata di corte. Caduto in disgrazia in seguito alle calunnie di alcuni cortigiani, invidiosi della sua ascendenza negli ambienti vicini all’imperatore, Petronio fu in seguito costretto al suicidio dallo stesso  Nerone. Gli studiosi sostanzialmente concordano nell’identificare “questo” Petronio con l’omonimo autore del Satyricon, un’opera in prosa e in versi che ci è arrivata frammentaria (possediamo soltanto alcune parti dei libri XIV, XV e XVI). Il Satyricon è molto probabilmente una parodia del romanzo greco, un genere letterario molto apprezzato a Roma nel I secolo d. C., incentrato sul tema dell’amore contrastato (McDermott).

 

Pur essendo vissuto nell’epoca di Nerone, e pur essendo stato il “regista” dei festini e delle orge dell’imperatore, Petronio Arbitro era culturalmente molto distante da Nerone. Petronio asseriva la necessità di una cultura filosofica nella formazione del Civis Romanus, che tuttavia, almeno in parte,  mancava al Nerone sia pur discepolo del grande Seneca  ( Castorina, E. 1972,  p. 297).

 

Spesso Petronio ironizzava sulla tendenza  “moderna” verso la “controversiam sententiis vibrantibus pictam” (Satyr., 118,2), vale a dire un’argomentazione eccessivamente infarcita di piroettanti figure retoriche; una tecnica particolarmente  invalsa nelle scuole di retorica, e che Gottschalk Jensson ritiene una tecnica che sostanzialmente rimbecilliva i discepoli. Se non fosse stato per il fatto che, effettivamente, Petronio  fu l’organizzatore delle feste di Nerone, risulterebbe tutto sommato abbastanza difficile  capire perché l’imperatore, ad un tempo piuttosto bizzarro e insofferente,  sopportasse  di buon grado  un cortigiano che non faceva certamente mistero di  idee estetiche e letterarie in netto contrasto con le sue. Non per niente molti studiosi furono per lungo tempo in contrasto tra di loro circa il fatto che Petronio potesse realmente essere identificato con il potente cortigiano Arbiter elegantiarum della corte di Nerone; ritenendo, al contrario,  che l’autore del Satyricon fosse vissuto nel III o IV secolo d. C. E’ ben vero che ci furono circa 96 individui che si chiamarono Petronius nel giro di circa tre secoli; però, uno soltanto era detto Arbiter, e questi era soltanto l’Arbiter Elegantiae della corte di Nerone (Castorina, E. 1972.  297).

 

La trama in sintesi. Encolpio, perseguitato da un dio, vaga nell’Italia meridionale di città in città con gli amici Ascilto e Gitone. Avventure di ogni sorta accadono ai tre amici, e ad un certo punto un vecchio e colto  poeta, Eumolpo, si unisce a loro.  E’ pressoché impossibile ricostruire la struttura originale del Satyricon. Dei 16 libri costituenti il lungo romanzo ci sono rimasti soltanto due libri superstiti, gli  estratti lunghi, gli estratti brevi (excerpta vulgaria) e la Cena Trimalchionis, conservata nel Codice Traguriensis [ Parisinus Lat. 7989], così chiamato perché esso fu scoperto a Traù, in Dalmazia, verso la metà del XVII secolo nella biblioteca appartenente ai Cippico (Castorina, E. 1972. 49-51). Esso contiene la Cena Trimalcionis nonché altri “episodi lunghi”, come la Matrona di Efeso.

 

Il Satyricon si rivela un’opera molto complessa. Di primo acchito pare un romanzo realistico, che ricorda certe caratteristiche del romanzo picaresco, nonché  le antiche satire menippee, la cui caratteristica formale  era   la mescolanza di prosa e versi; cosa facilmente riscontrabile nella  Cena Trimalchionis,  dove  sono spesso  inseriti epigrammi e gruppi di versi. E’ un fatto degno di nota che Petronio fu altresì  un fine  narratore, e tale si rivelò anche nelle due novelle narrate da Eumolpo: Il giovinetto di Pergamo (LXXXV-LXXXVII) e La matrona di Efeso (CXI-CXII). Due esempi di novelle erotiche (fabulae milesiae), di cui però lo scrittore tese  ad alleggerirne lo stile sia nell’uso del linguaggio  sia negli accenni a particolari scabrosi.

 

Per la maggior parte della critica, con il suo realismo, Petronio Arbitro avrebbe fatto  del Satyricon lo specchio della società romana dei tempi di Nerone: una società dove i liberti arricchiti avevano raggiunto un notevole livello di potere, non soltanto economico, ma anche politico. E’ altresì indubbio  che Petronio Arbitro dimostrò una rara qualità di  penetrante e minuzioso osservatore della realtà umana, senza tuttavia atteggiarsi a moralista. Egli, pertanto, avrebbe  contemplato e rappresentato i suoi personaggi senza giudicare, e spesso con un sorriso ironico (Richardson). Molto spesso  i personaggi del suo romanzo dimostrano una grande astuzia ed intelligenza, riuscendo a trarsi d’impaccio anche nelle situazioni più pericolose, come nel caso della Matrona di Efeso, dove astuzia e intelligenza giocano un ruolo fondamentale, ricordando molti personaggi del “Decameron” di Giovanni Boccaccio.

 

Tuttavia, il realismo di Petronio fu messo  in  dubbio  già  con  C.W.  Mendell, nel 1917.  Più recentemente Gottschalk Jensson non  accetta il presunto realismo del Satyricon,  asserendo che, non la realtà, ma le Fabulae Milesiae furono  la fonte principale del Satyricon. In breve, a parere di Jensson   non si può parlare di un effettivo “realismo” di Petronio,  definendolo puramente illusorio. Attraverso uno studio, veramente eccezionale per dottrina,  Jensson riprende l’intero problema del realismo di Petronio,  arrivando alla conclusione che gli studiosi paiono aver sofferto  di un’ allucinazione collettiva, perché, a suo avviso, nonostante tutto il realismo del Satyricon siamo qui ancora a discutere se la Graeca Urbs fosse  Napoli o Pozzuoli o Cuma. Se siamo a questo punto, non è perché gli studiosi sono degli incompetenti, osserva Jensson,  ma perché nel Satyricon mancano agganci oggettivi con la realtà della città descritta da Petronio. E allora, la questione è la seguente: fino a che punto ci possiamo spingere sulla strada del preteso realismo di Petronio? L’unico suo intento non era tanto quello di dare uno “spaccato” della realtà, ma semplicemente di mettere in ridicolo certi aspetti della Roma dei suoi tempi, risultando alla fine estremamente “realistico”: di quel “realismo involontario” di cui parlò Lukàks (Jensson, G. 1997) . I migliori “realisti”, secondo Lukàks,  sono appunto quelli che non puntano al realismo in sé, ma sembrano parlare d’altro. Grazie a questo “realismo involontario”,  Petronio, in effetti,  ci ha detto molto sulla vita del suo tempo.

E. Castorina ritenne comunque “eccessivo” lo scetticismo riguardante l’identificazione della Graeca Urbs, perché, a suo parere, le indicazioni “non mancherebbero”. Però, è indubbio che su ogni punto nevralgico del Satyricon ci si deve scontrare con ostacoli spesso insormontabili, e con una serie di contrastanti e non decisivi punti di vista, per cui alla fine E. Castorina ne conclude  che “nella questione petroniana bisogna scegliere fra contraddizioni spinte al limite, fra soluzioni precarie”. Più recentemente, visto che sul problema della Graeca Urbs non si è arrivati a nulla, tutta la vexata quaestio è stata “ridimensionata”, asserendo che “tutto sommato è poco rilevante decidere se questa città campana fosse Puteoli, Neapoli, Cuma, Miseno o Capua (o perfino Minturno o Terracina)”, soprattutto  perché  “i limiti del realismo di Petronio” sono ben accertati (E. lo Cascio).

 

Pertanto, a parte i riferimenti  continui ad una società corrotta, non ci sarebbe niente  di veramente “realistico” nel Satyricon. Tutto rimane nell’ indeterminato, dal nascente cristianesimo ad altri  aspetti “ oggettivi”  come le città, le classi dirigenti, l’economia,  evidenziando  l’inidoneità del “realismo” di Petronio di andare “oltre” i limiti del problema dei costumi un po’ troppo libertini dei romani dei suoi tempi. Ma fu probabilmente proprio in virtù di tale vaghezza di riscontri con il reale che  il Satyricon occupò un posto di rilievo nell’immaginario di numerosi artisti del Novecento, anche  italiani, da Federico Fellini  a Pier Paolo Pasolini. Questa eccezionale  concentrazione di interessi intorno all’opera di Petronio  da parte di artisti attivi nei campi più differenti dell’attività culturale (letteratura e cinema),  non può essere interpretata come un dato casuale, e probabilmente  ciò che attrasse di Petronio furono soprattutto gli aspetti formali del Satyricon, il suo carattere di incompiutezza e di  frammentarietà; tutti elementi che furono al centro dell’attenzione e  delle sperimentazioni novecentesche, fatte di baluginanti intuizioni.

 

Fra gli episodi più celebri del Satyricon, oltre alla famosa Cena di Trimalcione (racconto di uno sfarzoso banchetto offerto da un arricchito parvenus), c’è anche La Matrona di Efeso. Il poeta Encolpio, dopo aver sedato a stento una lite tra i convitati, racconta una storia scherzosa sull’incostanza delle donne in amore per rasserenare gli animi. Una vedova, decisa in un primo tempo a lasciarsi morire  di fame di fronte al cadavere di suo marito, si abbandona invece ben presto ad un nuovo amore, dimenticando “velociter” i suoi precedenti propositi e tutti i valori che li avevano ispirati.

 

Una matrona, accompagnata da una fedele ancella,  segue il marito morto  nel sepolcro e non vuole più vivere, volendo anzi lasciarsi morire di fame. Accanto al sepolcro del marito sono crocifissi due ladri, che sono sorvegliati da un soldato.   Ad un certo punto il soldato  sente i pianti della donna, e impietosito e invaghito di lei, cerca di convincere la giovane vedova  a nutrirsi. L’ancella lo aiuta in quest’opera di convincimento.  Infine la matrona si fa convincere a mangiare e poi cede anche alla corte del soldato, il quale però, stando insieme alla giovane vedova di Efeso, si era dimenticato del suo incarico di sorveglianza. Infatti, nel frattempo il corpo di uno dei due ladri crocefissi è portato via dai familiari. Per la legge romana il soldato inadempiente doveva essere crocifisso a sua volta, prendendo il posto del corpo mancante.  La Matrona di Efeso mostra una presenza di spirito notevole, dicendo che non può  sopportare di assistere ai funerali  dei due uomini più cari che aveva avuto, e che preferisce  vedere sulla croce un morto piuttosto che un vivo. Poi ordina che il marito morto fosse inchiodato sulla croce, salvando così la vita del soldato.

 

La storia della matrona di Efeso narrata dal poeta Encolpio non sembrerebbe tuttavia una narrazione “originale”, perché, come è stato ampiamente assodato  dalla critica, essa pare possedere forti tinte parodistiche nei confronti del tragico episodio di Enea e Didone; la quale in un primo tempo si mostrò decisa a rimanere fedele alla memoria del marito Sicheo,  lasciandosi in seguito convincere dalla sorella Anna a cedere all’amore per Enea, segnando così il suo tragico destino. A parere di molta parte della critica,  la parodia di Petronio Arbitro  sarebbe nata da una sorta di “reazione”  contro la cultura del tempo, sempre prona all’accettazione incondizionata dei classici. E’ tuttavia doveroso sottolineare che non tutti i critici videro nella Matrona di Efeso la volontà di  parodiare il celebre episodio dell’Eneide di  Virgilio, né le stesse citazioni sarebbero  una prova decisiva di questa volontà:

 

“ Id cinerem aut manis credis curare sepultos?” [Eneide, IV, 34].  (“Credi forse che le ceneri e i Mani dei morti si curino di ciò?”).

 

“Id cinerem aut manes credis sentire sepultos?” [ La Matrona di Efeso]. Come si può vedere,  Petronio  si differenzia dall’Eneide per il verbo: invece di curare egli usa sentire.

 

Le citazioni virgiliane, secondo Ettore Paratore, non sono però dirimenti;  potrebbero essere state soltanto “reminiscenze casuali”, e spesso forse anche involontarie, che dimostrerebbero solamente l’ammirazione del famoso cortigiano di Nerone per  l’opera di uno fra i più grandi poeti latini.   Per Ettore Paratore, l’analisi anche minuta delle citazioni virgiliane può avere importanza per lo studio del “gusto  letterario” di Petronio, ma non ha rilevanza dal punto di vista delle fonti vere e proprie del Satyricon, che in effetti sembrano essere essenzialmente le Fabulae Milesiae. Certo che l’ipotesi di un rapporto tra la regina Didone e la Matrona di Efeso resta sempre molto suggestiva, anche se, forse, non facilmente dimostrabile come spesso si sostiene.

 

La Matrona di Efeso  conobbe comunque  una fortuna davvero eccezionale attraverso i secoli, e  fu pertanto variamente imitata in Italia e all’estero.

 

Possiamo trovare  tracce e motivi tratti dalla Matrona di Efeso addirittura nel Novellino di Giovanni Sercambi (1348-1424), mentre una vera  imitazione ne fece George Chapman , poeta e drammaturgo inglese,  che imitò la Matrona di Efeso con il titolo The Widow’s Tears, intorno al  1605 (Enciclopedia dello spettacolo).

 

 La Matrona di Efeso trovò molti estimatori ed imitatori soprattutto in Francia, da La Fontaine (La Matrone d’Éphèse) a Voltaire (Zadig). A partire dal XVIII secolo ci furono molte rappresentazioni teatrali della Matrona di Efeso, come quella di Haudard de la Motte (La Matrone d’Éphèse, 1702), di Fuselier (1714), di Radet (1792), di M. Verconsin (1869), e infine di Daudet , che si ispirò alla Matrona di Efeso nel sesto capitolo de L’Immortel [ A. Collignon). Il fatto che il racconto avesse goduto di  una circolazione autonoma rispetto al Satyricon ( L. Castagna),  ne determinò sicuramente la fortuna attraverso i secoli.

 

 

Fonti

 

Conte, G. B. – Solodow, J. 1999.  Latin Literature: A History. Baltimore and London: The John Hopkins University Press,  453.

 

Slater, N.W. 1990. Reading Petronius. Johns Hopkins University Press. 10. “Rose places his birth around a. d. 20 to accord with his suffect consulship in the early 60s.”

 

McDermott, M. H. 1983. “The Satyricon as a Parody of the Odyssey and Greek Romance”. Liverpool Classical Monthly, 82-85.

 

Castorina, E. 1972. “Il ‘Satyricon’”. Paladini, V.-Castorina, E. Storia della letteratura latina.  II. Problemi critici. Bologna: Patron, 297.

 

Richardson, T. W. 1973. “Petronius in California”. The Petronian Society Nrewsletter.  4, 2.  3.

 

Jensson, G. 1997. “The Recollection of Encolpius.  A Reading of the Satyrica as Greco-Roman Erotic Fiction”. Ph.D. 1997. Department of Classical Studies. University of Toronto.  248, 94, 24, 299, 337, 288.

 

Lo Cascio, E. 2007. “La vita economica e sociale delle città romane nella testimonianza del  ‘Satyricon’”, in  Luigi Castagna-Eckard Lefèvre- Chiara Riboldi, Studi su Petronio e sulla sua fortuna, Berlin/New York: Walter de Gruyter. 5.

 

Paratore, E. 1933.  Il Satyricon di Petronio. Firenze: Le Monnier. I,  66.

 

Enciclopedia dello spettacolo. 1962. Casa editrice Le Maschere.  3. 538.

 

Collignon, A. 1905. Pétron en France. Paris. 92, 140.

 

Castagna, L. 2007. “La Matrona Efesina dal Lombardo-Veneto duecentesco alla Grecia medievale: due redazioni poco note”. Studi su Petronio e sulla sua fortuna, edited by Luigi Castagna-Eckard Lefèvre-Chiara Riboldi, Berlin/New York: Walter de Gruyter. 288 nota 2.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.