Profezie, vaticini, e una beffa tragicomica a Giovanni Boccaccio

Com’è ben noto alle Patrie Lettere, Giovanni Boccaccio nel Decameron narrò da par suo di emeriti beffatori che seppero prendersi gioco degli ingenui. Boccaccio, tra l’altro, non fece mai mistero della sua simpatia per i furfanti e per la loro ingegnosa “intelligenza”. Come sempre accade, però, la legge del contrappasso colpisce inesorabile: e ciò intervenne anche a Giovanni  Boccaccio, il quale, da Maestro delle beffe, si trovò inopinatamente a passare da beffatore a beffato. In questa vicenda ebbe gran parte anche un intimo amico di Boccaccio, Francesco Petrarca, il quale, suo malgrado, si trovò coinvolto nel tragicomico frangente; e, senza voglia alcuna, dovette anche dare qualche lezione di saggezza all’amico di Certaldo.

Tutto iniziò con una lettera di Boccaccio a Petrarca, in cui il Certaldese informava il dotto amico d’un misterioso frate che gli si era parato dinanzi profetizzandogli la morte imminente, invitandolo altresì ad abbandonare gli studi profani per darsi unicamente ad atti di contrizione e a letture agiografico-edificanti. Ciò che molto probabilmente impressionò viepiù l’ormai anziano (per quegli anni) Giovanni Boccaccio fu che la “profezia” sarebbe promanata da  uomo che a quei tempi era, ormai da diversi anni,  in odore di santità, ossia  Pietro Perroni (1), di cui il misterioso frate si definì semplice “messaggero”.   La cosa, tuttavia,  non finiva lì, perché Boccaccio informò  l’amico che il frate misterioso gli aveva anche “profetizzato” che ben presto, a compimento  d’un di lui imminente viaggio “a Napoli, in Gallia e in Bretagna”, egli avrebbe “fatto visita” anche a EssoLui, vale a dire a Francesco Petrarca, e sempre in nome del Beato Pietro Perroni.

E’ mia convinzione profonda che codesto “vaticinio” al Boccaccio altro non fosse stato se non  un ingegnoso quanto efficace “colpo basso” studiato “a tavolino”, proveniente da non ben identificati ambienti monastici italiani, e teso a colpire duramente un uomo, ormai piuttosto avanti con l’età (se rapportata all’età media del Medioevo), il quale non aveva mai nascosto le proprie antipatie per i frati dei tempi suoi, accusati di scioperataggine e malcostume. Peccato:  non possediamo la lettera spedita dal Boccaccio all’amico Petrarca, ma soltanto la risposta, ripeto, molto seccata, dello stesso Petrarca.

Premesso che Francesco Petrarca non gradì per nulla né il vaticinio fatto all’amico Boccaccio né la preannunciata visita di “cortesia” del misterioso quanto del tutto ignoto frate, veniamo alla famosa lettera, vergata dal Petrarca in quel di  Padova  il 28 di maggio del 1362.

“All’amico afflitto perché altri gli aveva annunziata la vicina morte e fatto divieto di attendere alla poesia” (2). Perché dunque a Petrarca la cosa andò letteralmente di traverso?

Perché, come dicevamo sopra,  il misterioso personaggio, che aveva informato Boccaccio sul vaticinio di Pietro Perroni, aveva anche aggiunto che il sant’uomo,  nelle sue “visioni”,  aveva tenuto in serbo una “sorpresina” anche per lo stesso Petrarca, e che ben presto gliene sarebbe stata  data comunicazione da parte dello stesso misterioso frate che aveva letteralmente atterrito l’incauto Giovanni Boccaccio (molto probabile si trattasse della medesima “ammonizione” ad abbandonare per sempre gli studi profani per dedicarsi essenzialmente a tutt’altre meditazioni).

L’Ottimo Poeta nonché profondo indagatore di manoscritti antichi Franciscus Petrarcha  intuì istintivamente che lo si stava intrigando in una faccenda poco trasparente, e che non gli piaceva per nulla;  quindi, dopo aver ammonito l’illustre amico e collega Ioannes Boccatius   ch’era d’uopo  far molta attenzione agli imbrogli (e agli imbroglioni), osservò, innervosito, che, prima di tutto,  egli avrebbe desiderato incontrare de visu quel “messaggiero ” [sic] del tutto “ignoto”. E ignoto e sconosciuto doveva veramente essere costui, perché Petrarca non ne fece mai il nome, che probabilmente era rimasto ignoto anche allo stesso Boccaccio, il quale, letteralmente stravolto dal vaticinio della sua morte imminente , s’era perfino scordato di chiedergli:

“Ma tu chi sei? Qual è il tuo nome?”.

Petrarca, dal canto suo, per indole, carattere e cultura, si espresse con molta cautela  circa il “vaticinio” attribuito al Beato Pietro Perroni, riconoscendo che il sunnominato Pietro  godeva gran fama di santità; anche se gli appariva piuttosto “straordinario” (“un gran portento, se è vero”, aggiunse laconico Petrarca) che Lui, cioè Dio, si fosse preso la pena di manifestarsi ad “occhi mortali” per andare ad “ammonire” due vecchi letterati quali loro due: cioè prima il Boccaccio, e poi proprio lui, Petrarca:

“Gran portento, convien pur dirlo, è cotesto, che Lui vedessero occhi mortali; grande, se è vero [corsivo mio]. Ma nuovo e inusitato non è che fole e menzogne si coprano sotto il velo di religione e santità, e del giudizio di Dio si faccia mantello alla frode e all’inganno […] Quando cotesto messaggiero [sic] del morto [Pietro Perroni], che prima a te, perché forse gli eri più vicino, recò l’ambasciata, e quindi passato, come tu dici, a Napoli, s’imbarcò per la Gallia e la Bretagna, a me da ultimo si farà innanzi, e meco per la parte che mi riguarda adempirà la sua commissione, allora vedrò qual grado di fede debba aggiustarsi alle sue parole”.

Fuori di metafora, Petrarca asserisce perentorio:

“ L’ ignoto messaggero ti ha informato che, prima di venire da me, dovrà farsi un viaggio a Napoli, in Gallia e in Bretagna. Va bene:  che venga pure a trovarmi; voglio vedere da molto vicino che tipo d’uomo è costui, e se sarà mai il caso di prestar fede alle sue parole. Quando mi si presenterà dinanzi, allora vedrò che tipo è, e se sarà il caso di credergli”, aggiunge Petrarca; il quale, continuando, seccamente sbotta :

“Tutto in lui scruterò attentamente: l’età, la faccia, lo sguardo, i costumi, le maniere e lo starsi, ed il muoversi, e l’atteggiarsi della persona, e il suono della voce, ed il tenore del discorso, e sopra tutto la conclusione di questo, e l’intenzione di lui che favella”.

Insomma, dice sempre più infastidito Petrarca, il suddetto ignoto sarà sottoposto  ai Raggi X: lo si scruterà  con la massima attenzione; si vorrà sapere quanti anni ha; lo si guarderà per bene in faccia, se ne osserveranno sguardi, comportamenti, toni di voce; e poi s’indagherà fino in fondo dove vuole andare a parare con questo suo discorso, per scoprirne le reali intenzioni”.

Incredibile dictu, ma Petrarca stava tenendo una mirifica “lezione” di atteggiamento prudenziale a Giovanni Boccaccio, ormai, a tutti gli effetti, “ex” maestro delle beffe, circa il modo di difendersi dagli imbroglioni, tanto più pericolosi quanto più colgono di sorpresa. Poi, sempre con il suo tono paludato, Petrarca aggiunge:

“Non creder già che io voglia scemar fede al vaticinio. Quel che da Cristo si dice non può non esser vero: esser non può che la verità mai mentisca. Ma qui sta il punto: e’ si convien giudicare se questo veramente Cristo abbia detto”.

In buona sostanza, Petrarca, da buon filologo e scrutatore attento d’antiche carte e manoscritti,  asserisce senza tanti veli:

“Non  voglio dubitare delle parole del sant’uomo che dice aver ricevuto il messaggio da Cristo, sempre fonte di verità. Il punto è tuttavia proprio questo: bisognerà appurare se è stato proprio Cristo a rivelargli queste cose”.

Poi, Petrarca, sempre da buon “proto-umanista”, sparge la sua lettera di molte e dotte citazioni, da Cicerone a Virgilio, per dire alla fine che, tanto è del tutto inutile aver paura della morte, anche perché “questa nostra vita è morte”, e “fisso ha ciascuno il suo giorno”. E poi, dice ancora Petrarca rivolto a Boccaccio:

“Tu sei sempre stato un uomo di lettere. Vuoi privarti della tua inclinazione alla poesia (“lasciar le muse”) proprio adesso che stai invecchiando? Lascia perdere. Cerca di vivere onestamente, e tira dritto!”.

Petrarca aveva ragione: in tutto.

Infatti Boccaccio fu, insieme con l’amico Petrarca , un vero e proprio  proto-umanista, coltivando un culto estremo ed appassionato per i classici latini e greci, tanto è vero che egli portò a Firenze il primo insegnante di greco, Leonzio Pilato, facendogli nel contempo tradurre l’Iliade e l’Odissea.

E’ pertanto evidente che “imporre” a un simile intellettuale e scrittore di “lasciar le muse” era davvero come decretarne la condanna a morte, e “a breve scadenza”, come suonava sinistro il presunto “vaticinio” di Pietro Perroni, la cui santità fu, sicuramente,  manipolata ad hoc dall’ “ignoto” messaggiero, portavoce senza nome d’una congrega di malevoli odiatori di Boccaccio .

Ciò che, dunque,  fu “tirato” al Boccaccio fu davvero un colpo micidiale; tanto più spregevole perché condotto perfidamente contro un uomo ormai indebolito dalla vecchiaia, e che, non più tetragono alle critiche, specie se provenienti da ambienti religiosi, si era probabilmente molto infiacchito nello spirito.

Toccò a Petrarca tirarlo un po’ su di morale, facendo capire  al vecchio amico ed “ex maestro delle beffe” che “qualcuno” gli aveva teso una trappola per rovinargli gli ultimi anni di vita. Il lato più meschino di tutta quest’oscura vicenda fu che il “colpo”, progettato in qualche altrettanto oscuro ambiente monastico, riuscì “quasi” in pieno, e sicuramente avrebbe potuto sortire effetti anche più disastrosi se non si fosse messo di mezzo Petrarca, il quale, da uomo accorto, intuì esattamente che dietro il famoso “vaticinio” si celava un qualcosa di torbido; probabilmente una sorta di “vendetta”, diciamo pure “anonima”, contro uno scrittore, Boccaccio, che sui frati ne aveva dette tante e poi tante, irridendo senza pietà a un mondo che gli apparve, per molti dei suoi componenti,  falso, scioperato, e traviato.

E’ altresì evidente che il Beato Pietro Perroni (o Petroni), dietro il quale si celava il misterioso frate latore d’una presunta missiva del defunto, nulla aveva a che fare con la minacciosa profezia  al Boccaccio. Il Beato Pietro Perroni, più vecchio di Boccaccio d’un paio d’anni (era nato nel 1311), era morto nel 1361 (3). Ergo, egli non poteva in modo alcuno “smentire” il misterioso quanto ignoto frate, il quale si fece latore della “profezia” probabilmente nei primi mesi del 1362 (la lettera di risposta del Petrarca è  infatti del maggio 1362).

Che d’emerita bufala si trattasse lo dimostrano i fatti.  L’imminente profetizzata dipartita del Boccaccio,  a ben vedere, non fu poi così “imminente” come s’era tentato di fargli credere, essendo l’autore del Decameron dipartitosi da questa valle di lacrime dieci e passa anni “dopo” (1375) la presunta profezia del Beato Pietro Perroni o Petroni, il quale, dato, ma non concesso, che fosse sua, l’aveva presa molto alla larga, concedendosi un lasso di tempo più che decennale: troppo, anche per i più bendisposti nei suoi confronti.

Cosicché è lecito supporre che la “profezia” attribuita subdolamente al Beato Perroni fu concertata ad arte da alcuni astuti frati per rovinare l’esistenza di uno, se non il maggiore, dei loro più accaniti e convinti detrattori. Boccaccio era cascato dentro la trappola con tutte e due i piedi; Petrarca no. Il che fa altresì intendere a chiare lettere che il dubitoso e sempre incerto Francesco Petrarca fosse, alla resa dei conti, molto più freddo, razionale e astuto del Maestro di tutte le beffe Giovanni Boccaccio, dopo che

“addentro, spiegava Petrarca, ebbi ben fissato lo sguardo sulle cose di cui si trattava”:

“All’amico afflitto perché altri gli aveva annunziata la vicina morte e fatto divieto di attendere alla poesia,  risponde non essere da temere la morte vicina.  né da rispettare quel divieto [Padova 28 maggio 1362]:

“M’empié di spavento, o fratel mio,  la tua lettera, e mentre io stava leggendola, quindi stupore, quindi tristezza mi avevano l’animo tutto compreso: ma e l’uno e l’altra, poi ch’ebbi finito di leggerla, si dileguarono. E come avrei potuto ad occhi asciutti, e ponendo mente a quel che sonavano le tue parole, legger ciò che scrivevi del pianger tuo e della vicina tua morte? Ma poiché [= dopo che] addentro ebbi ben fissato lo sguardo sulle cose di cui si trattava,  si mutò di trista in serena la mente mia,  e si cessarono in me la meraviglia e il dolore”.

Un’indubbia lezione di “realismo” a Messer Giovanni Boccaccio,  Maestro universalmente riconosciuto del “realismo” nella letteratura medievale. Fortuna volle che egli avesse trovato un sostegno insuperabile e insuperato in Francesco Petrarca, il quale non volle mai si rinunciasse, Lui e i suoi amici,  agli “otia litteraria” per le minacce di oscuri quanto anonimi portatori di molto dubbie profezie.

 

Note

1)      Vita del beato Pietro Petroni sanese, monaco del sacro ordine cartusiano. Esposta in rime dal Dinbani P. A., in Venezia, MDCCLXII, Appresso Pietro Savioni.

2)      F. Petrarca, Le Senili, volgarizzate da Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, 1869, Vol. I, pp. 32-49.

3)      Vita del beato Pietro Petroni sanese, monaco del sacro ordine cartusiano, cit. Per la data di nascita [1311], cfr. p. 7; per quella di morte (“lo che avvenne alle ore 6 di notte in giorno di Sabbato [sic] alli 29 di Maggio l’anno di nostra salute 1361”), cfr. p. 156).

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.