Il Cortegiano e la semplificazione della lingua

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Tutta la letteratura classica, a partire dalla profonda antichità,  ha sempre avuto un intento “pedagogico”,  la tensione cioè a trasmettere insegnamenti. La cosa poteva avvenire in modo scoperto oppure meno visibile, però l’intento era quello. Quando poi l’intento pedagogico era intrinseco all’opera, le strutture linguistiche ne subivano delle conseguenze evidenti, con inevitabili scivolamenti verso la semplificazione, non tanto lessicale, quanto sintattica.

 

E’ questo il caso di due esempi classici della precettistica italiana e rinascimentale, che ebbe i suoi più illustri esponenti nel Galateo e nel Cortegiano; in ambedue i casi gli autori si diedero scientemente da fare per semplificare il periodo cinquecentesco, che poggiava sulle robuste spalle del Boccaccio.

 

Prendiamo ora in esame Il Cortegiano di Baldassare Castiglione. Il Cortegiano risultò una novità pressoché assoluta nel panorama della letteratura cinquecentesca per il suo ambizioso tentativo di superare il periodare latineggiante e involuto dei grandi intellettuali umanisti della rinascenza, che avevano i loro modelli nella prosa di Boccaccio e del Cardinal Bembo. Pertanto il Castiglione si guardò bene dal pigiare  sull’acceleratore dell’ ornatus, e sulle inversioni (che pure ci sono, ma facilmente interpretabili), che rendevano il periodo particolarmente ostico ai non addetti ai lavori, per proporre ai propri lettori un periodo più equilibrato e comprensibile.

 

L’intento del Castiglione, osservò giustamente Maurizio Dardano, era quello di “evitare le complessità” del periodo per puntare invece sulla “chiarezza”, con una disposizione sapiente di periodi sostanzialmente brevi, separati dalla disgiuntiva “o”,  che spezzava il periodare lungo e complesso dei cinquecentisti in genere. Il  Castiglione era perfettamente consapevole delle difficoltà sottese al trasmettere insegnamenti, e ciò lo si evince fin dal  Proemio intorno alla difficoltà di scrivere del perfetto Cortigiano, che  così inizia:

 

“Fra me stesso lungamente ho dubitato, messer Alfonso carissimo, qual di due cose più difficil mi fosse, // o // il negarvi quel che con tanta instanza più volte m’avete richiesto,  //o // il farlo;  perché da un canto mi parea durissimo negar alcuna cosa, e massimamente laudevole,  a persona ch’io amo sommamente, e da cui sommamente mi sento esser amato: dall’altro,  ancor pigliar impresa la qual io non conoscessi poter condurre a fine”.

 

Le difficoltà, per il lettore moderno, risultano più di ordine lessicale che sintattico (instanza per insistenza, laudevole per lodevole, parea/pareva); per i contemporanei il periodare “semplificato” di Castiglione favorì sicuramente la lettura del suo libro; il che, ovviamente, gratificò gli sforzi pedagogici  dello scrittore.

 

Un altro esempio:

 

“Noi in questi libri non seguiremo un certo ordine o regola di precetti distinti,/  che ‘l più delle volte nell’insegnare qualsivoglia cosa usarsi suole;/ ma alla foggia di molti antichi,/ rinnovando una grata memoria,/ reciteremo alcuni ragionamenti,/ i quali già passarono tra uomini singolarissimi a tale proposito;/”.

 

Come si può vedere, Castiglione si diede un gran da fare per costruire periodi brevi e chiari. La difficoltà oggi, è ovvio,  sta più che altro nelle “parole” (foggia/ come; grata/gradita). Ma, in tutta onestà, ad uno scrittore del Cinquecento i “moderni” non devono né possono chiedere di più.

 

Meglio si trovarono i lettori tra Settecento ed Ottocento, “abituati” a frequentare una lingua letteraria “alta” (l’unico italiano esistente); così come furono a loro perfetto agio persino gli stranieri, che conoscevano soltanto l’italiano letterario, come per esempio Lord Chesterfield, il quale aveva una “conoscenza diretta del testo di Castiglione, pubblicato per ben sette volte in Inghilterra nella prima metà del Settecento” ( A. Quondam).

 

Fonti:

 

Maurizio Dardano, “L’arte del periodo nel ‘Cortegiano’”, in La Rassegna della letteratura italiana, 1963, p. 443.

 

Il libro del Cortegiano: nuovamente corretto ad uso nella gioventù, Bergamo, Stamperia Mazzoleni, 1828, Vol. I, p. 1, 4.

 

Amedeo Quondam, Tre inglesi, l’Italia, il Rinascimento: sondaggi sulla tradizione di un rapporto culturale ed affettivo, Napoli, Liguori, 2006,  p. 55 nota 1.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.