La “lussuria verbale” di Gabriele D’Annunzio

dannunzio

 

Elsa Morante icasticamente definì Carducci un idiota, Pascoli un cretino e D’Annunzio un emerito imbecille (L. Curreri). Soffermandoci essenzialmente sulla presunta “imbecillità” di D’Annunzio,  Moravia, amicissimo di Pasolini, disse che “c’era del vero in quelle parole”, mentre Pasolini dimostrò un “vero” e proprio “rigetto” per D’annunzio, di cui parlò pochissimo, e  quasi sempre male.

 

Si è detto che D’Annunzio riusciva indigesto e indigeribile a Pasolini per ragioni ideologiche (D’Annunzio fascista); il che è probabilmente vero, ma c’è anche il fatto, credo incontestabile, che uno scrittore così “esteriore” ed estetizzante come D’Annunzio non poteva piacere a Pasolini per ragioni diciamo “organiche”.  D’Annunzio non piace neppure al sottoscritto, nonostante gli sforzi della critica siano stati titanici in questi ultimi decenni per rivalutarne l’opera, e molto sia stato fatto in passato per esaltare un personaggio che anche nella manualistica assumeva tonalità mitiche, anche se “prudenti”, come si evince dalla pagina introduttiva a D’Annunzio di CarliSainati, risalente al 1938:

 

“Non è agevole dar notizia in breve di questo scrittore fecondissimo, di quest’uomo di tempra singolare che ci è ancora così vicino e che ha improntato di sé l’arte e la vita nazionale così profondamente da diventare, per certi rispetti, quasi un simbolo dello spirito italiano innanzi al mondo. Abbondano ormai gli studi intorno alla sua vita ed alle sue opere; ma, per quanto si sia fatto e si faccia, e sebbene su alcuni giudizi si sia ormai formato un certo consenso, non si riesce forse ancora a cogliere in pieno il segreto dell’uomo e dell’artista: a vedere cioè con sufficiente chiarezza quanta parte abbiano avuto i casi della vita e le circostanze storiche nel determinare certi elementi e certi modi della poesia di D’annunzio, e quanto, per contrario, le abitudini mentali e talune forme, più o meno spontanee, della reazione poetica abbiano influito su certi atteggiamenti e su certi gesti, anche dei più altamente significativi, di quel vivere inimitabile onde il poeta si è compiaciuto non di rado, con piena coscienza di meravigliare il mondo. Da questa difficoltà ne nasce un’altra, quella di sceverare, tanto nell’arte quanto nella vita del poeta, quanto v’è di spontaneo da quanto vi può essere di studiato e di sforzato …” ( P. Carli & A. Sainati).

 

Plinio Carli e Augusto Sainati, scrivevano queste parole nel 1938: e loro non erano antifascisti, anzi, il contrario, perché nello stesso manuale un capitolo finale era dedicato ad una lunghissima Introduzione a Benito Mussolini ( pp. 719-730, con passi tratti Dalla vita di Arnaldo, Dal Diario di guerra, Da la Dottrina del fascismo  (pp. 741-762) e Dai discorsi).

 

Se, dunque, anche autori vicini al fascismo mettevano le mani avanti riguardo a D’Annunzio, denunciando la difficoltà “di sceverare” ciò che v’era di spontaneo da ciò che era pura posa “estetizzante” (il vivere inimitabile), possiamo comprendere meglio il “rigetto” di Pasolini e di gran parte della critica novecentesca più illustre per D’Annunzio.

 

Silvio D’Amico, per esempio, parlando del teatro di D’Annunzio, non riusciva a capire perché si dovesse chiamare lirica, ciò che invece era solo lussuria verbale, concludendo che la “bizzarra conclusione di tutto il teatro di D’annunzio potrebb’esser questa: che esso attinse le sue cime, e toccò addirittura il capolavoro, là dove meno fu dannunziano” (S. D’Amico, Il Teatro drammatico).

 

E Papini: “Sento il bisogno di descrivere un fatto inconfutabile: la fine del dannunzianesimo italiano […] Lasciamolo dissolvere tra i suoi profumi […] Io dichiaro che per noi Gabriele D’Annunzio non esiste più” ( G. Papini-G. Prezzolini, Carteggio).

 

E Gadda: “Psicologicamente D’Annunzio. Un Narciso di terza classe che porta a spasso pel mondo il suo pistolino ritto della sua personcina […] certa sua prosa, una litania di scemenze” (C. E. Gadda, Lettere a G. Contini).

 

Diciamo che una profluvie di studi ha invece investito negli ultimi decenni più che altro il teatro di D’Annunzio, per il quale si può effettivamente parlare di una rivalutazione forse non effimera, perché promossa da studiosi del calibro di Ettore Paratore, il quale, però, in altre stagioni, aveva parlato anche del teatro di D’Annunzio in termini non propriamente positivi, definendolo “la parte più caduca della produzione del poeta” ( E. Paratore).

 

 

Per quanto riguarda le poesie, occorre comunque  “sceverare” molto attentamente, cosa che fece lo stesso Pasolini, quando affermò che con Allegoria dell’autunno “D’Annunzio ha un’improvvisa impennata stilistica veramente alta: anomala nella sua carriera di amanuense dedito a un’interminabile e pedante copia di un suo libro ideale […] Sono una trentina di righe: ma sarebbe poco dire che esse sono le più belle di D’Annunzio. Bisogna dire  che sono  sublimi, e solo S. Penna ne ha scritte di uguali” ( P. P. Pasolini, D’Annunzio vivente).

 

Tenderei a ravvisare invece una buona, se non inimitabile, dose d’imbecillità nel D’Annunzio che scriveva, in un biglietto trovato nel 1940 da Bruers nell’Archivio personale del Vittoriale, le seguenti amenità:

 

Dov’è la poesia nella letteratura d’Italia? Nei primitivi, in certe notazioni in margine alle carte notarili, ma Ariosto, Tasso, tutto il resto! E Manzoni? E Leopardi? La poesia italiana comincia con 200 versi di Dante e, dopo un lungo viaggio, continua con me” (A. Frattini).

 

Bene, però il “Comandante” mi perdonerà, se io mi tengo Leopardi e anche Manzoni, “scaricando” gran parte della di lui lirica, che, aveva ragione Silvio D’Amico, è, “magna pars”, soltanto lussuria verbale (S. D’Amico).

 

Fonti:

P. Carli & A. Sainati, Scrittori italiani: Secolo XIX, parte II e secolo XX, Le Monnier, 1938, p. 673.

L. Curreri, D’annunzio come personaggio nell’immaginario italiano ed europeo (1938-2008), Brussels, P. I. E. Peter Lang S.A., 2008, p. 86.

S. D’Amico, “Il Teatro drammatico”, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano, Marzorati, 1949, p. 935 e p. 936.

A. Frattini, “D’Annunzio e la letteratura italiana”, in La poesia e il tempo, Hermes, 1957, p. 93.

E. Gadda, Lettere a G. Contini, a cura di G. Contini, Milano, Garzanti, 1988, p. 65. Cfr. anche A. Zollino, Il Vate E L’Ingegnere: D’Annunzio in Gadda, ETS, 1998, p. 19.

Papini-G. Prezzolini, Carteggio, a cura di S. Gentili & G. Manghetti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, Vol. I, p. 666, 457 nota 1.

E. Paratore, “Le due tragedie abruzzesi”, in AA.VV., L’arte di Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori, 1968, p. 278.

P. P. Pasolini, “D’Annunzio vivente”, in Tempo (Settimanale, 25 gennaio 1974) e cfr. anche P. P. Pasolini, Descrizioni di descrizioni, a c. di G. Chiercossi, Torino, Einaudi, 1979, p. 260.

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.