Si dice che Montale sia un poeta criptico, per via di certe immagini estremamente difficili da decifrare. In effetti, la poesia di Montale “sfugge” a una lettura veloce, quasi come un’anguilla. Ed è appunto de “L’anguilla” che andremo adesso a parlare.
“L’anguilla”, raccolta nella “Bufera” non ci sfugge però nei suoi significati anche reconditi, mimetizzati in locuzioni arcaiche, come per esempio i “botri”, i burroni degli Appennini, e i “gorielli” (piccoli fossi). Come dicevamo, la sfuggente anguilla è l’immagine della poesia secondo Montale; ed essa ti scivola via dalle mani, se non stai più che attento. Intanto l’anguilla è “la sirena dei mari freddi” del Baltico, che si muove attraverso l’oceano, dove si riproduce, per poi arrivare ai “nostri fiumi”, risalendoli “nel profondo”, controcorrente, potremmo dire.
Così viaggiando, essa arriva “alla Romagna”, dove la puoi trovare nei “fossi”, dove “l’anima verde”, l’anguilla iridescente, lancia una “scintilla”, e “cerca vita” anche nei luoghi più desolati, brillando “intatta in mezzo ai figli dell’uomo”, immersi, come lei, “nel fango”. L’anguilla-poesia di Montale pertanto lancia “scintille di vita” anche nella desolazione più totale, “là dove solo/morde l’arsura e la desolazione”.
Montale sembra voler dire che la poesia, come l’anguilla, è un qualcosa di “sfuggente”, che nasce di lontano, “nei mari freddi”, che si “riproduce” nelle profondità dell’oceano, e dopo un lungo viaggio, tra “balzi” e “botri”, arriva fino all’uomo, facendo balenare un barlume di luce (“torcia” e “scintilla”) anche nel fango dell’umana condizione.
Anche dal punto di vista “sintattico-visivo”, “L’anguilla” di Montale sembra davvero un’ anguilla che scivola via “sinuosamente” sotto i nostri occhi.
Ma dov’è mai la proposizione principale di questa “scivolosa” poesia di Montale?
Con tecnica degna d’un maestro dell’arte barocca, Montale costruisce un unico, enorme periodo, dove non trovi mai un punto fermo, e che non si conclude neppure con un punto fermo, bensì con un punto interrogativo.
Ebbene, i “segnali” della principale dell’ “Anguilla” li trovi all’inizio e alla fine della lirica:
L’anguilla … (“scivolano via” trenta versi) puoi tu/non crederla sorella?
Ossia: “Puoi tu (poeta), non credere l’anguilla ‘sorella’ della poesia?”.
Con il suo “periodo più lungo”, il “poeta barocco” Montale aveva identificato, con fantasia davvero immaginifica, una delle allegorie più inconsuete e stravaganti della poesia: un’anguilla:
L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?