L’uso politico della lingua

La lingua, almeno in apparenza, per la sua intrinseca natura neutra di semplice veicolo di comunicazione tra i parlanti di una determinata comunità sembrerebbe esente da qualsivoglia responsabilità politica. Né, a lume di common sense,  sembrerebbe lecito caricarla di quelle responsabilità che conducono all’avvio di proposte autonomistiche rispetto agli Stati accentrati. Il problema mi si è posto in seguito ai recenti eventi in Catalogna. In una altrettanto recente tesi di laurea di Kawther Rebhi leggo un assunto che definirei classico nel suo genere:

 

“Sarebbe illegittimo far supportare alla lingua catalana rivendicazioni politiche quali l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, la volontà di farla diventare il nuovo Stato europeo. Si ceda il campo alle eloquenze dei politici e alle loro retoriche, scritte in catalano ovviamente”.

 

Ora, Kawther Rebhi  sottolinea dunque che “sarebbe illegittimo far supportare alla lingua catalana rivendicazioni politiche quali l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna”;  e, pertanto, si   lascia il suddetto tema ai politici catalani.

 

Il tentativo, sia pur lodevole, di sganciare la lingua da “effetti” politici, facendo intendere che la questione dell’autonomia sia problema dei politici soltanto, a prescindere dalla lingua,  è però una tesi molto difficile a sostenersi, in ispecie nel caso  della Catalogna. Una storiografia ormai consolidata ha dimostrato chiaramente come, nel caso della Catalogna, la lingua catalana fu usata per fini politici.

 

Quando parlo di storiografia consolidata mi riferisco a una storiografia che si pose il problema della lingua catalana i tempi molto distanti da quelli attuali; e che pertanto non risentono dell’aura e degli effetti degli eventi più recenti. Si tratta, oserei dire, d’una storiografia non sospetta,  perché, appunto,   prodotta  in  tempi non sospetti (seconda metà degli anni ’60).

Nel caso sul tappeto, e senza rinviare a ulteriore bibliografia, che si può rintracciare nel saggio che andremo a vedere, il problema della lingua catalana fu affrontato senza schermi di carattere ideologico. Mi riferisco a un  bel saggio a due mani di Ronald F. Inglehart e Margaret Woodwart, in cui si affrontano gli argomenti con forte rigore scientifico (2).

Nel capitolo dedicato interamente al “Caso del catalano”, i due studiosi fanno alcune osservazioni preliminari molto interessanti:

1)      In Catalogna i “conflitti linguistici sono incoraggiati da leader politici per favorire loro interessi speciali […] E’ il caso in Spagna del conflitto linguistico catalano”.

2)      Sin dall’unità della Spagna i catalani furono una popolazione “prospera”, ma “spesso scontenta della propria unione con i castigliani economicamente meno progrediti”.

3)      La netta “sensazione di essere sfruttati dal resto della Spagna portò a rivolte nel 1640 e ancora nel 1705”.

4)      La politica di basse tariffe imposta da Madrid “danneggiava la loro industria”.

5)      “Intorno al 1890 il loro risentimento si ampliò fino a includere la rabbia per la probabile perdita di Cuba, in quanto a quel tempo i catalani dominavano più o meno il commercio americano”

 

A questo punto qualcuno potrebbe anche chiedersi dov’era, e se esisteva, anche un conflitto linguistico. La risposta:

 

“La lingua aveva molto poco a che fare con queste lagnanze      fondamentalmente economiche e difatti la lingua catalana era stata sul punto di scomparire completamente”.

 

Prove:

 

“Nel 1860 [la lingua catalana] si parlava soltanto nei villaggi più oscuri e remoti”. Qui i due autori citano a supporto il libro di G. Brenan, The Spanish Labyrinth, Cambridge University Press, 1962, pp. 26-28. Poi aggiungono che, invece, “il castigliano stava affermandosi in città come Barcellona”.

 

Stabilito ordunque che la lingua catalana, nel 1860,  era appannaggio soltanto  di  alcuni villaggi oscuri e remoti, i due studiosi poi spiegano, con dovizia di particolari,  anche le ragioni del risveglio linguistico catalano, che fu, alle origini, opera di “un piccolo gruppo di intellettuali e poeti”, cui si unirono “uomini d’affari che avevano lamentele contro Madrid”.

 

Di qui dunque il take-off o decollo  della lingua catalana, o catalanesimo, che ebbe alterne fortune a seconda delle prospettive politiche che via via si affacciarono alla ribalta della storia politica catalana. Di qui l’osservazione che

 

“il problema del catalanesimo, dove l’elemento più importante era il libero uso della lingua, fu ripreso e poi abbandonato da leader politici con interessi estremamente vari a seconda che si accordasse con le loro necessità”. Si ricorda poi che Francisco Franco “dichiarò guerra aperta alla lingua e al nazionalismo catalano”.

 

Qui concludiamo, anche se il saggio di Inglehart e della Woodwart  si articola con la proposta di ulteriori e molto interessanti dati storici e sociali.

 

Ma, in conclusione, e in base ai dati sopra esposti,  si può affermare, con totale discarico di coscienza e obiettività intellettuale che,  in linea generale,  vi può essere un uso politico della lingua?

 

Nota

 

1)      Kawther Rebhi, Il catalano: lingua e identità. Il contributo della lingua nel fare una nazione. Tesi di Laurea, Université de Carthage, Institute Supérieur des Langues Vivantes de Tunis. Anno Accademico 2009-2010, p. 54. Link: https://www.academia.edu/5576403/Il_catalano_lingua_e_identit%C3%A0_l_Il_contributo_della_lingua_nel_fare_una_nazione.

2)      Ronald F. Inglehart e Margaret Woodwart, “Language Conflicts and Political Community”, in Comparative Studies in Society and History, X, 1967, pp. 27-40, 45. I passi riprodotti nel testo si leggono, nella traduzione di L. Bianchi, in  Ronald F. Inglehart e Margaret Woodwart, “Conflitti linguistici e comunità politica”, in Linguaggio e società, a cura di P. P. Giglioli, Bologna, Il Mulino, 1975, pp. 419-420.

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.