Parnasi italiani: la linea veneta

L’istituzione delle regioni a statuto ordinario in Italia,  all’inizio degli anni ’70, diede un fortissimo impulso anche alla formazione di molteplici Parnasi.  Così il supposto e monolitico Parnaso italiano iniziò a sfrangiarsi,  a moltiplicarsi, incarnandosi in ciò che vennero definite le nuove linee poetiche italiche. Avemmo così una linea (della poesia) lombarda, una linea ligure, una linea piemontese,  una pugliese, una calabrese, un’altra napoletana, e così via. Anche il Veneto ebbe la sua linea:  la linea della poesia veneta. Tra i pionieri che tentarono di stabilire i contorni delle linee della poesia veneta,  menzionerei Paolo Ruffill, che pubblicò nel 1985 presso l’editore Forum/Quinta Generazione  i Poeti del Veneto (1).

 

Ruffilli sembrò esitante di fronte alla proposta di linee e confini poetici eminentemente regionali, perché, diceva, “se  esistono  le  regioni,  non sempre esistono le linee regionali”. La “linea” della poesia veneta non  sembrava poi così “marcata” come quella di altre regioni italiane; anzi, pareva evanescente, e sfuggire a una netta “catalogazione”.

 

E’ abbastanza facile, per esempio, individuare  una “linea ligure”, dove la parola poetica è “ispida, scagliosa, che esprime il senso di una vita bruciata dalla salsedine”.

 

E allora,  per la poesia veneta esisteva una linea?

 

Nonostante tutte le incertezze iniziali,  sembrerebbe di sì. Tali linee sarebbero individuabili  nella persistenza del dialetto, in quella certa “sensualità” che “puntualmente ritroviamo”, diceva Ruffilli,  in poeti come  Valeri e Zanzotto;  nella predisposizione alla descrizione sentimentale e nostalgica dei  paesaggi veneti, nella stessa sempre presente “religiosità”, mentre “la vena sentimentale” sembra un dato acclarato  per poeti come Valeri e  Fasolo; per cui, “elegia, morbidezza e sentimento”, ne sarebbero i caratteri precipui; senza poi contare l’onnipresente territorio veneto, con la sua caratteristica essenziale: la potente presenza delle acque,  la  sua “liquidità”.

 

Ruffilli seppe individuare  con notevole perspicacia  le strade maestre della poesia veneta,  che all’inizio erano sembrate scarsamente identificabili e difficilmente percorribili dalla critica. Tutto sommato,   gli aspetti peculiari delle linee della poesia veneta furono identificate con sagacia. I caratteri di sostanziale predisposizione sentimentale-irenica della poesia veneta sono ben visibili  nei suoi massimi esponenti,  come Noventa, per esempio.

 

Par vardàr dentro i çieli sereni,

Là sù sconti da nuvoli neri,

Gò lassà le me vali e i me orti,

Par andar su le çime dei monti.

 

A parte qualche parola, la poesia è limpida nei suoi significati, come nei suoi “çieli sereni”:

“Per guardare i cieli sereni, nascosti lassù tra nuvole nere, ho lasciato le mie valli e i miei orti, per andar sulle cime dei monti”  (2). Poi una nostalgia “dubitosa” prende il poeta: tornerà indietro?

 

Son rivà su le cime dei monti,

Gò vardà dentro i çieli sereni,

Vedarò le mie vali e me orti,

Là zò sconti da nuvoli neri?

 

“Sono giunto alle cime dei monti, ho guardato nei cieli sereni,  rivedrò le mie valli e i miei orti, nascosti, laggiù, tra nuvole nere?”.

 

Mi pare che Noventa s’inscriva benissimo dentro quella “morbidezza” sentimentale cui accennava Ruffilli. Così,  temi consimili li possiamo scoprire in un altro nome canonico della linea veneta, vale a dire in Biagio Marin, legato sentimentalmente e profondamente al dialetto e alla sua terra d’origine: “Scrivo in dialetto perché è il linguaggio più aderente al mio mondo d’origine, e alla mia anima che è di quel mondo”. Il mondo “liquido” di Marin torna in Comò ‘l popolo mio:

 

Comò ‘l popolo mio

A son nato in solitudini marine;

Garghe oselo che svolta verso ’l mar

A fior de l’aqua, bianche corcaline.

 

“Come il mio popolo, son nato tra le solitudini marine, qualche uccello che scivola verso il mare, e, a fior d’acqua, bianche e lievi onde” (3).

 

Sì, direi proprio che la linea della poesia veneta è liquida, sentimentalmente legatissima alla terra d’origine.  I nostri poeti veneti seppero trovare da soli la loro “linea”: un confine ben marcato dal mare e dai fiumi potenti che solcano, millenari, la “nostra” terra.

 

Note:

1)      Poeti del Veneto. Repertorio critico dei poeti veneti del Novecento e antologia della quinta generazione, a cura di P. Ruffilli, Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1985, Introduzione,  pp. 5-8.

2)      G. Noventa, Versi e poesie, Milano, Edizioni di Comunità, 1956.

3)      B. Marin, Nel silenzio più teso, Milano, Rizzoli, 1980.

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.