Perché le opinioni sono “tutte” opinabili

Inizierò questa molto seria (e non scherzo) argomentazione con un’ equazione inventata or ora  su due piedi:

 

“ Il pluralismo sta alle opinioni  come il cacio  sta ai maccheroni”.

 

!Eccolo qua!”, qualcuno potrebbe dire,  “Ci aspettavamo un discorso serio e invece”.

 

Ma io sono serio.

 

Viviamo, sì o no, in una società pluralista? Se la risposta è sì, come credo debba essere, è evidente che in una siffatta società non ci si debba aspettare di trovarsi di fronte ad un pensiero unico. Va da sé che in una società pluralistica, invece, il campo delle opinioni deve, giocoforza, essere molto ampio e variegato. Stabilita adunque l’essenzialità della presenza di opinioni divaricate in una società pluralistica, adesso però dobbiamo sforzarci di capire qual è il peso delle varie opinioni sulla bilancia della verosimiglianza storica e logica.

 

Ma le opinioni dovrebbero avere lo stesso peso, si dice: un’opinione vale l’altra. Osservo tuttavia che anche nel linguaggio comune si fa differenza tra opinione fondata e opinione infondata. Vabbe! Ma come si fa a distinguere l’opinione fondata da quella infondata? A livello di discorso parlato la questione è difficilmente dirimibile; ma siccome qua stiamo discutendo per iscritto intorno alle opinioni, forse qualcosa si può alla fine cavare.

 

Apparentemente non sindacabili sembrerebbero le opinioni politiche. In una società stratificata per gruppi e per interessi, è evidente che ogni gruppo d’interesse porta avanti, anche a livello di bar e d’osteria, opinioni storicamente verificabili e verificate, che, se non puntano ad un miglioramento del gruppo, almeno mirano alla conservazione dello status quo. Per cui, inevitabilmente, tutte le opinioni politiche si equivalgono, hanno lo stesso peso, sono insindacabili; e,  in una società pluralistica,  i giochi si risolvono , se si risolvono,  in genere alle elezioni.

 

Maggiormente sindacabili parrebbero invece le opinioni consumistiche. Qui in effetti si può sindacare; nel senso che posso benissimo sindacare l’opinione di quanti ritengono il formaggio x migliore e più buono del formaggio y. Qui  la battaglia  delle opinioni  può diventare asperrima, e il vincitore in genere è quello che meglio riesce nel battage pubblicitario, riuscendo a convincere il consumatore opinionista sindacabile che, per esempio, il formaggio x è migliore, per gusti, sapori e avviamenti alla felicità di massa,  del formaggio y.

 

A rigor di logica,  le credenze sul formaggio x e y sarebbero equivalenti, ma ciò che fa la differenza è il peso della pubblicità,  che ha saputo usare, per x,  un linguaggio più accattivante rispetto a quella che promuove il formaggio y. Qualcuno potrebbe eccepire che,  in un  siffatto caso, più che la bontà in sé dei formaggi, è il linguaggio  che ha fatto la differenza. Concordo. E dirò di più.

 

Le opinioni sono appunto espresse attraverso la lingua,  che veicola significati attraverso segni che, da Saussure in poi, sono universalmente ritenuti arbitrari. Potremmo allora concludere dicendo che tutte le opinioni, politiche e consumistiche, sono arbitrarie, perché appunto espresse dal linguaggio, che è arbitrario per definizione.

 

In sintesi, le opinioni, di qualsiasi tenore esse siano, sono arbitrarie e non hanno alcun fondamento né di ragione né di verità. E arrivo a tale tremendissima conclusione in conformità a dati scientifici inoppugnabili, che nessuno, ma proprio nessuno, sarà mai in grado di vanificare,  neppure mimando Aristotele, l’ ipse dixit e via discorrendo. Citavo prima Saussure. Ma Saussure è soltanto uno scolaretto se comparato alle auctoritates che m’accingo a mettere in campo a sostegno della tesi che tutte le opinioni sono opinabili e sindacabili.

 

“E allora diccele!”, potrebbe qualcuno urlarmi addosso. E va bene. Svelerò l’arcano.

 

Comincerò con Galileo Galilei, la cui reputazione è fuori discussione. Egli sapeva benissimo di poter dire tutto ciò che voleva senza la minima possibilità d’essere contraddetto, senza rifarsi né ad Aristotele né ad altre auctoritates, perché le parole sono soltanto un gioco di abilità “compositiva”:

 

“Io ho un libretto assai più breve d’Aristotele e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto: e non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare questa e quella vocale con quelle consonanti e quell’altre, ne caverà le risposte verissime a tutti i dubbi  e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti”.

 

E ‘ evidentissimo che in  questo passo Galilei si rivolgeva agli studenti che intendevano specializzarsi come facitori d’opinioni inoppugnabili. E’ altresì molto probabile che i Publicity Agent delle campagne americane per le elezioni presidenziali si sono formati su Galilei.

 

L’arbitrarietà del linguaggio è tale che, secondo Locke, è inutile sforzarsi di far cambiare idea alla gente:

 

“ Ma che esse (sott. le parole) soltanto significhino le peculiari idee degli uomini, e le rappresentino per un’imposizione perfettamente arbitraria, è cosa evidente, in quanto spesso esse non riescono a suscitare in altri […] le stesse idee di cui assumiamo esse siano il segno”.

 

E ancora:

 

“Gli uomini spesso suppongono che le parole stiano altresì per la realtà delle cose, ma concedetemi qui di aggiungere che esse […] rappresentano cosa alcuna che non siano quelle idee che noi stesso abbiamo nella mente”.

 

Leibniz è addirittura brutale:

 

La lingua è una “istituzione arbitraria, in virtù della quale una certa parola fu presa deliberatamente per segno d’una certa idea”.

 

Hobbes, autore del famigerato Leviatano, fu ancora più brutale ed esplicito:

 

“Infatti vero e falso sono attributi propri del linguaggio e non delle cose, e dove non esiste il linguaggio non si dà né verofalso”.

 

In conclusione, poiché le opinioni sono un fatto linguistico, per definizione filosofica classica, moderna e contemporanea, esse sono inevitabilmente “arbitrarie”. Al massimo, e la cosa è prevista dalle mie auctoritates, la faccenda delle opinioni potrebbe esser vista sotto un puro aspetto di “convincimento”. Berkeley, per esempio, sottolineava gli scopi “altri”  del linguaggio rispetto alla semplice e volgare comunicazione:

 

“Vi sono altri scopi, come quello di suscitare qualche sentimento, di incitare a qualche atto o distoglier da esso, di porre l’animo a una disposizione particolare”. Questa opinione di Berkeley  sembra coniata ad hoc per le opinioni politiche.

 

Di rincalzo, R.F. Jones  tratta il linguaggio come una funzione che può attentare al “dominio della ragione”:

 

“ Il dominio della ragione può essere assalito e turbato da tre cause: gl’inganni dei sofismi, che spettano alla dialettica; le false immagini delle parole, che spettano  alla retorica; la violenza delle passioni, che spetta all’etica”.

 

 

Stabilita, or dunque, scientificamente, l’ arbitrarietà assoluta del carrozzone delle opinioni e del linguaggio esse veicolante, non capisco proprio perché qualcuno insista a mandarmi email in cui mi s’invita a esprimere la mia opinione assolutamente arbitraria, e per di più a pagamento.

 

Mysterium Mysteriorum

 

Note

 

Per non sprecare troppo tempo alla ricerca affannosa delle fonti sopra citate nei più diversi autori, rinvio ad un aureo libretto che tutte le contiene: L. Rosiello, Linguistica illuminista, Bologna, Il Mulino, 1967. Per Galileo Galilei, p. 23, nota 18. Per Locke, p. 38. Per Leibniz, p. 49. Per Hobbes, pp. 29-30. Per Berkeley, p. 44. Per R. F. Jones, p. 28.

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da Enzo Sardellaro

Ho insegnato per molti anni letteratura e storia, e scrivo articoli e saggi relativi a questi settori.